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mercoledì 31 agosto 2011

Democrazia e spesa pubblica: una relazione perversa.

Il professor Ernesto Galli della Loggia, in due recenti editoriali sul Corriere della Sera, ha lucidamente delineato le "democrazie della spesa" contemporanee.
Il 17 agosto 2011 ha scritto:

"Tutto ha inizio con il suffragio universale, cuore di quei regimi. Nei quali, come si sa, ogni tot anni chi è al potere deve per l’appunto cercare di avere un voto in più dei rivali, dimostrare che i propri risultati (ovviamente limitati) sono superiori alle promesse (potenzialmente illimitate) degli avversari. La questione decisiva è dunque ogni volta la seguente: come ottenere quel voto in più? Nel corso del tempo le risposte si sono andate riducendo in pratica ad una sola: spendendo, impiegando risorse per soddisfare le esigenze o comunque le richieste dei più vari gruppi sociali in modo da ottenerne così il favore elettorale. Ma spendere significa trovare i soldi per farlo, cioè tassare. Spendere con una mano e tassare con l’altra è divenuta così la regola generale dei regimi democratici".


" Il deterioramento qualitativo delle classi politiche, infatti, è innanzi tutto un prodotto inevitabile di quella «democrazia della spesa» vigente da tempo nei nostri Paesi, in forza della quale governare significa in pratica solo spendere, e poi ancora spendere, per cercare di soddisfare quanti più elettori possibile (e quindi tassare e indebitarsi: con relative catastrofi finanziarie). Quando le cose stanno così, per governare basta disporre di risorse adeguate, non importa reperite come, o prometterne. L'esercizio del potere si spoglia di qualunque necessità di conoscere, di capire, di progettare, e soprattutto di scegliere e di decidere. Non solo, ma il denaro diviene a tal punto intrinseco alla politica che esso finisce per apparirne il vero e ultimo scopo: a chi l'elargisce come a chi lo chiede o lo riceve. Con la conseguenza, tra l'altro, che dove il denaro è tutto, inevitabilmente la corruzione s'infila dappertutto. La «democrazia della spesa», insomma, è un meccanismo che, oltre a svilire progressivamente la sostanza e l'immagine della politica, contribuisce a selezionare le classi politiche al contrario, non premiando mai i migliori (per esempio quelli che pensano all'interesse generale)".

Analisi largamente condivisibili. Ma quale possibile rimedio? Come, dove intervenire per frenare la degenerazione e risalire la china? Si tratta davvero di un declino che le società aperte contemporanee non possono evitare?
La diffusa convinzione che il meccanismo perverso possa essere disattivato semplicemente colpendo i "politici", infedeli rappresentanti di una "società civile" incolpevole vittima, è gravemente fuorviante.
Si deve invece denunciare non solo il "tradimento" della grande maggioranza degli intellettuali, che ha abbandonato il servizio della verità, ma anche e soprattutto il fallimento della scuola italiana che non ha saputo formare cittadini/elettori responsabili.
Sono mancate l'informazione e l'educazione dei nostri giovani, nel contempo tenuti all'oscuro della realtà delle istituzioni democratiche, dei loro veri problemi, del concreto modo di operare degli stati contemporanei, e spinti a pretendere dai governanti il conseguimento di obiettivi irrealistici, ben lontani dalle nostre possibilità.
In un articolo sul Tempo del 15 luglio 2011, riguardo al problema del debito pubblico, Antonio Martino ha scritto:
" la percentuale di spesa pubblica sulla quale il governo ha, a legislazione invariata, potere d'intervento rappresenta una percentuale molto ridotta del totale. Le spese per interessi, per i dipendenti pubblici, per le "prestazioni sociali" (assai deludenti e niente affatto sociali) sono incomprimibili e rappresentano oltre i quattro quinti del totale. Ha senso tentare di ridurre il 100% agendo solo sul 20%? A me non sembra".
Considerazioni coraggiose nell'Italia di oggi, ma che in un paese serio qualsiasi adolescente di normale intelligenza riterrebbe ovvie, grazie all'educazione ricevuta sui banchi di scuola.


domenica 21 agosto 2011

Mont Pelerin Society.


La Mont Pelerin Society è un'associazione costituita nel 1947 tuttora operante con il fine di difendere e diffondere il liberalismo e la società aperta.
Ideata da Friedrich August von Hayek, premio Nobel per l'economia, ebbe tra i suoi membri Karl Popper, Milton Friedman, Ludwig von Mises, Michael Polanyi, Ludwig Erhard, successore di Konrad Adenauer, e Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica italiana.
Hayek racconta la sua nascita con queste parole ( in F. A. HAYEK, Hayek su Hayek, 1996, pagg. 183 e 184):

"Il dott. Hunold, comunque, ottenne il consenso... per utilizzare i soldi, che erano già stati raccolti in Svizzera, per finanziare il convegno che avevo proposto io. Così, quando riuscii ad ottenere un po' di soldi in più da un ammiratore americano del mio La via della schiavitù, potemmo finalmente organizzare quel convegno, nella primavera del 1947. Fu lasciato a me il compito di stilare sia la lista degli invitati sia il programma del convegno, mentre tutto il lavoro organizzativo fu affidato al dott. Hunold. Il convegno, della durata di dieci giorni, che tenemmo a Mont Pèlerin su Vevey sul lago di Ginevra, riunì 36 studiosi e pubblicisti americani, inglesi e provenienti da vari Paesi dell'Europa continentale. Il convegno ebbe un tale successo che decidemmo di trasformarlo in una associazione permanente che prese il nome dal posto in cui ci incontrammo per la prima volta".

Una delle prime personalità contattate e consultate da Hayek fu il suo amico Karl Popper che rispose con una lettera datata 11 gennaio 1947 (in KARL POPPER, Dopo la Società Aperta, 2009, pagg. 203 e 204) :

"Caro professor Hayek,

al mio ritorno dalla Svizzera ho trovato la Sua lettera del 28 dicembre. Posso ringraziarLa di questo e dirLe che ritengo davvero un grandissimo onore essere incluso da Lei in un elenco che contiene nomi così eminenti?
Penso che l'idea di un'accademia internazionale di filosofia politica sia eccellente; ma sono seriamente preoccupato per una difficoltà.
Ritengo che, per una simile accademia, sarebbe utile, e addirittura necessario, assicurare fin dall'inizio la partecipazione di persone note per essere socialiste o vicine al socialismo".

Popper, rivolgendosi a Hayek, espone diversi motivi di questa opinione, in particolare il seguente:


"La mia posizione personale, come ricorderà, è sempre stata quella di tentare una riconciliazione tra liberali e socialisti; e Lei ha condiviso questa tendenza. Questo non significa, ovviamente, che si debba eliminare o diminuire l'enfasi sui pericoli del socialismo (i pericoli per la libertà). Al contrario. Ma significa che si dovrebbe evitare tutto ciò che possa allargare il fossato fra coloro che amano realmente la libertà e che potrebbero ancora essere conquistati per una cooperazione".

La posizione di Popper manifesta una lucida comprensione del contesto storico politico. Egli, molti anni dopo, nel 1992, così si espresse ( in KARL POPPER, op. cit., pag. 534):

"Benchè" (Hayek) "fosse un grande studioso e un distinto signore, piuttosto riservato nel suo modo di vivere, di pensare e d'insegnare, e benchè avversasse l'azione politica, fondò, poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Mont Pelerin Society. La sua funzione era quella di fornire un contraltare agli innumerevoli intellettuali che optarono per il socialismo. Hayek riteneva che si dovesse fare di più che scrivere saggi e libri. Così fondò una società di studiosi e di economisti pratici che si opponevano alla tendenza socialista allora di moda della maggior parte degli intellettuali che credevano in un futuro socialista. La società fu fondata in Svizzera nel 1947 sul Monte Pèlerin, sulla sponda meridionale del lago di Ginevra. Io ebbi l'onore di essere invitato da Hayek ad essere uno dei membri fondatori".

"Questa società esiste ancora, e per molti anni ha esercitato una notevole influenza nell'ambito della schiera degli intellettuali, in particolare tra gli economisti. Ritengo che il suo primo e forse maggiore risultato sia stato quello di incoraggiare quanti stavano lottando contro l'allora enorme autorità di John Maynard Keynes e della sua scuola".


sabato 13 agosto 2011

Le amministrazioni locali banco di prova per un welfare sostenibile.

I nuovi tagli dei trasferimenti agli enti locali, imposti dalla grave situazione economica, costringeranno molte amministrazioni locali a rinnovare metodi e strutture del welfare. Secondo quali linee guida?
Una preziosa indicazione si può trarre da un recente articolo di Antonio Martino, che scrive:

"Le amministrazioni pubbliche - governo centrale, amministrazioni locali, enti previdenziali, autorità autonome e quant'altro - sono in realtà un sistema di trasferimenti: si finanziano prelevando quattrini dalle tasche di alcuni italiani per trasferirli in quelle di altri italiani. Le dimensioni di questi trasferimenti sono aumentate enormemente nel corso del tempo: se posso ripetermi, nel 1900 rappresentavano il 10% del prodotto interno lordo, negli anni Cinquanta a circa il 30%, oggi superano il 51%. Cosa giustifica questa spaventosa crescita? Certamente non la lotta alla povertà: eravamo più poveri nel 1900 che non negli anni Cinquanta e più poveri nei Cinquanta che non adesso. Del resto, chi crede che le spese delle amministrazioni pubbliche abbiano davvero lo scopo di alleviare il disagio dei nostri concittadini meno fortunati? Se il 51% del reddito nazionale andasse al 20% più povero della popolazione, lo renderebbe immediatamente agiato. Le cose sono assai meno semplici, bisogna considerare altri elementi.

Primo: quanto la collettività riceve ammonta a molto meno di quanto la collettività deve versare all'apparato di trasferimenti pubblico, per via dei costi di trasferimento (burocrazia, politica, corruzione, eccetera). Secondo: chi paga non necessariamente appartiene alle fasce di reddito più alte, chi riceve non necessariamente a quelle più basse. Il finanziamento dell'università, della sanità, e degli enti locali molto spesso proviene dalle tasche di contribuenti a reddito medio-basso o basso, e va in quelle di persone non indigenti, e la redistribuzione diventa regressiva".

"L'indennità parlamentare mi colloca nell'uno per cento più ricco dei contribuenti (ineffabile efficienza del nostro sistema tributario!) eppure ricevo "gratis" i servizi e le medicine fornite dal sistema sanitario nazionale: tassiamo il 99% meno abbiente per dare all'uno per cento più ricco!"

Martino, con la sua abituale coraggiosa lucidità, mette in rilievo uno dei principali fattori di insostenibilità della spesa pubblica italiana: tendenzialmente si vuole dare tutto a tutti. La protezione pubblica, spesso inefficiente, copre anche chi non ne ha davvero bisogno e può da solo meglio provvedere alle proprie necessità, conservando parte del reddito che oggi trasferisce alla finanza pubblica.

Occorre dunque che la mano pubblica tuteli, in modo efficiente, chi non riesce a far da sè. Nulla di meno, nulla di più. Si tratta di collegare le prestazioni al reddito, riducendo l'ampiezza degli interventi della pubblica amministrazione e quindi la sua dimensione e l'entità della spesa pubblica.
L'ostacolo principale che trova questa auspicata rivoluzione del welfare italiano è rappresentato dalla tradizionale incapacità di far emergere i redditi reali, a cui si accompagna un'imponente evasione fiscale. Gli enti locali sono i più vicini al cittadino. Sono perciò in grado di contribuire in modo decisivo anche all'accertamento della sua situazione reddituale. Siano i primi a sperimentare un nuovo modo di costruire assistenza e sanità pubbliche, imperniato sul collegamento tra prestazione e reddito.


lunedì 8 agosto 2011

Il Settecento negli scritti autobiografici di Rousseau e Franklin.




Gli scritti autobiografici delle personalità eminenti rappresentano una via di approccio diretta e privilegiata alla storia. Per il Diciottesimo secolo sono da segnalare per importanza, tra i tanti rilevanti, Le Confessioni di Jean-Jacques Rousseau e l'Autobiografia di Benjamin Franklin.

Nelle Confessioni Rousseau presenta la propria vita non risparmiando dettagli intimi a volte sorprendenti, citando persino episodi di esibizionismo. Sullo sfondo la società e la cultura settecentesche. I melomani troveranno il suo giudizio sulle doti musicali delle ragazze degli orfanotrofi veneziani per cui prestò la propria opera anche Antonio Vivaldi.

L'Autobiografia di Franklin, sia pure incompleta, disegna con efficacia la sua figura poliedrica. Autodidatta, in gioventù tipografo, fu tra i padri fondatori degli Stati Uniti d'America. Incarnò perfettamente l'illuminismo prudente, pragmatico, deista e massone diffuso nei paesi di lingua inglese. Ancora in vita divenne un vero e proprio mito. Rappresenta un modello di successo personale tuttora influente.

L'opera di Rousseau si trova ancora in libreria.
L'ultima edizione italiana dell'Autobiografia di Franklin risale alla fine degli anni Novanta. In inglese si può leggere in rete qui.



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