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martedì 29 gennaio 2013

Nord Africa e Medio Oriente. La prospettiva propagandistica.




In una lucida analisi del rapporto tra sicurezza europea e destino dell'unione politica europea Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera del 28 gennaio 2013, ha riassunto le preoccupazioni per la situazione delle aree di espansione dell'islamismo radicale:

"Dodici anni dopo l'attacco dell'11 Settembre, appare chiaro che il mondo occidentale sta perdendo la battaglia per contenere la diffusione dell'islamismo radicale. Né la strategia di Bush né quella di Obama, pur diversissime, hanno dato i frutti sperati. In Afghanistan e in Pakistan la minaccia non è stata affatto debellata. Per parte loro, le rivoluzioni arabe, che tante speranze avevano suscitato, hanno accresciuto il pericolo.
Nel più importante Paese arabo, l'Egitto, l'opposizione si scontra ormai quasi quotidianamente nelle piazze con il governo islamista, democraticamente eletto ma già nel mirino di Amnesty International per le continue violazione dei diritti umani. Nel frattempo, i salafiti dilagano nell'Africa subsahariana (aiutati anche dalla dabbenaggine esibita da noi occidentali nella vicenda libica). Cercano di creare nuovi Afghanistan in grado di minacciare chiunque, europei inclusi, ostacoli il loro disegno espansionista".

A tali preoccupazioni si accompagnano spesso critiche rivolte ai governi occidentali che quelle rivoluzioni hanno appoggiato e forse fomentato. Perchè togliere l'appoggio a regimi dispotici ma amici dell'Occidente per dare aiuto ai compositi movimenti rivoluzionari? Non erano forse già allora chiari i rischi?
Bisogna prendere in considerazione l'alternativa. Continuare a puntellare i regimi corrotti e autoritari del Nord Africa e del Vicino Oriente si sarebbe rivelato dannoso anche sul piano politico-propagandistico. La memoria storica dei musulmani e degli arabi in particolare raggiunge livelli di intensità e sensibilità ormai non ravvisabili in Occidente, come ha ben sottolineato Bernard Lewis:  "I popoli musulmani, come tutti i popoli del mondo, sono stati plasmati dalla loro storia, ma a differenza di altri ne sono fortemente consapevoli" (La crisi dell' Islam, 2004, pag. 5) .
Le vicende passate forniscono chiare indicazioni sui danni a lungo termine prodotti da atteggiamenti impresentabili in ambito politico-propagandistico. Basti pensare al colpo di stato contro Mossadeq in Iran. Nel 1951 "l'autorità dello scià subì un duro colpo...quando, cedendo alle pressioni dell'opinione pubblica, nominò alla carica di primo ministro un eccentrico nazionalista, il dottor Muhammad Mossadeq. Questi, per prima cosa, nazionalizzò l'industria petrolifera, sfidando il governo britannico che possedeva il 50 per cento della Iranian Oil Company".
"La Gran Bretagna e ancor più gli Stati Uniti esagerarono sulla vulnerabilità di Mossadeq all'influenza dei comunisti". Nel 1953 "la CIA e il SIS organizzarono congiuntamente un colpo di Stato che rovesciò Mossadeq e restaurò l'autorità dello scià". "Il breve successo del colpo di Stato, tuttavia, fu abbondantemente offuscato dal danno a lungo termine subito dalla politica americana e britannica in Iran. Fu semplicissimo, per il KGB, alimentare tra gli iraniani la convinzione già ampiamente diffusa secondo cui la CIA e il SIS continuavano a manovrare oscuramente dietro le quinte. Persino lo scià giunse a sospettare, in alcuni casi, che la CIA stesse cospirando contro di lui" (Christopher ANDREW e Vasilij MITROKHIN, Una storia globale della guerra fredda, 2005, p.183 e seg.).

Il sostegno offerto alle rivoluzioni arabe, pur criticabile sotto altri profili, pone innegabilmente l'Occidente in una posizione meno difficile sotto quello propagandistico, di fronte alla stretta illiberale operata dai movimenti islamici radicali. Chi ha già difeso libertà e democrazia può oggi con qualche coerenza opporsi a chi intende soffocare ogni genuina aspirazione ad esse.

mercoledì 23 gennaio 2013

Gli USA di Obama evitano il baratro ma non il declino.





Gianni Riotta su La Stampa del 22 gennaio 2013 ha così delineato le prospettive della seconda presidenza Obama:

"Il brusco passaggio dall’utopia alla realtà è la cifra del secondo mandato di Obama".
"Non si può più - Obama lo sa, ma non ha fatto nulla, perfino stracciando le proposte di una commissione bipartisan convocata sul tema - spendere come se le tasse Usa fossero altissime e tassare come se la spesa Usa fosse ridottissima. Alta spesa e basse tasse sono, da G. W. Bush soprattutto, somma rovinosa. Con un numero record di americani che vanno in pensione, figli del boom del dopoguerra, le tre voci di spesa, difesa, sanità e pensioni, vanno tagliate. Gli economisti più intelligenti, come Rogoff, propongono di «tagliare la spesa attraverso l’innovazione», riformando cioè esercito, ospedali, sussidi agli anziani e scuole con le tecnologie, per fornire servizi a spesa ridotta. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo agli elettori".

"Nessuno ha il coraggio di dirlo agli elettori". Sono le aspettative degli elettori, da sempre e sempre più nelle democrazie occidentali, ciò che fa la differenza.

Sul Corriere della Sera del 23 gennaio 2013 Giovanni Sartori ha scritto:

" Un libro molto letto, oggi, nelle università americane, è Prozac Leadership di David Collinson: un titolo che dice tutto, e cioè che il crac è figlio di una cultura che "premiando l’ottimismo ha indebolito la capacità di pensare criticamente, ha anestetizzato la sensibilità al pericolo"".

In America come in Europa è difficile dire agli elettori verità che non sono preparati a sentire e a capire. I problemi di competitività posti dalla globalizzazione e l' insostenibilità del nostro welfare appaiono spesso argomenti tabù. Eppure questi sono i temi decisivi e pressanti. Non a caso sono stati pubblicamente discussi nei paesi che meglio hanno retto l' urto della crisi. I politici tedeschi ne parlano, compresi da un elettorato che meno di altri si lascia suggestionare dagli imbonitori.
Alcuni recenti dati mettono a nudo le difficoltà strutturali dell' economia americana. Le grandi compagnie dell' hi-tech mostrano un' insolita caduta dei profitti:

"E' il poker dell'hi-tech a stelle e strisce: Google, Ibm, Apple e Microsoft. Ma questa volta la "mano" giocata degli utili tecnologici questa settimana non basterà a vincere la partita dei profitti a Wall Street: le aziende dell'alta tecnologia, abituate a sbancare con marce inesorabili dei bilanci e trainare l'intera stagione dei conti, questa volta usciranno sconfitte. Le performance, ammoniscono gli analisti, dovrebbero mostrare nell'insieme - cioe' una volta sommate 70 grandi società - un insolito calo dei profitti trimestrali" ( Marco Valsania - Il Sole 24 Ore).

Fondamentale importanza ha la bilancia commerciale. L' ormai abituale deficit aumenta, ma soprattutto tale aumento non è determinato dalle importazioni di petrolio nè dalle vicende del settore alimentare, bensì dall' andamento dei beni di consumo:

 "Brutta sorpresa per i mercati dagli Stati Uniti. A novembre il deficit commerciale Usa è cresciuto del 15,8%, a 48,73 miliardi di dollari, dai 42,06 miliardi di dollari di ottobre (dato rivisto al ribasso dai precedenti 42,24 miliardi). Gli analisti avevano previsto invece un ribasso a 41,2 miliardi, sulla scia del calo dei prezzi del petrolio.
Il risultato è dovuto principalmente all'aumento delle importazioni di beni non petroliferi, che hanno toccato livelli record. Se dal conteggio si esclude l'oro nero, il dato ha raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni. Lo ha reso noto il dipartimento del Commercio americano.
In generale le importazioni sono aumentate del 3,8%, a 231,28 miliardi, con rialzi soprattutto per i beni di consumo. In particolare, gli acquisti di cellulari sono saliti del 27% e i prodotti farmaceutici quasi del 20%. L'import di greggio è sceso a 23,68 miliardi di dollari, dai 25,9 miliardi di ottobre. Il prezzo medio del barile è calato di 2,3 dollari, a 97,45 dollari" (FIRSTonline).

Quando il consumatore può spendere continua ad acquistare beni di produzione straniera, più competitivi rispetto a quelli prodotti negli Stati Uniti. Senza una manifattura ad alto valore aggiunto davvero competitiva gli USA  come l' Europa non possono risolvere i propri problemi, non riescono a creare nuova occupazione di buona qualità e a ottenere redditi più alti per ampi settori della popolazione.
E' sempre più evidente che il lassismo monetario e di bilancio praticato dall' Amministrazione Obama non è in grado di fronteggiare adeguatamente questi problemi strutturali, risultando controproducente. Un severo monito per chi in Italia vorrebbe allentare la disciplina fiscale e monetaria senza un efficace taglio della spesa pubblica corrente.

mercoledì 16 gennaio 2013

La spesa pubblica italiana.


Massimo Fracaro e Nicola Saldutti sul Corriere della Sera del 16 gennaio 2013 sottolineano un principio che dovrebbe apparire a tutti ovvio: 

" Un malvezzo antico, quello dei politici, di parlare delle tasse come piovessero dal cielo. Quasi fossero una specie di epidemia tollerata, ma non voluta.
E così tutti si stanno dichiarando pronti a tagliarle. Meno Imu, meno Irpef, meno Irap, niente aumenti Iva. Facendo finta di dimenticare un piccolo dettaglio, le tasse rappresentano le entrate dello Stato. Quindi c'è una sola strada per ridurle: ridurre la spesa pubblica. Non esistono altre scorciatoie sicure".

Per ridurre le tasse dunque bisogna tagliare la spesa pubblica. Ma nel dibattito pubblico parlare di tagli non basta. Occorre anche rendere l'opinione pubblica consapevole degli elementi costitutivi della spesa pubblica italiana, dell'impossibilità di diminuire adeguatamente la pressione fiscale incidendo soltanto sui settori minori di essa, non toccando quelli più onerosi finanziariamente e delicati sotto il profilo del consenso elettorale.
I dati seguenti si riferiscono al 2010 ma corrispondono ancora alla struttura della spesa pubblica italiana. I comparti più ampi sono costituiti da welfare, sanità ed istruzione. Il servizio del debito pubblico non ha una portata decisiva mentre le spese per gli organi esecutivi e legislativi appaiono percentualmente di modesta importanza.

Spesa pubblica 2010, in percentuale del PIL, classificazione COFOG


Fonte: elaborazioni Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Politecnico di Milano, per Civicum , su dati EUROSTAT; data di estrazione 07.01.2013

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2013/01/12/pop_spesa-pubblica-2010.shtml



Spesa pubblica procapite - Italia (2010)

Fonte: elaborazioni Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Politecnico di Milano, per Civicum , su dati EUROSTAT; data di estrazione 07.01.2013
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2013/01/12/pop_spesa-pubblica-procapite-2010.shtml



Entrate pubbliche - Italia (2010)


Fonte: elaborazioni Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Politecnico di Milano, per Civicum, su dati Conto Economico delle AP

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2013/01/12/pop_entrate-pubbliche-2010.shtml


Roberto Perotti su Il Sole 24 Ore del 10 gennaio 2013 ha scritto:

"Tutti vogliono ridurre le tasse, almeno sui ceti medi e bassi. Ci sono parecchi modi per farlo".
"Il secondo metodo è aumentare le tasse sui ricchi. Purtroppo i conti non tornano: qualsiasi ragionevole definizione di "ricco" si adotti, e qualsiasi aumento ragionevole di aliquota si ipotizzi, il ricavato non sarà sufficiente per ridurre significativamente e in modo duraturo le tasse sui ceti medio e basso. Il terzo metodo è combattere l'evasione. Ma anche qui purtroppo i conti non tornano: la lotta all'evasione, se funziona, porta risultati tangibili solo dopo molto tempo, per via del contenzioso infinito che genera.
Il quarto metodo è ridurre la spesa pubblica. Per ridurre la pressione fiscale di cinque punti percentuali del Pil in cinque anni, e assumendo una crescita reale dell'1% annuo, bisogna ridurre la spesa di circa 70 miliardi ai prezzi attuali".

"Sgombriamo il campo da un equivoco. Vendere immobili e partecipazioni pubbliche va fatto, ma non è una soluzione al problema delle tasse. Se lo stato vende la propria partecipazione in Enel, e usa il ricavato per ridurre il debito lordo, la spesa pubblica primaria e le tasse sui cittadini non cambiano: a minori spese per interessi corrispondono minori introiti da dividendi e tasse sui profitti Enel. Se invece usa il ricavato della dismissione per ridurre una tantum le tasse sui cittadini, qualche altra tassa dovrà aumentare permanentemente per compensare la riduzione degli introiti da dividendi e da tasse sui profitti Enel".

Dal lato della spesa non si può non porre mano alla ristrutturazione di settori delicatissimi. Bisogna che welfare, sanità ed istruzione pesino meno e funzionino meglio. Disciplina pubblica e ricorso a strumenti privati devono caratterizzare uno stato sociale che fornisca servizi gratuiti soltanto agli indigenti. 
Mentre dal lato delle entrate occorre rivolgersi agli elettori con grande chiarezza: patrimoniali comunque modulate, alienazione dell'attivo pubblico, lotta all'evasione ed accentuazione della progressività del sistema fiscale non risolveranno il problema del suo peso insostenibile per una economia chiamata a fronteggiare i pressanti problemi posti dalla globalizzazione.
Solo uno stato più snello, leggero e circoscritto può pesare meno sulle imprese, sui lavoratori e sui consumatori, ritornando a  garantire i presupposti di uno sviluppo durevole ed equilibrato.

giovedì 10 gennaio 2013

Italia. La palude tra ricchezza privata e debito pubblico.


http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/Corriereconomia/2012/10/16/pop_confronto-sorprendente.shtml


Secondo uno dei mantra più ripetuti nel dibattito pubblico italiano la situazione socio-economica del paese non deve destare grande preoccupazione perchè a fronte di un imponente debito pubblico esiste una notevolissima ricchezza privata.

"Il debito pubblico di tedeschi e americani è uguale al nostro. Impossibile? Eppure è vero. Basta metterlo in rapporto con la ricchezza delle famiglie al netto delle passività: Stati Uniti (23,3%), Italia (22,3%) e Germania (22,2%) sono praticamente allo stesso livello (vedi grafico). E questo accade perché, nonostante i guai, la stanchezza, la non crescita le famiglie italiane sono ancora tra le più ricche del mondo" (Giuditta Marvelli sul Corriere della Sera del 16 ottobre 2012).

Non si dimentichi però che la ricchezza privata diventa risorsa pubblica solo se acquisita all'erario con l'imposizione fiscale, in Italia già altissima. E che il risparmio contribuisce ad allargare la base imponibile, in una economia sana, attraverso l'investimento privato, reso conveniente da una cornice normativa e una struttura produttiva adeguate.

Ricchezza privata e debito pubblico sono nel contempo divisi e connessi dalla palude di norme, consuetudini, vizi, ritardi e inefficienza che contraddistingue la via italiana alla modernità. Il ricorso a narrazioni suggestive e consolatorie non giova al paese, che ha invece bisogno di coraggiose e lungimiranti riforme strutturali, dirette a consentire un efficace e determinante contributo del riparmio privato, espressamente tutelato dalla Costituzione  (art. 47), alla crescita economica e al progresso civile.





mercoledì 2 gennaio 2013

Capitalismo clientelare, crony capitalism.






Il capitalismo e il libero mercato piacciono meno, anche dove più erano visti favorevolmente dall'opinione pubblica. "Il sostegno popolare era fondato sul fatto che i benefici di questo sistema erano diffusi all'interno della società americana e sulla convinzione che il sistema fosse sostanzialmente equo. Purtroppo... questi due punti di forza hanno cominciato ad affievolirsi. La riduzione del tasso di crescita economica e della mobilità sociale hanno minato l'immagine del libero mercato come grande motore di benessere per tutti" (Luigi ZINGALES, Manifesto capitalista, 2012, pp. 24 e 25).
Una delle maggiori cause di questo crollo di consenso ed ancor prima di efficienza è la trasformazione dello stesso sistema, che sempre più ha assunto i tratti del cosiddetto capitalismo clientelare o crony capitalism. In questo il successo negli affari dipende dalle relazioni tra operatori economici e funzionari pubblici. La parte del PIL controllata dai governi è sempre maggiore. Sono ormai sussidi, incentivi, appalti, autorizzazioni e licenze, assegnati  spesso discrezionalmente dalle agenzie pubbliche, a determinare la fortuna e la semplice sopravvivenza di imprese e manager.
Le relazioni personali, le conoscenze, prevalgono sulla conoscenza, sul merito, sulle capacità personali. La mobilità sociale è frenata, l'allocazione delle risorse è distorta, la crescita economica risulta ridotta o bloccata e comunque incapace di distribuire i suoi benefici effetti in un modo considerato equo dai più.
Per uno dei tanti paradossi che segnano la storia l'insostenibilità e l'inefficienza di questa forma perversa di capitalismo sono state rese evidenti soprattutto dalla globalizzazione. Proprio dalle nuove potenze economiche, dove il capitalismo clientelare connota pesantemente uno sviluppo impetuoso caratterizzato da colossali esternalità negative, è praticata una concorrenza idonea a stressare in profondità le economie dei paesi dalla più antica e avanzata capacità produttiva.
Queste nuove potenze economiche conoscono una crescita imponente nonostante il capitalismo clientelare, non grazie ad esso. Sono finora prevalsi fattori politici, sociali e culturali capaci di compensare tali tratti del modello di sviluppo. Il ruolo delle nuove potenze è decisivo. Le economie delle democrazie occidentali sono schiacciate tra il martello da esse costituito e l'incudine rappresentata da uno stato sociale insostenibile e da un "welfare delle imprese" che anziché promuovere frena la crescita.
Occorre una nuova consapevolezza che conduca ad una graduale ma efficace riforma dei sistemi occidentali. Uno stato sociale più snello diretto a sostenere i più deboli e una cornice normativa che riduca l'intervento pubblico discrezionale in economia, valorizzando regole caratterizzate il più possibile da generalità e semplicità ed abbattendo sussidi ed incentivi, possono consentire di ridurre la pressione fiscale e ritrovare il dinamismo perduto.


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