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venerdì 25 febbraio 2011

L'ex ambasciatore Ronald P. Spogli sulle relazioni tra Italia e Stati Uniti.

Ronald P. Spogli, imprenditore di origini italiane, nato nel 1948, è stato ambasciatore degli Stati Uniti in Italia dal 2005 al 2009, durante la presidenza di George W. Bush.

"Nella frenesia di segnar punti a proprio vantaggio, che domina l'infuocata scena politica italiana in questo momento, ciò che è andato perso è il giudizio imparziale sui rapporti tra Italia e Stati Uniti instaurati da Silvio Berlusconi e dai governi da lui guidati".

"Gli Stati Uniti non hanno miglior alleato dell'Italia sul continente europeo".

"Dai Balcani, dal Libano, dall'intera area del Medio Oriente fino in Iraq e Afghanistan, il contributo italiano in termini di uomini, materiali e aiuti finanziari a sostegno di politiche e iniziative condivise resta impareggiabile. Quando è stata invitata ad appoggiare un obiettivo americano, l'Italia non si è mai tirata indietro. La nostra cooperazione alla difesa è in continuo sviluppo e oggi i nostri rispettivi Paesi godono di una relazione tra le più strette e variegate, tra tutti i rapporti bilaterali militari".

"Una collaborazione così intensa ha contribuito a innalzare l'Italia a una statura senza precedenti sulla scena politica internazionale. Spesso giudicata in passato un partner di secondo piano, dal 2000 in poi l'Italia ha assunto una posizione di grande rilievo sul palcoscenico mondiale tra i Paesi del G8. In un articolo pubblicato su questo quotidiano nel settembre del 2010, ho avuto modo di commentare come l'Italia abbia saputo, in meno di un decennio, abbandonare la tradizionale immagine di peso piuma a livello mondiale per trasformarsi in un importante e prezioso collaboratore per il mantenimento della pace e della stabilità.
Sotto il profilo storico, per quanto forti e reciprocamente vantaggiosi siano stati in passato, solo con l'insediamento del governo di Silvio Berlusconi nel 2001-2006 i nostri rapporti politici hanno raggiunto la preminenza di cui godono oggi. L'eccellente rapporto personale tra il presidente Bush e il premier Berlusconi è nato da una visione condivisa delle sfide e delle opportunità a livello globale e del modo migliore per affrontarle. Difatti, l'ascesa dell'Italia ad attore chiave sulla scena internazionale è coincisa con un periodo di intensa collaborazione tra Italia e Stati Uniti che si protrae fino ad oggi ed è stata favorita sul versante italiano in primo luogo dai governi Berlusconi del 2001-2006 e del 2008 fino ai nostri giorni. Benché la coalizione di Prodi del 2006-2008 abbia appoggiato anch'essa la maggior parte degli interventi americani - con l'importante eccezione dell'Iraq - nessuno ha mai sostenuto con pari lealtà e coerenza le posizioni politiche americane come Silvio Berlusconi".

"Per il suo spirito collaborativo, l'America ha un debito di gratitudine nei confronti del premier Silvio Berlusconi".

In realtà dopo la Seconda guerra mondiale l'Italia, potenza regionale sconfitta, e gli Stati Uniti, superpotenza globale impegnata prima nella dura contrapposizione all'Unione Sovietica poi nella lotta alle organizzazioni terroriste, hanno costantemente avuto un forte interesse alla collaborazione politico-militare.
Alle tradizionali ragioni dell'alleanza si aggiunge oggi la particolare esiguità delle risorse finanziarie che lo stato italiano può destinare alle Forze Armate. La stretta collaborazione in questo settore con gli Stati Uniti consente di rimediare parzialmente ai problemi creati dall'insufficienza degli investimenti.
Buono è il coordinamento anche con i principali paesi dell' Unione Europea. Ma l'efficienza di un'alleanza è in larga misura determinata da tradizioni e precedenti storici. Complessivamente senz'altro a favore degli Stati Uniti d' America.

lunedì 14 febbraio 2011

La dignità delle donne.





"I diamanti sono il miglior amico di una ragazza".
Questo scintillante personaggio interpretato da una splendida Marilyn Monroe è l'insuperata rappresentazione di "una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia - diciamo così - partecipe chi può concretarla". L'efficace espressione è di Piero Ostellino.

Dunque non da ora in questo senso la dignità della donna è in pericolo. In che modo le donne possono realmente affermare la loro dignità? Con lo studio ed il lavoro prima di tutto.
Scrive il professor Luca Ricolfi su Panorama del 3 febbraio 2011 (pag. 89):
"Non passa giorno senza che la stampa denunci il dramma dell'occupazione in Italia. Due milioni di disoccupati 1 miliardo di ore di cassa integrazione nel solo 2010, quasi 30 giovani su 100 alla ricerca di un lavoro. E poi il dramma del precariato, la difficoltà di conquistare un lavoro stabile e farsi una famiglia".

"Tutto vero". "Però... Però le cose non sono semplici come sembrano. Ancora alla fine del 2008, a crisi ampiamente iniziata, le aziende lamentavano una drammatica mancanza di laureati, in particolare nei settori tecnico-scientifici: ingegneria, matematica, biologia, geologia, chimica, farmacia, agraria. Ed è di pochi giorni fa la notizia che nei prossimi anni potremmo trovarci a dovere importare 15-20 mila medici dall'estero, specie in alcune specialità in sofferenza: anestesia, radiologia, pediatria, nefrologia, geriatria, chirurgia.
In breve, è vero che i laureati non trovano lavoro, ma è anche vero che ci sono in giro troppo pochi laureati nei settori pregiati. I giovani preferiscono le lauree deboli, facili e a basso contenuto scientifico, oppure si indirizzano in massa verso lauree erroneamente ritenute forti, come economia, giurisprudenza e psicologia, dove la promessa di grandi guadagni è bilanciata dal fatto che i laureati sono troppi rispetto ai posti disponibili. Non va meglio sul versante dell'istruzione tecnica e professionale. Da anni le organizzazioni imprenditoriali lamentano la mancanza di pavimentatori, idraulici, elettricisti, informatici, esperti di telecomunicazioni, infermieri, operai specializzati, solo per fare qualche esempio. Però gli istituti tecnici e professionali sono snobbati dalle famiglie, che per i propri figli, e specialmente per le ragazze, preferiscono un'istruzione di tipo liceale, anche se spesso questa non si conclude né con una laurea né con l'acquisizione di un mestiere ben definito.
Per non parlare di quel che accade nel caso dei lavori più umili, particolarmente diffusi in un paese arretrato come l'Italia. Qui i posti di lavoro che si creano ogni anno sono moltissimi, ma agli italiani interessano sempre meno. Basti pensare che fra la fine del 2007 e la fine del 2010, nel cuore della crisi, gli immigrati conquistavano più di 500 mila nuovi posti di lavoro, in gran parte in occupazioni a basso contenuto professionale, sebbene il livello medio di istruzione degli stranieri sia comparabile a quello degli italiani.
Alla fine, a ben rifletterci, il problema della disoccupazione in Italia ha due facce. La mancanza di una seria politica industriale ha fatto sì che nel nostro Paese i posti di lavoro altamente qualificati scarseggiassero. Nello stesso tempo le scelte delle famiglie, ostili al lavoro manuale non meno che agli studi impegnativi, hanno finito per illudere un'intera generazione, cui ora risulta difficilissimo cogliere le non molte occasioni che il mercato del lavoro ancora offre".

Già ora, complessivamente, in Italia le donne si laureano più e meglio degli uomini. Ma siano in testa anche nell'accettare la sfida posta dal mercato del lavoro nei termini esposti da Ricolfi. Siano le prime a dedicarsi agli studi e ai lavori più impegnativi. Non temano mercato e concorrenza, severi con le imprese che non impiegano i più capaci. E scelgano uomini determinati a fare altrettanto. Sarà l'intero paese a ringraziare, reso migliore dal lavoro, non dalla retorica.




giovedì 10 febbraio 2011

Il parlamento nelle democrazie liberali contemporanee.

Luigi Einaudi (1874 - 1961) è stato uno dei pochi grandi liberali italiani. Giurista ed economista, fu governatore della Banca d'Italia, titolare di ministeri economici nei governi De Gasperi e secondo presidente della Repubblica italiana.
In un articolo del 1944 scrive:

"I parlamenti non sono società di cultura od accademie scientifiche. Sono organi, il cui scopo unico è quello di formare governi stabili e di controllarne l'azione. Come disse il primo ministro del primo governo laburista, Ramsay Mac Donald, le elezioni non si fanno per contare le opinioni, per fare il censimento (census, in inglese) delle sette, dei ceti, dei partiti, dei movimenti, dei gruppi sociali, religiosi, politici, ideologici in cui si fraziona una società, la quale sia composta di uomini vivi e pensanti; ma si fanno per mettersi d'accordo in primissimo luogo sul nome della persona che in qualità di primo ministro sarà chiamato a governare il paese, e in secondo luogo sul nome di coloro che collaboreranno con lui o che ne criticheranno l'operato. Le elezioni hanno cioè per scopo di creare il consenso (consensus e non census) intorno ad un uomo ed al suo gruppo di governo ed intorno a chi oggi sarà il suo critico e domani ne prenderà il posto se gli elettori gli daranno ragione. Se non si vuole l'anarchia, questo e non una sterile accademica rassegna di opinioni è lo scopo unico preciso di un buon sistema elettorale".

Einaudi conosceva bene l'evoluzione delle democrazie parlamentari nella prima metà del Novecento. In particolare appare qui chiaro il riferimento alla forma di governo inglese, caratterizzata dalla preminenza del primo ministro rispetto al resto del governo ed alla maggioranza parlamentare.
Il futuro presidente della repubblica mostra di essere ben consapevole delle esigenze delle società e delle economie occidentali. I processi decisionali pubblici devono conformarsi ad elevati standards di efficienza.
Egli cita i fondamentali compiti di controllo ed ispettivi del parlamento, chiamato ad esaminare l'attività della pubblica amministrazione.
Una lezione pienamente attuale, che ci richiama alla realtà.



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