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sabato 26 dicembre 2009

Albert Einstein e gli obiettori in miniera. Come riflettere sui valori in un mondo di fatti.

Non c'è uomo che possa fare a meno di regole di condotta, cioè di principi morali. Ognuno di noi, spesso inconsapevolmente ed acriticamente, li adotta per la propria vita. Ma, pur lasciando impregiudicata la grande domanda, se si possa cioè dare un fondamento assoluto ai principi morali e considerarli così oggettivamente validi per tutti, è assai importante indagare sulla possibilità di discutere comunque razionalmente di tali principi, soprattutto riguardo al loro difficile rapporto con il mondo dei fatti.
E' possibile applicare la ragione alle questioni morali? E come? Occorre considerare attentamente la compatibilità e la coesistenza di determinati principi con altri, a noi almeno altrettanto cari, soppesando bene le conseguenze di fatto della loro applicazione. Qualche dubbio in più dovrebbe giovare a tutti. 
Recentemente Obama, nel discorso pronunciato alla consegna del premio Nobel per la pace, ha correttamente seguito questa via, delineando un pacifismo rispettoso di altri valori, quali giustizia, libertà e diritti umani. Col risultato di rivalutare e riaffermare il concetto di guerra giusta, di guerra per la pace, ben noto alla morale cattolica. Ed ha fatto ciò, come dire, prendendo il toro per le corna, cioè andando direttamente a disegnare i principi in questione. 
Altri famosi pacifisti, di fronte alla pressione degli eventi, hanno seguito vie più indirette.
Interessante in questo senso la seguente lettera del grande fisico Albert Einstein al re Alberto del Belgio, a cui era legato da amicizia sincera. Siamo nel 1933. Hitler ha ormai consolidato il suo potere e Einstein percepisce il pericolo in tutta la sua gravità. Altrettanto bene vede quanto la diffusione di un certo pacifismo inconsapevole possa diminuire la capacità di resistenza del mondo libero. Ma, trattando il delicato tema dell'obiezione di coscienza al servizio militare, non va proprio diritto al cuore del problema, limitandosi a suggerire, per gli obiettori, l'alternativa di un altro servizio più duro e pericoloso.

"14 luglio 1933. Maestà, il problema degli obiettori di coscienza mi assilla...
nella situazione attuale, creata dalle attività tedesche, l'esercito belga costituisce unicamente uno strumento di difesa e per nulla un mezzo d'aggressione. Esso è dunque indispensabile alla sicurezza del Belgio.
Per quel che riguarda gli obiettori di coscienza ritengo non si dovrebbe considerarli come criminali, se spinti sinceramente da una forza di persuasione morale o religiosa. Né si dovrebbe lasciare che siano altri uomini a giudicare se al fondo del rifiuto vi sia persuasione profonda o motivi di minor pregio.
Reputo vi sia un mezzo più nobile, e a un tempo più appropriato, per mettere alla prova gli obiettori e utilizzarli. Si dovrebbe dare a ciascuno di loro la facoltà di sostituire il servizio militare con altro servizio più duro e pericoloso. Se veramente mosso da persuasione seria, l'obiettore accetterà tale strada.
Come servizio sostitutivo penso a certi tipi di lavori di miniera, a mansioni di fuochista su battelli, di infermieri presso malati contagiosi o nei manicomi, e altri impieghi del genere. Colui che affrontasse tali servizi volontariamente e senza lamentarsi sarebbe degno di rispetto.
Se il Belgio potesse emanare una tale legge, o anche soltanto creare un'abitudine (usus), sarebbe un passo notevole verso la vera umanizzazione.
Con alta stima ed affetto.

Albert Einstein"

Il testo della lettera è tratto dalle memorie di Maria Josè di Savoia, ultima regina d'Italia, figlia di Alberto del Belgio.
Maria Josè di SAVOIA, Giovinezza di una regina, 1993, pag. 331

lunedì 14 dicembre 2009

Fantasie costituzionaliste. L'anomalia tutta italiana del contropotere giudiziario.


"Il primato della rappresentanza popolare è dimostrato sia dall'assenza di una corte costituzionale che possa esercitare il controllo della costituzionalità delle leggi sia dal fatto che il potere esecutivo deve ottenere la fiducia dal Parlamento"

Chi è l'autore di questo volgare attacco al costituzionalismo liberale ed al Sacro principio della Separazione dei Poteri? Potete leggere queste righe sul sito dell'Ambasciata di Olanda in Italia. Si tratta della pura e semplice descrizione di ciò che accade oggi in Olanda, cioè in una delle più antiche e solide democrazie liberali del mondo. Per garantire la preminenza della rappresentanza popolare questo paese non si è dotato di una corte costituzionale. Ma la stessa cosa avviene in Inghilterra. Anche lì niente corte costituzionale. Mentre nelle grandi democrazie che hanno corti supreme con poteri di controllo della costituzionalità delle leggi la nomina dei loro membri è riservata al parlamento oppure, insieme, a parlamento e governo eletto dal popolo.
I magistrati giudicanti sono sempre distinti dalla pubblica accusa. Il loro autogoverno è sempre congegnato in modo da evitare la formazione di un corpo separato e di un contropotere sottratto al controllo della rappresentanza popolare. Non raramente questo autogoverno semplicemente non esiste ed il governo interviene direttamente nella nomina dei giudici e nell'organizzazione giudiziaria.
Ma allora Montesquieu, la Sacra Separazione dei Poteri? Il vecchio Montesquieu, nel suo Spirito delle leggi, chiedeva che il potere giudiziario fosse affidato a tribunali non permanenti, formati da non professionisti tratti dal popolo. Questi giudici popolari temporanei, secondo il filosofo francese, dovrebbero essere soltanto "la bocca della legge", costituendo così un potere "invisibile e nullo". Bisogna infatti evitare, afferma Montesquieu, che il giudice sia anche legislatore, perchè in questo caso il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario.
In realtà, negli altri paesi occidentali, vediamo di solito non una rigida separazione dei poteri ma una chiara tendenza al loro coordinamento, con prevalenza della rappresentanza popolare. Vale la pena di dare un'occhiata coi nostri occhi. Andiamo a leggere le costituzioni delle altre democrazie. Leggiamo Montesquieu ed i grandi teorici della democrazia liberale. Di certe sacre caste non troveremo traccia.
Di seguito i link che portano al testo delle costituzioni vigenti di grandi democrazie liberali contemporanee.

giovedì 10 dicembre 2009

Giovanni Falcone. Una vita per la giustizia.

Mentre lo scontro istituzionale divampa ricordiamo Giovanni Falcone, modello troppo poco imitato. 
Falcone nacque a Palermo nel 1939, dove si laureò in giurisprudenza nel 1961. Entrò in Magistratura nel 1964. Con Paolo Borsellino lavorò a Palermo nell'Ufficio istruzione, sotto la direzione di Rocco Chinnici, poi ucciso dalla mafia. Qui approfondì la propria esperienza nelle indagini patrimoniali e bancarie. Successivamente fece parte del pool di magistrati antimafia creato da Antonino Caponnetto. Nel pool Falcone si distinse anche per l'efficace e rigorosa gestione dei pentiti.
L'opposizione di una parte influente della Magistratura, in particolare di magistrati di area comunista, gli impedì di guidare la lotta alla mafia come magistrato. Nel 1991 accolse quindi l'invito del ministro della giustizia Claudio Martelli, esponente del partito socialista eletto in Parlamento come capolista a Palermo nel 1987, a dirigere la sezione Affari penali del ministero.
Aspre critiche gli furono mosse per la sua collaborazione con il governo.


Attaccato da magistrati e politici, tra i quali Leoluca Orlando, restò sempre più isolato.
Anche per questo isolamento la mafia lo uccise nell'attentato di Capaci del 1992.
Medaglia d'oro al valor civile. Per la sua opera è compianto e stimato negli Stati Uniti.



domenica 29 novembre 2009

La musica secondo Paul McCartney. Edificare l'arte.


Nel Panorama della settimana scorsa, numero 48, c'è una lunga intervista a Paul McCartney, l'ex Beatles che tanto ha influenzato la musica pop dell'ultimo mezzo secolo. Molte le affermazioni interessanti del musicista britannico, in particolare le seguenti:

"Oggi escono dischi che sembrano registrati in un'acciaieria. Solo rumore, tanto ritmo e zero melodie. Questo, molto più del download illegale, ha innescato la crisi del mercato discografico. Ma perché dovrei pagare per portarmi a casa un cd di rumori? Allora, preferisco il suono del mio trapano"

e poi, soprattutto

"Non voglio sembrare presuntuoso, ma il nostro lavoro sui pezzi era straordinario.
C'era la massima cura dei dettagli, l'ossessione maniacale per avere ritornelli memorabili, la voglia di sperimentare e di rifare un coro anche 30 volte finché non aveva raggiunto l'amalgama perfetto tra le voci. Se curi tutto questo con la determinazione di un artigiano, ottieni la canzone perfetta. Noi quattro abbiamo avuto il massimo rispetto per la musica. Abbiamo trattato le nostre canzoni con la cura e l'attenzione dei grandi architetti classici. Nessun edificio moderno può reggere la competizione con le grandi opere del passato.
Perché dietro le grandi opere c'è sempre un grande lavoro. Dietro molta della musica di oggi non c'è invece alcun lavoro. E si sente."

Le parole di McCartney manifestano una visione antiromantica ed oggettiva della musica. Che corrisponde largamente alla concezione antiromantica ed antiespressionista della musica e dell'arte oggettive formulata da Karl Popper nella sua Autobiografia intellettualeLa ricerca non ha fine(edizione 1978 -pag. 63 e segg.)

Scrive il grande filosofo austriaco:

"Dovrei forse cominciare con una critica di una teoria dell'arte largamente diffusa: la teoria secondo la quale l'arte è auto-espressione, ovvero l'espressione della personalità dell'artista, o forse l'espressione delle sue emozioni.....La mia critica principale di questa teoria è semplice: la teoria espressionista dell'arte è vuota. Infatti tutto ciò che un uomo, o un animale, può fare è (fra l'altro) espressione di uno stato interno, di emozioni, o di una personalità. Ciò è banalmente vero per tutti i generi di linguaggi umani ed animali"

poi ancora

"Da quanto ho detto si può vedere quale era la differenza tra Bach e Beethoven che tanto mi impressionò: Bach nella sua opera dimentica se stesso, è un servitore della sua opera. Naturalmente non manca di imprimere nell'opera la sua personalità; ciò è inevitabile.
Ma non è, come è invece Beethoven, in certi momenti, consapevole di esprimere se stesso e perfino i propri umori. Era per questa ragione che dicevo che i due musicisti rappresentavano due atteggiamenti opposti nei confronti della musica."

"Dettando agli allievi le istruzioni sul modo di suonare il continuo, Bach disse: "Si dovrebbe produrre un'armonia eufonica per la gloria di Dio e per il possibile diletto della mente; e come tutta la musica, il suo finis e la sua causa finale non dovrebbe giammai essere altra cosa che la gloria di Dio e la ricreazione della mente. Se non si bada a questo, in realtà non c'è musica, ma solo grida e strepito".


Dio a parte, la consonanza con l'ex Beatles pare davvero significativa.
La musica dell'Età barocca e dell'Illuminismo rappresenta un modello di arte oggettiva, costruita per divertire, commuovere e far pensare. Un'arte che, una volta prodotta, si stacca dal suo autore e vive di vita propria.

Ecco alcuni brevi video musicali, che propongono in modo originale la grande musica di quell'epoca straordinaria. Bach, Handel, Vivaldi e Corelli.








                                                                               



                                                                             



                                                                              

mercoledì 18 novembre 2009

La democrazia possibile? Quella delle urne elettorali!



Nelle democrazie contemporanee è endemica la tendenza a delegittimare la democrazia rappresentativa fondata sul suffragio universale. Si tratta di quella democrazia che trae la propria giustificazione da questo principio: non tutti possono governare ma tutti possono giudicare chi governa. Chi tenta di delegittimarla di solito sostiene che solo una parte degli elettori è sufficientemente informata, libera da condizionamenti ed onesta quanto a valori di riferimento e propositi da essere in grado di compiere scelte consapevoli ed adeguate. E che compito della democrazia è consentire l'elezione dei governi migliori. Mentre non raramente rifiuta il principio stesso della rappresentanza.
Conseguentemente tende ad adottare strumenti di formazione e manifestazione della volontà che sostituiscano i tradizionali percorsi elettorali istituzionalizzati. E' la "democrazia" dei blog, dei forum, dei comitati, delle manifestazioni di piazza, della cosiddetta Società civile che si mobilita, vuole contare e decidere direttamente. Si tratta però di una pericolosa illusione, del modo non per salvare, ma per uccidere la democrazia possibile. E' infatti del tutto irragionevole ed infondata l'opinione secondo la quale chi ha determinati orientamenti politici e culturali manifesta un giudizio libero ed informato ed una buona moralità, mentre le altre visioni e decisioni sono dettate da condizionamenti, ignoranza e disonestà. Esiste invece una pluralità di preferenze, conoscenze, punti di vista ed interessi tutti egualmente legittimi e degni di considerazione.
Il compito della democrazia poi non è tanto quello di rendere possibile la scelta dei governi migliori, bensì quello di consentire la sostituzione dei governi cattivi senza ricorrere alla violenza, grazie a percorsi predeterminati ed istituzionali. Le capacità e le qualità di un governante, così come la bontà di un indirizzo politico, possono infatti essere conosciute e giudicate solo dopo che l'attività di governo è stata posta in essere.
Quanto alla validità del principio stesso di rappresentanza, va detto che il governo di una grande società aperta deve ispirarsi ad una visione generale e mantenere una creativa, efficace continuità d'azione. Deve fronteggiare l'emergenza, dare risposte pronte ad esigenze improvvise.
Dunque solo pochi possono governare. Anche se tutti devono poter valutare l'operato di chi governa. Una grande democrazia libera o è rappresentativa o non è. L'insieme di tante decisioni particolari e contingenti, pur se prese dai diretti interessati, non può prendere il posto della grande politica.

Chi considera questi temi non può non riflettere sugli eventi che hanno insanguinato il Novecento, secolo segnato dall'irrompere delle masse nella vita politica. Particolarmente significative le vicende che portarono alla formazione dell'Unione Sovietica. Purtroppo non tutti sanno che l'Impero zarista russo cadde nel febbraio 1917 per iniziativa di gruppi prevalentemente di orientamento socialista e liberale. Quindi non per effetto della Rivoluzione bolscevica capeggiata da Lenin, scoppiata solo otto mesi dopo, in ottobre. Alla fine del febbraio 1917 iniziò il primo e solo vero tentativo di costruire la democrazia in Russia. 
Una serie di governi di coalizione liberalsocialisti, il cui esponente più influente fu Aleksandr Kerenskij, abolì la censura e garantì le condizioni per una competizione democratica tra i partiti. Il colpo di stato dei bolscevichi nell'ottobre 1917 pose fine a questo straordinario esperimento democratico. L'Assemblea costituente democraticamente eletta, dove i bolscevichi erano in minoranza, definita da Lenin un'inutile fabbrica di chiacchiere, fu convocata e subito sciolta dai capi bolscevichi nel gennaio del 1918. Il futuro impero totalitario sovietico prese le mosse da qui, grazie al ritorno in Russia dall'esilio di Lenin, avvenuto con la collaborazione dei tedeschi, ma anche all'egemonia nei Soviet di Pietrogrado conseguita dai bolscevichi. I tradizionali percorsi democratico-elettorali, propri della democrazia liberale, capaci di esprimere la volontà del popolo russo, furono prima affiancati poi sostituiti dai consigli dei Soviet. 
Il progetto di far prevalere la volontà dei "migliori" conduce sempre alla perdita dei diritti e delle libertà democratiche.


Sulla democrazia contemporanea fondamentale è

Karl POPPER, La Società aperta e i suoi nemici

Invece la miglior storia dell'Unione Sovietica resta, a mio parere,

M. HELLER - A. NEKRIC, Storia dell'URSS dal 1917 a Eltsin

domenica 8 novembre 2009

Quando non si può giustificare. Il caso Sacharov.


Andrej Sacharov

Sono passati venti anni dalla caduta del Muro di Berlino. Assistiamo a celebrazioni retoriche e vuote, ma i giovani non sanno ciò che conta davvero e i meno giovani non lo dicono.  Quel Muro fu imposto dall'Unione Sovietica, un grande impero totalitario fondato sull'ideologia comunista. Quell'impero dominava direttamente mezza Europa ed esercitava una forte influenza sull'altra metà, attraverso gli intellettuali e i partiti che dai sovietici ricevevano direttive e finanziamenti.
Oggi alcuni degli intellettuali e dei politici allora legati più o meno apertamente all'Unione Sovietica, che ancora esercitano una notevole influenza, qualche volta pure titolari di altissime cariche pubbliche, si uniscono al coro della rievocazione di quell'avvenimento cruciale.
Queste conversioni come devono essere giudicate? Andrej Sacharov è stato un protagonista di quegli anni. Cittadino sovietico e fisico di altissimo livello, dopo la morte di Stalin e mentre Kruscev era al vertice dell'Unione Sovietica fu il padre di una generazione di armi nucleari sovietiche dalla potenza apocalittica, di gran lunga superiore a quella delle corrispondenti armi americane. Successivamente divenne il più lucido ed attivo dissidente sovietico, fino a meritare nel 1975 il Nobel per la pace.
Karl Popper inizialmente ne elogiò la condotta ed il coraggio come dissidente. Poi, una volta lette le memorie dello stesso Sacharov e di Kruscev, dopo aver saputo del suo ruolo fondamentale nella costruzione della potenza militare sovietica, lo condannò duramente. Riporto di seguito le parole di Popper, perchè offrono la possibilità di impostare una riflessione molto ampia. Scrive Popper:

"...un uomo come Sacharov, dotato di grande intelligenza,...sarebbe stato in condizione di vedere già allora come il sistema politico sovietico facesse di quel paese un luogo terribile....
Ma a quarant'anni non si può dire di un uomo che è troppo giovane per giudicare.
E' perfettamente vero che poi cambiò idea. Ma se un uomo a quarant'anni ti uccide e pochi anni dopo va in giro a dire che gli dispiace e che non avrebbe dovuto farlo, per questo non è più un assassino?
Io mantengo....un'opinione altamente positiva per l'ultima parte della vita di Sacharov, ma devo correggere, e me ne dispiace, il giudizio complessivo su di lui.
E devo dire che cominciò come un criminale di guerra e che non può essere giustificato in virtù di ciò che fece dopo".

Karl POPPER, La lezione di questo secolo, pagg. 23, 24 e 25, ed. 1992

lunedì 2 novembre 2009

Le lapidi sbiadite che parlano al cuore ed alla mente.


In questi giorni, secondo tradizione, ho visitato i cimiteri dove sono sepolti i miei familiari. Provo sempre dolente stupore quando il mio sguardo cade sulle tante vecchie lapidi, poste settanta, ottanta, cento e più anni fa, che ricordano e onorano bambini, adolescenti, giovani madri, morti prematuramente. In quegli anni ancora la mortalità infantile e per parto era assai elevata.
Il progresso scientifico e civile ha molto ridotto questi numeri. Dobbiamo però dare un senso concreto a questi concetti troppo astratti per aiutare a non ritornare a quella dolorosa normalità. Sono stati la disciplina, l'impegno, l'entusiasmo ed il genio dei singoli a realizzare quel progresso.
Vediamo purtroppo oggi, anche nelle società più avanzate, preoccupanti arretramenti e forme di disagio, soprattutto nelle grandi aree urbane. Non dimentichiamo mai che nessun miglioramento della condizione umana è possibile senza la disciplina e l'impegno individuali. Abbandonare questa ricetta tradizionale può costare molto caro.

giovedì 22 ottobre 2009

Il grande conflitto di interessi nel cuore della democrazia. Perchè la democrazia non è il migliore dei sistemi ma il minore dei mali.





Il cuore della democrazia è rappresentato dalla responsabilità politica dei governanti verso i governati.
Perchè un governo possa essere considerato democratico occorre non solo e non tanto che sia eletto dal popolo, ma soprattutto che si sottoponga al giudizio popolare dopo aver svolto la sua attività. Non sono quindi democratici i governanti eletti a vita.
Il maggior vantaggio offerto dai sistemi democratici consiste precisamente in questo: nella possibilità di sostituire i governi che hanno dato pessima prova di sè con il voto, senza dover ricorrere alla violenza, mediante procedure predefinite. Quanto invece alla possibilità di errore, tutti i governi possono sbagliare, democratici e non. Come pure può sbagliare l'elettorato nella scelta e nel giudizio.
Uno dei caratteri più importanti della democrazia viene raramente rilevato e discusso. Esiste infatti in essa un gigantesco conflitto di interessi, ineliminabile perchè congenito e coessenziale. I governanti e coloro che aspirano a governare hanno come loro interesse fondamentale, o lo percepiscono come tale, quello ad acquisire consensi per sè e per la loro parte politica. Ma il paese ha spesso bisogno di provvedimenti impopolari. Il suo interesse non raramente viene a trovarsi così in conflitto con l'interesse di chi ha bisogno del consenso per essere eletto. Questo conflitto tra interessi contrastanti può ridurre notevolmente l'efficienza di un sistema democratico.
E' molto facile attribuire da un lato ai politici cinismo e scarso senso dell'interesse pubblico, dall'altro agli elettori ignoranza, miopia, egoismo, insufficiente senso civico. Ma le situazioni hanno una loro logica alle quali è difficile sfuggire. In democrazia la ricerca del consenso è inevitabile. L'elettore si muove in un orizzonte temporale ristretto, pressato spesso da esigenze che chiedono una pronta soddisfazione. La grande politica pure esplora spazi angusti. I governanti devono fare i conti con tendenze e spinte pressoché incontrollabili, prigionieri frequentemente della loro stessa propaganda.
Quali dunque i governanti migliori? Quelli dotati di maggior tenacia, fantasia, flessibilità. Quelli capaci di comprendere la logica paradossale che regge la vita e la storia degli uomini.

venerdì 16 ottobre 2009

I viaggi di Tocqueville.





Alexis de Tocqueville è celebre per le sue grandi opere, la Democrazia in America e l'Antico Regime e la Rivoluzione. Ma sono straordinariamente importanti anche i suoi appunti di viaggio. Durante i suoi viaggi abitualmente annotava su quaderni impressioni, riflessioni, conversazioni e numeri. Si tratta di documenti preziosi, non solo per una miglior comprensione delle sue opere maggiori. Ci restituiscono infatti lo sguardo di uno dei più lucidi intellettuali europei dell'Ottocento su momenti, luoghi, personaggi e problemi che ancor oggi non possono non destare un vivo interesse.
Tocqueville visitò gli Stati Uniti e l'Inghilterra tra il 1831 ed il 1835. Nel suo Viaggio negli Stati Uniti troviamo, oltre alle acute osservazioni poi poste alla base della Democrazia in America, ritratti, colloqui, cifre ed una suggestiva descrizione dei solenni, selvaggi, intatti paesaggi di regioni non ancora trasformate dalla rivoluzione industriale e dall'incremento della popolazione.
Tra le note raccolte durante i suoi due viaggi in Inghilterra segnalo la descrizione di una seduta della Camera dei Lords, con il discorso di un imbarazzato ed esitante duca di Wellington, vincitore di Napoleone a Waterloo. Ricco di vivaci spunti anche il racconto della tumultuosa elezione di un deputato. Mentre di grande interesse è la rappresentazione degli abitanti, dei palazzi, delle capanne, delle vie e delle fabbriche, delle sconvolgenti contraddizioni della città di Manchester, luogo emblematico della rivoluzione industriale inglese.
Due agili libri di cui consiglio vivamente la lettura. Sono ancora reperibili nelle librerie in rete.


- Alexis de TOCQUEVILLE, Viaggio in Inghilterra.




domenica 11 ottobre 2009

Il Nobel ad Obama. Speranze mal riposte?

Si è oggi stipulato un accordo di "normalizzazione" dei rapporti tra Armenia e Turchia, alla presenza del segretario di stato USA Hillary Clinton. L'accordo, uno dei pochi risultati concreti in politica estera della presidenza Obama, in questi giorni in cui si celebra il Nobel obamiano acquista un significato particolare proprio per i tratti che ne hanno segnato il percorso realizzativo.
E' infatti un accordo internazionale che non presenta nulla di riconducibile all'affascinante retorica che caratterizza l'attuale presidente degli Stati Uniti. I due paesi contraenti sono già nella sfera di influenza americana per solide concretissime ragioni politico-strategiche. In particolare la Turchia vede negli USA lo storico patrocinatore del suo ingresso nell'Unione Europea, tanto desiderato dai governi turchi degli ultimi decenni. Mentre è la stessa Unione Europea a pretendere dai Turchi il miglioramento dei rapporti con i paesi vicini. E' in questo quadro di ricatti e consolidate influenze strategiche che l'accordo è faticosamente maturato.
Ma Obama deve fronteggiare ben altre difficoltà, in aree dove gli spazi di mediazione sono ridottissimi, se non addirittura inesistenti. Quando si hanno di fronte nemici implacabili ed irriducibili la retorica dei sogni e delle illusioni, passando per l'ipocrisia e la doppiezza, conduce o alla resa o ad un uso della violenza ben maggiore di quello che la franchezza avrebbe reso necessario.
Il Nobel per la pace al presidente degli Stati Uniti, mentre fornisce un'ulteriore prova della visione politica prevalente in certi ambienti, dà un segnale sbagliato all'opinione pubblica delle grandi democrazie, soprattutto ai giovani. Vengono premiati i sogni e non i risultati. Mentre si contribuisce a concentrare le speranze su iniziative in grado, nella migliore delle ipotesi, di precludere facili alibi agli avversari. Insomma mi pare che ci sia poco da festeggiare. Ma poiché non appartengo alla schiera dei fautori del "tanto peggio tanto meglio", che ritengo profondamente immorale, spero proprio di sbagliarmi. In bocca al lupo, presidente Obama!

mercoledì 30 settembre 2009

Eguaglianza dei diversi. Il principio di eguaglianza nella Costituzione italiana.

L'articolo 3 della Costituzione stabilisce che:

" Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Ma, come ha scritto Costantino Mortati, autorevole redattore ed interprete della nostra Costituzione, "è senz'altro da escludere che il principio stesso imponga di dare alle leggi un contenuto eguale per tutti i cittadini così che tutti godano dello stesso trattamento, e ciò perchè esso esige invece che a diversità di situazioni corrisponda diversità di trattamento".
"E' tuttavia da chiedersi se", prosegue il Mortati, "lasciando all'assoluto arbitrio del legislatore la valutazione della diversità delle situazioni, nonchè della sufficienza di questa a porre una differenziazione di regolamentazione giuridica, non si finisca con lo svuotare il principio di cui si parla di gran parte del suo valore, riprendendosi così con una mano quello che si era dato con l'altra".
Dunque, conclude lo stesso Mortati, a garanzia del principio di eguaglianza il legislatore è tenuto a rispettare le regole della logica e ad adottare diversità di trattamento solo quando ciò sia "ragionevole".
E' però evidente l'eccessiva indeterminatezza del requisito della ragionevolezza.
Per questa via si giunge a riconoscere alla Corte Costituzionale un potere nel contempo così penetrante ed indefinito da assumere i tratti del potere di indirizzo politico.
Ma allora cosa rimane del vecchio fuorviante mito della "separazione dei poteri"?
Si configura così una democrazia sotto tutela. Tutela esercitata da chi?


Costantino MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, tomo II, pagg. 1019 e 1020 - edizione 1976



giovedì 17 settembre 2009

Non solo Afghanistan.

La strage di soldati italiani oggi in Afghanistan riporta drammaticamente all'attenzione dell'opinione pubblica italiana i temi della politica internazionale. I cittadini italiani, esattamente come quelli degli altri grandi paesi occidentali, pongono domande sbagliate che ricevono risposte sbagliate. La principale domanda sbagliata mi pare questa: quale obiettivo conseguibile a breve termine giustifica le spese e la morte dei nostri soldati?
La domanda è sbagliata perchè ci possono essere validissime ragioni per sostenere guerre di durata anche assai lunga che non possono portare ad una vittoria totale ed a soluzioni definitive. Le risposte sbagliate sono appunto quelle che non mettono l'opinione pubblica di fronte alla realtà, che in questo caso è assai dura e refrattaria alle illusioni, sparse a piene mani dal presidente Obama.
Va chiaramente detto alla gente che ormai da qualche anno è in corso un conflitto interno al mondo islamico che vede contrapposte la tendenza alla conciliazione con lo stile di vita ed i valori occidentali e quella alla ricomposizione della società secondo i principi fondamentalisti. I movimenti fondamentalisti intendono acquisire il controllo degli stati e dei governi. Quando contrastati nelle loro aspirazioni ricorrono a tutti i mezzi disponibili, terrorismo compreso.
Va detto che si tratta di un problema mondiale, che non riguarda singole aree come l'Afghanistan. Che le motivazioni religiose e culturali sono prevalenti. Che il movimento fondamentalista non reagisce a torti subiti dall'Occidente. La questione palestinese e la guerra irachena rappresentano soltanto pretesti. Che gli Stati Uniti sono odiati non per quello che fanno o hanno fatto, ma per quello che sono. Che il controllo degli stati islamici da parte dei movimenti fondamentalisti comporterebbe gravi pericoli per i paesi occidentali, i loro interessi e la loro sicurezza. Sarebbero infatti esposti ad un uso ricattatorio di materie prime vitali, mentre il blocco dello sviluppo economico e civile di aree abitate da centinaia di milioni di persone avrebbe ripercussioni globali.
La retorica della conciliazione, come quella a cui è ampiamente ricorso Obama nel recente discorso del Cairo, purtroppo convince solo chi è già convinto. Mentre gli interventi di tipo economico assistenziale da un lato vengono resi praticamente impossibili dall'azione dei fondamentalisti. Dall'altro rischiano di rafforzare il senso di inferiorità ed i sentimenti revanscisti radicati in una memoria storica che a noi pare patologica.
Bisogna che le opinioni pubbliche occidentali comprendano quindi la necessità di un duro e costoso impegno a lungo termine, anche di tipo militare. Con la chiara consapevolezza che il problema non potrà trovare mai una soluzione completa ma può essere solo tamponato e ridotto a dimensioni fisiologiche. 


lunedì 14 settembre 2009

Rivoluzioni scientifiche. Il "tempo profondo".

Uno dei più importanti e rivoluzionari mutamenti concettuali della storia della scienza è rappresentato dalla conquista della consapevolezza della "profondità" del tempo, cioè della notevolissima antichità della Terra e dell'Universo intero in rapporto alla durata della vita umana.
Scrive Stephen Jay Gould in Le pietre false di Marrakech, pagg. 125 e 126:
"Noi consideriamo spesso nozioni come l'antichità della Terra, la formazione delle montagne e la deposizione dei sedimenti come semplici fatti d'osservazione, così chiari a chiunque abbia occhi per vedere da far apparire folle o disonesta qualsiasi altra interpretazione. Ma molte di queste nozioni "ovvie" ebbero origine come conclusioni difficili e inizialmente paradossali, frutto di lunghi sforzi per pensare e vedere in modi nuovi."
La novità, necessaria anche per lo sviluppo delle più convincenti teorie evoluzioniste, fu contrastata dalla Chiesa cattolica, che oppose le parole dell'Antico testamento. Tuttavia la dottrina cattolica considera il testo della Bibbia scrittura ispirata da Dio ma opera anche dell'uomo. Ciò, dopo qualche resistenza, ha consentito di distinguere i principi ispirati dalle espressioni dipendenti dal contesto culturale. Sono così venute meno le ragioni di contrasto tra Cristianesimo e scienza.
L'idea del "tempo profondo" è entrata a far parte del patrimonio concettuale condiviso nel Settecento, secolo che ha visto il consolidarsi della geologia come scienza. Il contributo più importante fu dato dallo scienziato francese Georges Buffon. Ma pure Antoine Lavoisier, ricordato come il massimo chimico della storia umana, si dedicò intensamente agli studi geologici.
Egli ricoprì anche importanti incarichi nell'ambito della pubblica amministrazione. Fece autorevolmente parte della commissione che inventò l'unità di misura della lunghezza oggi più diffusa, il metro. Si occupò di polvere da sparo per le forze armate. Ancor prima fu esattore delle tasse. Queste funzioni pubbliche esercitate furono la causa della sua uccisione durante la Rivoluzione francese o, più verosimilmente, ne costituirono il pretesto.
Nel 1794 la ghigliottina rivoluzionaria tagliò la testa di uno dei più rivoluzionari scienziati di tutti i tempi.



sabato 5 settembre 2009

Stato, individuo e morale cristiana. Distinzione di ruoli e principi.

Gesù ci ha insegnato a distinguere tra stato e comunità dei fedeli prescrivendo di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Ma resta insufficiente la consapevolezza della distinzione tra autorità pubblica ed individuo che non ne eserciti le funzioni, sotto il profilo non soltanto dei ruoli, ma anche dei principi applicabili nell' ambito della morale cristiana. Il Nuovo Testamento, i Padri della Chiesa, i Concili ecumenici ed il Catechismo ufficiale della Chiesa cattolica prevedono e sottolineano tale distinzione.
Lo stato può legittimamente, a determinate condizioni, giudicare, punire, fare guerre per la pace. Nettamente al di là di quanto consentito al singolo in quanto tale.
Così san Paolo afferma:

" I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene.
Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male.
Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza" (Romani 13, 3-5)

Mentre sant' Agostino scrive:

" Non credere che non possa piacere a Dio nessuno il quale faccia il soldato tra le armi destinate alla guerra.
Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! ....Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi. Beati i pacificatori - dice il Signore - perché saranno chiamati figli di Dio..... Sia pertanto la necessità e non la volontà il motivo per togliere di mezzo il nemico che combatte. Allo stesso modo che si usa la violenza con chi si ribella e resiste, così deve usarsi misericordia con chi è ormai vinto o prigioniero, soprattutto se non c'è da temere, nei suoi riguardi, che turbi la pace" (Lettera al generale Bonifacio, 4-6).

Così ancora il Concilio Vaticano II:

"La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.
Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace" (Gaudium et Spes, 79).


Ed il Catechismo della Chiesa cattolica:


"2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.


2266 Corrisponde ad un'esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l'ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.


2267 Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona» e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo".


Perfino in materia di immigrazione ed asilo i doveri stabiliti per il singolo fedele e la comunità dei fedeli non possono essere meccanicamente trasferiti allo stato. Il Cristianesimo non è una dottrina sociale, economica o politica. Sono chiamate in causa le coscienze degli individui. Solo infatti attraverso la purificazione di queste il patrimonio morale cristiano può e deve portare il suo determinante contributo alla società civile.

martedì 1 settembre 2009

La politica dei colpi bassi.

Da sempre la politica democratica è segnata da velenosi attacchi personali, tentativi di delegittimazione, diffamazioni scientificamente orchestrate. Non è, insomma, faccenda da educande. Ciò che però può e deve cambiare, con il passare degli anni, è il giudizio degli elettori, che ormai troppo hanno visto e sentito.
C'è chi scambia il loro scetticismo e la loro indifferenza per insensibilità morale, per difetto di senso civico. Ma non di questo si tratta. E' pragmatica preoccupazione per i problemi reali. E' saggia diffidenza radicata nell'esperienza.
Proprio per questo si può prevedere che certi abusi si riveleranno controproducenti. E che non tutto il male venga per nuocere. Le tradizioni democratiche possono rafforzarsi anche in questo contorto modo.

martedì 25 agosto 2009

Spie democratiche. Una convivenza difficile.

https://www.cia.gov/

http://www.defense.gouv.fr/english/dgse

http://www.sistemadiinformazioneperlasicurezza.gov.it/pdcweb.nsf/pagine/homepage


http://www.bnd.bund.de

http://www.mi5.gov.uk/

https://www.sis.gov.uk/

http://www.asio.gov.au/

http://www.abin.gov.br/?lang=portuguesebr

https://www.csis-scrs.gc.ca/index-en.php



Questi link portano ai siti web ufficiali di alcuni dei principali servizi di intelligence occidentali. Un innocuo giretto ci fa prendere contatto con un problema, quello del tormentato rapporto tra intelligence e democrazia libera. La democrazia libera non ama la segretezza. Lo stato di diritto, per definizione, subordina l'intera pubblica amministrazione alla legge ma, da sempre, l'intelligence opera nel segreto. I suoi metodi mal sopportano regole.
Si tratta di una tensione ineliminabile tra principi ed esigenze di sicurezza che le istituzioni democratiche, similmente ed opportunamente in tutte le democrazie occidentali, tentano di risolvere con il controllo in forma riservata da parte di governi ed appositi comitati parlamentari.
Si può sbagliare allentando troppo le briglie del controllo democratico ma anche ponendo limiti tali da rendere quasi impossibile un'efficace azione dei servizi. La libertà e la democrazia, ed i legittimi interessi dei paesi liberi e dei loro cittadini, hanno nemici implacabili. Sarebbe davvero un errore fatale combatterli con le mani legate dietro alla schiena.

giovedì 20 agosto 2009

Una vita straordinaria. Il giovane John Fitzgerald Kennedy




Tutti conoscono il Kennedy presidente degli Stati Uniti d'America. La tragica morte e la durezza dei tempi ne hanno fatto un mito. Ma pochi sanno dei suoi straordinari anni giovanili. Il futuro presidente molto prima di fare la grande storia di questa fu vivace testimone.
Suo padre, ricchissimo uomo d'affari, era ambasciatore americano in Gran Bretagna nel 1939, quando l'Europa cadde nel baratro della Seconda guerra mondiale. Il giovane Kennedy, seguendo il padre, vide da un osservatorio privilegiato le convulsioni della politica europea che condussero alla guerra. Ebbe la possibilità di viaggiare nei principali paesi europei, acquisendo una conoscenza diretta dei regimi nazista e fascista. Durante la guerra comandò una motosilurante sul fronte del Pacifico, comportandosi eroicamente.
Nel 1945, prima della fine della Seconda guerra mondiale, non ancora trentenne, fu alla conferenza di San Francisco, nel corso della quale venne istituita l'ONU, in qualità di giornalista. Sempre come giornalista visitò l'Europa subito dopo la sconfitta della Germania. Qui, il 30 luglio 1945, era a Potsdam, sede dell'incontro tra Truman, Stalin e Churchill, al seguito del segretario alla marina Forrestal. In quelle ore nella località tedesca si trovarono contemporaneamente presenti il presidente degli Stati Uniti in carica, Truman, ed i suoi due successori, Eisenhower ed appunto John Kennedy.
Di John Fitzgerald Kennedy riporto infine un giudizio sul suo predecessore Franklin D. Roosevelt. Egli pensava che Roosevelt avesse ucciso il capitalismo non con i suoi programmi e le sue riforme, ma con " l'enfasi posta sui diritti piuttosto che sulle responsabilità". In queste parole la personalità di un leader insieme innovatore appassionato e duramente realista. (*)

Da leggere:

J. F. KENNEDY, L'alba della nuova Europa.

Diario europeo 1945. A cura di Deirdre Henderson

(*) Sono oggi a disposizione dei lettori documenti  che possono sorprendere per il contenuto dei giudizi espressi dal futuro presidente USA. Essi completano e in parte correggono il quadro sopra delineato. Si riferisce ad essi un articolo de La Stampa del 16 maggio 2013 che merita un'attenta lettura.

venerdì 7 agosto 2009

L'economia degli spiriti animali.

George A. AKERLOF e Robert J. SHILLER, Spiriti animali, maggio 2009


Il premio Nobel per l'economia Akerlof ed il collega Shiller con quest'agile opera, da poco nelle librerie italiane, richiamano opportunamente l'attenzione sulle motivazioni non economiche ed irrazionali che muovono gli operatori economici. Non si comprendono le vicende economiche senza una sufficiente consapevolezza del ruolo svolto da tali fattori. Questa consapevolezza, spiegano gli autori, deve indurci ad attribuire ai governi compiti di vigilanza ed una funzione riequilibratrice delle economie, sempre inclini ad eccessi dall'esito non raramente drammatico.
Pur ritenendo corretto questo richiamo, farei ad Akerlof e Shiller le seguenti obiezioni. La propensione ad agire mossi, in una variabile ma significativa misura, da motivazioni irrazionali e cedendo a spinte emotive non caratterizza soltanto consumatori, risparmiatori ed operatori economici in genere bensì anche i governanti. Che, del resto, nelle democrazie devono ottenere il consenso proprio di quei soggetti al comportamento irrazionale dei quali dovrebbero porre rimedio.
L'intervento nelle intenzioni riequilibratore dei governi, pur inevitabile, va dunque valutato con cautela, nella prospettiva di salvaguardare i benefici del mercato e la possibilità di far fronte a conseguenze non volute delle misure governative stesse. Gli autori manifestano una netta nostalgia per la situazione preesistente alle riforme neoliberali promosse dalla Thatcher e da Reagan. Ma tali riforme certamente non distrussero lo stato sociale nè produssero una deregolamentazione dell'impresa e della finanza idonea ad essere considerata la causa principale dell'attuale crisi. Inoltre va sottolineato che queste riforme, che ispirarono anche la condotta di governi di centro-sinistra, rappresentavano la reazione alla stagnazione economica degli anni Settanta, non imputabile al solo shock petrolifero seguito alla guerra arabo-israeliana.
In realtà la mentalità degli operatori economici, dei consumatori, degli investitori e degli stessi governanti non è immutabile quanto al rapporto tra componenti irrazionali e razionali, economiche e non, lungimiranza e gretta miopia. Un po'più di maturità, di sano scetticismo, di costruttiva attenzione ai problemi generali non sembra un obiettivo impossibile. E può davvero fare buone cose.

sabato 25 luglio 2009

Il percorso delle armi.

Ancora oggi, ma a maggior ragione guardando alla seconda metà del Novecento, l' analisi dei trasferimenti internazionali di armi rappresenta una risorsa davvero importante per chi vuole farsi strada tra le nebbie della propaganda e della disinformazione.

I database della SIPRI, organizzazione internazionale con sede in Svezia, in questa prospettiva consentono un facile accesso a dati autorevolmente raccolti e presentati.

http://www.sipri.org/databases/armstransfers/armstransfers

Un interessante esempio mi sembra quello delle importazioni di armi nell' Iraq di Saddam Hussein, soprattutto durante gli anni Ottanta, immediatamente precedenti alla Prima guerra del Golfo.

Andiamo a vedere chi riforniva le sue forze armate. Le sorprese sono a portata di mouse.

sabato 18 luglio 2009

La ragione come limite.Quale razionalismo?

Almeno da Newton in poi la notevole idoneità delle teorie scientifiche a corrispondere ai fenomeni e ad essere controllate con successo ha costantemente posto problemi fondamentali. Perchè ciò accade? Quali conseguenze possiamo trarre da questa straordinaria attitudine? Qualcuno ha autorevolmente pensato ad una corrispondenza tra le strutture logiche della mente umana, in particolare linguistico-matematiche, e la struttura del mondo. Sarebbe tale corrispondenza a consentire le brillanti prestazioni del nostro apparato logico-linguistico. Ne deriverebbe un'illimitata capacità di indagare la natura. Si tratta però di una conclusione ingiustificata.
Il fatto che un nostro apparato a fini determinati ed in ambiti limitati "funzioni" non autorizza arbitrarie trasposizioni. Basti pensare ai nostri occhi. Funzionano quando ci consentono di non sbattere contro un muro, ma non ne vedono molecole ed atomi. Condivisibile mi sembra dunque l'opinione di Charles Darwin che in una lettera scrisse: "Ho la nettissima impressione che tutta la materia sia troppo profonda per l'intelletto umano. Un cane potrebbe speculare altrettanto bene sulla mente di Newton". Anche alcune considerazioni di Karl Popper vanno in questa direzione.
Vorrei inoltre ricordare che il successo della scienza ha costituito materia di riflessione persino nella teologia cristiana. Lo stesso papa Benedetto XVI, per altro del tutto al di fuori delle sue solenni funzioni magisteriali, anche facendo riferimento ad esso ha ipotizzato una sorta di ragione universale coessenziale alla divinità stessa, della quale anche la nostra ragione partecipa. La ragione umana, creata somigliante alla divina, sarebbe perciò in grado di comprendere la divinità ed il bene, che lo stesso Dio non potrebbe non volere. Si tratta, devo dire, di tesi difficili da accettare per un cristiano, che crede nella trascendenza ed onnipotenza di Dio. L'Incarnazione e la Resurrezione di Cristo sarebbero dunque non necessarie? Inutile la Rivelazione? In realtà appare plausibile che la ragione rappresenti per l'uomo uno strumento meraviglioso ma anche un limite. La forza e la preclusività del quale non è accertabile dall' interno.

venerdì 10 luglio 2009

Caritas in veritate. La coscienza prima di tutto.

Sul tema del mercato le parole più significative dell'enciclica Caritas in veritate mi sembrano le seguenti:

" Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l'economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell'uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale".

Mi sembra che il papa descriva esattamente la realtà. Il mercato non è mai realmente esistito nella sua astratta configurazione economica. Esso sempre storicamente si declina secondo la visione degli operatori, secondo la connotazione delle sue regole e secondo la capacità dell'ordinamento di farle rispettare.
Qui Ratzinger indica la tradizionale via maestra che la Chiesa deve seguire: il rinnovamento delle coscienze. "La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire" dice anche, infatti, il pontefice.
Bisogna chiedersi se operatori orientati ad un semplice profitto personale di corto respiro e magari poco inclini ad una spontanea osservanza delle regole giovino alla sopravvivenza del mercato e di una economia aperta e concorrenziale. Io penso di no.
Quest'ultima enciclica di Ratzinger mi pare insomma confermi due suoi importanti tratti. Innanzi tutto la personale sensibilità liberale. Poi la fedeltà alla missione della Chiesa. E la missione della Chiesa è convertire alla fede cristiana.


giovedì 9 luglio 2009

Tanto peggio tanto meglio.

"Tanto peggio tanto meglio".

Questo atteggiamento rivela una profonda corruzione della mente e del cuore.

martedì 30 giugno 2009

I diritti naturali tra fede e ragione.






Cos'è bene e cos'è male? Schiere di pensatori più o meno illustri e profondi hanno dedicato la vita, una generazione dopo l'altra, a questa domanda. Oggi ci sembra una questione astratta e lontana. Roba per gente strana, con tanto tempo da perdere, che vive fuori dal mondo. In realtà, però, ogni volta che nella nostra vita dobbiamo fare una scelta, anche piccolissima, di solito del tutto inconsapevolmente rispondiamo a questa grande domanda, semplicemente declinandola nella concretezza della nostra modesta quotidianità.
Insomma anche di fronte ad un barattolo di nutella siamo distrattamente chiamati a rispondere a domande fondamentali. Come dobbiamo comportarci? Che decisione dobbiamo prendere? Ma se consideriamo la faccenda da un punto di vista più generale, anche sotto il profilo politico e filosofico, la questione importante è: per quali motivi dovremmo decidere in un senso piuttosto che in un altro, tenere un certo comportamento invece di un altro? E soprattutto perchè prendere decisioni difficili, eventualmente stringendo i denti di fronte a difficoltà?
Lo stesso favore per la libertà, la tolleranza, la società aperta è una scelta che possiamo essere chiamati a difendere in modo fermo, duro, faticoso, doloroso. Se infatti tolleriamo gli intolleranti e lasciamo libero di agire chi vuole eliminare la libertà, tolleranza e libertà verranno meno.
Esiste insomma un criterio assoluto per stabilire quale è la cosa giusta? In altre parole è possibile trovare un fondamento assoluto ad un principio morale, ad una regola di condotta? I cosiddetti "diritti naturali" sono un importante tentativo di risposta a questo bisogno. Basti pensare che di diritti naturali parlarono proprio gli autori della Costituzione americana e di quelle della Rivoluzione francese. Perchè dobbiamo assolutamente tenere una certa condotta? Perchè dobbiamo considerare non negoziabile un certo principio? Perchè è secondo natura, rispondono. Perchè è la natura stessa che li impone, li prescrive.
Ma almeno da Hume in poi dovrebbe essere chiaro che i "diritti naturali" sono il risultato di un errore logico. Quando descriviamo la natura non possiamo ricavare direttamente prescrizioni dalle descrizioni. Quello da ciò che è a ciò che dovrebbe essere è un salto diretto del tutto ingiustificato logicamente. Per questo la scienza, anche medica, in quanto tale non può dettar legge in ambito morale. Una questione etica non può essere presentata in termini di verità. Come ha scritto brillantemente il prof. Dario Antiseri, sono naturali tanto l'odio quanto l'amore. Sta a noi scegliere.
Dunque i "diritti naturali" non reggono ad una critica serrata. Non sono una soluzione indipendente. Ma il problema di fondo rimane. Una società aperta, tollerante, libera e democratica ha bisogno di cittadini che ritengano assoluti, non negoziabili, determinati valori. Tocqueville, il famoso autore della Democrazia in America, cattolico dalla tiepida fede, considerava la sopravvivenza della democrazia dipendente da quella del Cristianesimo. Se guardiamo alla successiva storia degli Stati Uniti e del mondo intero possiamo davvero dargli torto?

venerdì 26 giugno 2009

Gli intellettuali e le rivoluzioni. Un amore non corrisposto.

Molti intellettuali sono attratti dalle rivoluzioni ma quasi tutti sbagliano nel giudicarle. Dalle cattedre, dai libri, dalla più autorevole stampa periodica, quanto entusiasmo e quanta apologia su movimenti e leader che poi non hanno corrisposto alle attese per diritti, libertà e benessere! Si tratta di un lungo elenco. Dalla rivoluzione d'Ottobre a quella iraniana khomeinista, dalla rivoluzione castrista cubana alla rivoluzione culturale cinese.
Perchè? Spesso hanno prevalso concezioni della storia e dell'uomo davvero sbagliate. Si è pensato che la storia proceda secondo leggi necessarie, tanto da poter prevedere il futuro (storicismo). Che progetti di rinnovamento globale, di vera e propria palingenesi sociale, abbiano serie possibilità di riuscita (utopismo). Che leader carismatici abbiano il potere di fare la storia secondo i loro piani. Che a idee come quelle di popolo, nazione o classe corrispondano entità reali distinte dalla somma dei loro componenti e capaci di agire in quanto tali nella storia stessa.
Però non pochi intellettuali, e tanti politici che li accolgono a corte, aggiungono o sostituiscono all'errore il cinico desiderio di acquistare facili consensi. Ma, si badi, i consensi ottenuti spacciando illusioni, miti e leggende prima o poi si restituiscono agli avversari con salati interessi.

domenica 14 giugno 2009

Palestina. I nodi della storia e il pettine di Obama.

L'odierno discorso del capo del governo israeliano, mentre sembra accogliere i principi dettati da Obama per la composizione della questione palestinese, in realtà pone ancora una volta drammaticamente in evidenza l'inadeguatezza dell' attuale amministrazione USA.
I nodi della storia non si lasciano districare dal retorico pettine del neopresidente americano. Il leader israeliano accetta il principio dei due stati israeliano e palestinese, ma lo declina in termini inaccettabili per tutte le fazioni palestinesi, anche le più moderate. 
Infatti l'amministrazione israeliana pretende da un lato il riconoscimento del diritto ad esistere di Israele come stato ebraico. Dall'altro la smilitarizzazione completa dello stato palestinese, garantita internazionalmente. Si tratterebbe di un vero, durevole e sostenibile riconoscimento dello stato di Israele così com'è, tranne che per il territorio controllato, una parte del quale verrebbe scambiata con una pace definitiva e garantita. Ma proprio questo riconoscimento vero e definitivo nessun dirigente palestinese, neppure il più moderato, può accettare.
Generazioni di bambini palestinesi sono state cresciute nell'odio per gli ebrei ed abituate a considerare legittimo ed irrinunciabile il proposito del rientro in Israele di tutti i profughi. Inoltre nessun musulmano, anche dalla tiepida fede, può accettare sinceramente e definitivamente che una terra musulmana sia lasciata alla sovranità degli infedeli. Dunque tutti i dirigenti palestinesi, nessuno escluso, sia pure con formule ed atti diversi, rifiuteranno le richieste israeliane sul carattere ebraico dello stato israeliano e sulla completa smilitarizzazione dello stato palestinese. Proprio perchè accettandole rinunzierebbero definitivamente al progetto, per loro irrinunciabile, di riprendere la lotta per l'estinzione dello stato ebraico quando i rapporti di forza, anche solo per ragioni demografiche, risultassero diversi e più favorevoli.
Quasi mai basta la retorica per cambiare il corso della storia. Costituire lo stato di Israele sessanta anni fa è stato un errore. Un errore determinato dall'Olocausto degli Ebrei durante la Seconda guerra mondiale, che ha trasformato l'accoglimento dell'assurda pretesa di un nazionalismo di matrice religiosa in un risarcimento dovuto. Ma quel risarcimento ha scatenato dinamiche tragiche e difficilmente controllabili.
Ora il male minore è rappresentato dalla garanzia dell'esistenza dello stato ebraico, in quanto sola democrazia genuina dell'area mediorientale e solo affidabile alleato delle democrazie occidentali. Pare inoltre verosimile che tale garanzia, qualora la crisi possa rimanere circoscritta nei limiti spaziali attuali, rappresenti la misura più idonea a contenere quantitativamente sofferenze e violenza. Questa misura si può realizzare purtroppo soltanto imponendo oggi come domani ai Palestinesi di abbandonare i loro obiettivi più sacri e sentiti. I fervorini di Obama certamente non basteranno. Solo il realismo più duro forse eviterà che scorra troppo sangue.

domenica 7 giugno 2009

Blog. La quantità non basta.

Sono ormai molti milioni i blog che affollano la rete. L'esplosione del fenomeno dei blogger mi pare senz'altro da valutare positivamente. C'è un diffuso e sincero desiderio di migliorare in questo modo noi stessi e la società in cui viviamo. Ma francamente vedo da parte di molti un approccio sbagliato a questo strumento rivoluzionario.
Quando ci accingiamo a pubblicare qualcosa dovremmo sapere che nella quasi totalità dei casi ciò è già stato detto prima e meglio. Ma soprattutto è stato già discusso e criticato a fondo con argomenti di grande valore. Dovremmo essere ben consapevoli che partecipare a lunghe catene di sant'Antonio, intessute di invettive e di insulti, che trasmettono spesso soltanto leggende metropolitane e bufale grossolane, non significa fare informazione.
Dovrebbe essere ben chiaro che acquisire e valutare informazioni di prima mano è molto difficile. 
Non c'è il vuoto dietro di noi. Ci sono generazioni di uomini intelligenti e sensibili quanto noi, che si sono occupati di problemi spesso simili a quelli che oggi ci assillano. Riflettere sulle loro domande e sulle loro risposte ci consentirebbe di fare migliori domande e di dare migliori risposte.
Vengono meno spesso un approccio veramente critico ed autocritico, un contatto vivace con il diverso, l'accettazione di una costruttiva competizione delle idee. Manca insomma la comprensione della vera natura del progresso intellettuale e civile. Si tratta di un'impresa collettiva che ha per componente essenziale il contatto critico non solo fra gli uomini di oggi ma anche tra gli uomini di oggi e quelli di ieri.
La storia fa davvero salti. Realmente emerge il nuovo. Ma questo non ci autorizza ad evitare il prezioso confronto critico con ciò che nuovo non è. E che spesso purtroppo non conosciamo. E' comprensibile e perfino utile che difendiamo a fondo le nostre idee. Ma evitare il contatto con opinioni che non condividiamo non ci aiuta e danneggia tutti.

mercoledì 27 maggio 2009

L' insostenibile fascino del dialogo. La politica estera di Obama.

Gli USA, colpiti duramente dalla crisi economica, fuori dei loro confini devono fronteggiare situazioni esplosive. Purtroppo però le prime mosse della nuova amministrazione possono rendere ancora più incontrollabili e pericolose crisi già di difficile soluzione. Il territorio dell'Iraq è in larga misura desertico e pianeggiante. Non consentendo l'infiltrazione dall'esterno di consistenti forze avversarie organizzate, la guerra intrapresa dagli Usa ha potuto avere un esito per essi sostanzialmente favorevole. Proprio per la natura del suo territorio l'Iraq non poteva essere per gli americani un nuovo Vietnam.
In Afghanistan invece gli USA non possono vincere una guerra circoscritta. Perchè il tentativo di prevalere in Afghanistan determina l'estensione dei combattimenti al Pakistan, popoloso paese islamico dotato di armi nucleari ed il cui governo è un fondamentale alleato. Obama può o abbandonare l'Afghanistan ai talebani presentando la resa come una vittoria della diplomazia o chiedere al governo pakistano di combattere i fondamentalisti islamici nel proprio paese. Su richiesta dello stesso Obama il nuovo governo pakistano ha iniziato operazioni militari su larga scala contro i fondamentalisti ed i talebani usciti dall'Afghanistan. Ora almeno un milione di profughi è in fuga dalle zone di guerra e la guerra civile rischia di divampare in tutto il Pakistan.
Così in Medio Oriente Obama ha cercato il dialogo con l'Iran. Ottenendo il risultato di incrementare le paure e il senso di insicurezza di Israele. Ha in questo modo reso più difficile la composizione della crisi palestinese, mentre il governo israeliano potrebbe essere rafforzato nella sua decisione di distruggere le installazioni atomiche iraniane. Dunque un esordio, quello del presidente americano in politica estera, che ha purtroppo buone possibilità di aggravare le crisi atto.
Date le attuali circostanze, che egli non può modificare se non in minima parte, nelle questioni più spinose gli spazi di mediazione sono quasi inesistenti. E la minaccia dell'uso della forza da parte di questa amministrazione USA ha perso pressochè ogni credibilità. Con il risultato paradossale di accrescere il rischio di guerra invece che ridurlo.

sabato 23 maggio 2009

La Chiesa e i divorziati risposati.

E' molto discusso l'atteggiamento della Chiesa cattolica verso i divorziati risposati. Mentre nelle altre chiese cristiane si tende a riammetterli nella comunione dei fedeli, in quella cattolica i sacerdoti generalmente negano la possibilità di ricevere l'Eucarestia. Certo si tratta di casi di fatto diversissimi tra loro. Ma nell'opinione comune la Chiesa sembra così non osservare quel dovere di vivere secondo carità che essa stessa presenta come fondamentale. A ben guardare però la grande maggioranza dei matrimoni in crisi va incontro al fallimento proprio perchè tra i coniugi viene meno lo spirito di carità. Il severo atteggiamento della Chiesa in realtà vale a richiamare i coniugi cristiani al dovere di praticare reciprocamente la carità stessa dentro al matrimonio. Considerata da questa prospettiva la posizione della Chiesa cattolica non sembra incoerente. E forse anche chi chiede, non senza buone ragioni, comprensione per i cristiani che affrontano una nuova esperienza matrimoniale dovrebbe prima di tutto sottolineare la necessità della comprensione reciproca all'interno di ogni relazione coniugale.

domenica 17 maggio 2009

Preferenze. Una battaglia sbagliata.

Tra poco si terranno le elezioni per il Parlamento europeo ed amministrative. Si tratta di elezioni dove è possibile esprimere preferenze. Possibilità che molti invocano anche per l' elezione del Parlamento italiano.Tale facoltà viene presentata come indispensabile momento di democrazia e come strumento efficacissimo per rinnovare e migliorare la rappresentanza politica. 
Si dovrebbe però considerare che comunque i candidati, uno o pochi che siano, vengono designati dai partiti, sostanzialmente con un meccanismo di cooptazione. Che si ha una significativa differenza tra candidati di uno stesso partito solo quando questo è diviso in correnti di cui i candidati sono espressione. Che la divisione di un partito in correnti in competizione ne indebolisce l' azione. Che la concorrenza per il conseguimento delle preferenze eleva il costo della politica, spingendo i candidati singolarmente o con la corrente di appartenenza a procurarsi risorse finanziarie con mezzi leciti e non raramente illeciti.
Dunque quella per le preferenze pare una battaglia sbagliata. In realtà, in una democrazia sana, è la competizione tra grandi partiti, ciascuno capace di proporsi concretamente come forza di governo, a spingere i gruppi dirigenti di tali partiti alla scelta dei candidati con maggiori possibilità di successo. E' dunque la pressione esterna, più che quella interna, a risultare più efficace ed utile per il paese.

venerdì 8 maggio 2009

L'invasione dei "senzatutto".

Il recente caso dei cosiddetti migranti riportati in Libia senza consentire lo sbarco in Italia riaccende per l'ennesima volta il dibattito sulla loro accoglienza. Si distingue nel chiedere attenzione ai loro bisogni e diritti la Chiesa cattolica. La Chiesa fa il suo dovere. Ma sono molti milioni le persone che ormai premono alle frontiere di un'Europa in crisi eppure capace di suscitare speranze tali da indurre ad accettare rischi elevatissimi. Dunque un'accoglienza a maglie larghe è impossibile. Mi pare che, accantonando ipocrisie vecchie e nuove, diventi sempre più centrale il problema del governo di quei paesi che non riescono ad assicurare una tutela adeguata dei diritti fondamentali e condizioni di vita dignitose. Si tratta spesso di dirigenti locali corrotti e/o inetti. Senza una decisa ingerenza da parte dei paesi chiamati a fornire aiuti e ad accogliere chi emigra la situazione non cambierà. Certo interventi non soltanto umanitari ma soprattutto diretti ad imporre modelli amministrativi, politici ed economici sono costosi ed impopolari, non potendosi escludere la necessità di operazioni militari assai protratte nel tempo. Ma la questione è ineludibile. Karl Popper, in una intervista di pochi anni fa al tedesco Spiegel, si espresse con una franchezza brutale in questi termini: "...è un fatto che va principalmente riportato alla stupidità dei dirigenti dei diversi Stati della fame. Abbiamo liberato questi Stati troppo rapidamente ed in modo troppo primitivo. Questi Stati non sono stati di diritto. La stessa cosa accadrebbe se si lasciasse a se stesso un asilo infantile." Sono parole così dure da sembrare irritante espressione di ottusità. Ma sono davvero così lontane dalla realtà? Karl R. POPPER, Tutta la vita è risolvere problemi, 1996, pag. 265

venerdì 1 maggio 2009

Quando la debolezza paga. La logica paradossale della strategia.

L'accordo Fiat-Chrysler, ad una mente avvezza più alla riflessione politico strategica che a quella economica, può ispirare la seguente considerazione. La compagnia torinese non è certo la sola a possedere le tecnologie indispensabili alla ristrutturazione dell'azienda automobilistica statunitense, né ad avere amministratori capaci. Ma per le sue dimensioni relativamente modeste, per la sua ancora importante debolezza finanziaria, per l'appartenenza ad un sistema-paese poco dinamico ed ancor meno capace di influenzarne altri, retto da governi tradizionalmente non solo alleati ma anche amici, presenta le caratteristiche di un partner privo di tendenze espansive politicamente ed economicamente inaccettabili. Per questo, prima di tutto, mi pare sia stata preferita ad altre.
La debolezza diviene un punto di forza. Si tratta di un percorso logico paradossale. Però molto della vita e della storia si presta a questa chiave di lettura.

Chi vuole trovare in rete un interessante libro di qualche anno fa che getta acutamente luce sulla logica paradossale della strategia può cercare :

Edward N. LUTTWAK, Strategia. Le logiche della guerra e della pace nel confronto tra le grandi potenze

venerdì 24 aprile 2009

L'antifascismo in mezzo al guado. Un'anomalia italiana.

Sono i giorni dedicati al ricordo della Resistenza italiana. Tanti uomini coraggiosi persero la vita per liberare il paese dall'occupazione nazista e da ciò che restava della ventennale dittatura fascista.
Oggi dobbiamo essere consapevoli, dopo aver visto ed appreso altre drammatiche vicende, che un antifascismo che non sia saldamente radicato in una generale avversione per il totalitarismo è monco, incompleto. E purtroppo monco, incompleto, incompiuto fu l'antifascismo della componente maggioritaria della nostra Resistenza, legata al totalitarismo comunista sovietico ed a questo subordinata. Molti italiani si sacrificarono anche per tentare di sostituire un regime autoritario con un altro, non meno pericoloso.
Si è a lungo parlato di tradimento degli ideali della Resistenza. Ma il primo grande tradimento degli ideali della maggior componente della nostra Resistenza fu proprio l'entrata in vigore della nostra Costituzione liberaldemocratica, che garantisce le libertà e i diritti fondamentali calpestati nei paesi comunisti.
Purtroppo la nostra Resistenza in larga misura non è stata la resistenza nazionale e democratica che invece prevalse nel Nord Europa ed in Francia, con De Gaulle. Questa è stata una fondamentale anomalia italiana. Qui ha origine la guerra civile strisciante che ha segnato il Secondo dopoguerra italiano fino alla prima metà degli anni Ottanta. Qui ha origine il blocco della democrazia italiana, logorata dalla mancanza di alternanza, sfiancata dalla corruzione.
Insegniamo ai nostri giovani a rifiutare e a combattere ogni totalitarismo. Solo allora potremo commemorare la nostra Liberazione nel modo migliore: onorando insieme la libertà e la verità.

lunedì 13 aprile 2009

Un potere politico senza responsabilità politica. Mito e realtà della separazione dei poteri in una democrazia libera.

Da lungo tempo ormai, con periodiche accelerazioni, si sviluppa in Italia il dibattito sulla riforma della Costituzione e dell'ordinamento giudiziario.
I difensori ad oltranza dell'esistente, quanto alle prerogative ed alla struttura degli organi giurisdizionali, si richiamano ad una inesistente teoria liberaldemocratica classica della separazione dei poteri, erroneamente ricondotta a precursori della teoria liberale come Locke e Montesquieu.
Questi infatti, guardando all'Inghilterra loro contemporanea ed ispirandosi alle sue istituzioni, non pensavano affatto a una separazione dei poteri consistente in una separazione di corpi autonomi ed indipendenti di funzionari pubblici, dotati della titolarità esclusiva di una funzione, da realizzare anche con la formazione di un potere giudiziario in questo senso separato. Il loro obiettivo era non tanto quello della "separazione dei poteri", quanto piuttosto quello della divisione del potere.
Ed infatti ancora oggi
negli USA i giudici della Corte Suprema federale, che in sostanza concentra in sè i compiti delle nostre Corte Costituzionale e Corte di Cassazione, sono scelti e nominati dal Presidente degli Stati Uniti, eletto democraticamente. Mentre i vertici della pubblica accusa, esercitata di solito da avvocati dello stato, sono direttamente eletti dai cittadini o comunque, sia pure indirettamente, rispondono politicamente ad essi. Così in Inghilterra, fino ad oggi, le funzioni di Corte Suprema sono state in gran parte attribuite ad un organo del Parlamento, i Law Lords, sulla cui nomina ha influito in modo determinante il governo. In tali ordinamenti del resto le attribuzioni dei giudici sono circoscritte mediante l'ampio ricorso all'istituto della giuria popolare.
Quando si riflette su questi problemi da una prospettiva liberaldemocratica bisogna essere ben consapevoli di quanto segue.

1) L'interpretazione della legge, ineliminabile in qualsiasi ordinamento, ha sempre una connotazione politica. "Interpretando" la legge si influisce sull'indirizzo politico del paese.

2) Anche quando, come nel nostro paese, formalmente l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio, in realtà chi esercita l'azione penale svolge sempre, necessariamente, un ruolo di scelta.

Materialmente non tutti i reati possono essere perseguiti. Inoltre non tutti i reati possono essere perseguiti con la stessa intensità. La scelta operata, anche solo di fatto, nell'esercizio dell'azione penale si risolve dunque nell'adesione ad una "politica criminale" in luogo di un'altra. Ha quindi certamente una connotazione politica. E' perfino possibile che esercitando l'azione penale un magistrato riesca deliberatamente ed indebitamente a danneggiare uomini e partiti politici.
La previsione di un potere giudiziario tendenzialmente separato da legislativo ed esecutivo, dotato di una rilevante possibilità di influenzare l'indirizzo politico, senza dover rispondere direttamente od indirettamente ai cittadini, rappresenta un pericolo per la democrazia libera. Infatti gruppi o movimenti politici, al di fuori di ogni vero controllo democratico, possono utilizzarlo per sovvertire nella prassi quotidiana le istituzioni democratiche. Un potere politico senza responsabilità politica non deve trovare posto in un ordinamento libero e democratico.

Si rifletta sul nostro ordinamento, dove in teoria le sentenze della Cassazione esplicano la loro forza vincolante solo nel caso giudicato. Tale Corte svolge un ruolo di difesa generale della corretta ed uniforme interpretazione della legge direttamente od indirettamente riconosciuto dall'ordinamento. Ma anche le sentenze dei giudici inferiori, sia pure con minore autorevolezza, "fanno giurisprudenza". Dunque non sono prive, di fatto, di effetti che vanno al di là del caso esaminato. Per non parlare dell'attività della Corte Costituzionale. Qui il problema del senso concreto della separazione dei poteri diventa evidentissimo.


sabato 4 aprile 2009

Enrico Caviglia. L'Italia che non è stata.





A più di mezzo secolo dalla precedente edizione vengono ripresentati in libreria, in veste economica, i diari 1925-1945 di Enrico Caviglia, tra i più influenti generali italiani durante la Prima guerra mondiale, poi maresciallo d'Italia. Che senso ha ricordare oggi questa grande figura, purtroppo pressoché dimenticata? Caviglia rappresenta l'Italia che sarebbe potuta essere e non fu, non è.
Fedele servitore delle istituzioni costituzionali, tecnico capace, uomo colto e coraggioso, disprezzava la retorica e quell'atteggiamento superficialmente arrogante e presuntuoso, spesso erroneamente confuso con il vero coraggio, che egli chiamava "spavalderia". 
Dopo l'avvento della dittatura fascista fu privato della possibilità di influire sugli eventi e gli furono negati incarichi non di semplice rappresentanza. In due momenti cruciali della storia italiana, quando il movimento fascista tentava di prendere il potere e alla caduta di Mussolini nel luglio 1943, ricorrere alle sue doti di coraggio, intelligenza e fedeltà alle istituzioni rappresentò per il Re e per l'Italia la scelta migliore. Ma, com'è noto, la storia prese un'altra direzione.
Riporto di seguito questa sua acuta riflessione, tratta dai diari citati, più che mai attuale in questo momento di crisi in cui molti, presi totalmente dal presente, perdono di vista il futuro dei nostri giovani e del paese intero.

"L'uomo politico deve tenere conto delle grandi correnti di interessi e di sentimenti e saper distinguere le correnti transitorie da quelle che additano ai popoli la via da seguire a scadenza di generazioni.
Deve conoscere la situazione morale, politica ed economica generale per valutare con tranquilla coscienza gli elementi e i fattori che interessano il suo popolo.
Se sarà invece assorbito completamente dalla situazione interna del proprio Paese e da interessi immediati che premono ad ogni piè sospinto, egli non guiderà il suo popolo, ma andrà con quello alla deriva"
. (pag.39)

E' del curatore del suo Diario, Pier Paolo Cervone, questa biografia del maresciallo d'Italia Enrico Caviglia

Qui Vittorio Veneto di Enrico Caviglia


Enrico CAVIGLIA, I dittatori, le guerre e il piccolo re

Diario 1925-1945
A cura di Pier Paolo Cervone

Da leggere con attenzione, infine, la lucida sintetica biografia di Giorgio Rochat.



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