Con il referendum si mette in scena un altro atto della tragedia greca dei nostri giorni.
Gian Luca Clementi su Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2015 ha scritto:
"Ora che siamo al redde rationem per la Grecia, il comportamento della BCE e del Consiglio europeo, di cui la signora Merkel è membro di spicco, guiderà la determinazione delle aspettative di mercato per ulteriori episodi che potrebbero interessare altri paesi membri, tra cui l’Italia. La percezione che le istituzioni europee diano al governo greco ulteriore sostegno finanziario senza che quest’ultimo si impegni nell’implementare il fatidico piano di riforme, costituirebbe il segnale di via libera per gli Tsipras in erba che crescono rigogliosi ovunque la situazione economica avversa produca malcontento.
I vari Salvini e Grillo, per citare due tra i capipopolo del movimento populista no-euro in Italia, avrebbero un argomento efficace per convincere un elettorato sensibile che il governo dovrebbe sottrarsi al patronaggio delle istituzioni europee e calarsi senza indugio in programma di spese a gogò. È ovvio che, se avessero successo nella loro opera di convinzione, faremmo una fine davvero tragica. E con noi tutta l’Europa".
Sul Corriere della Sera del 1 luglio 2015 anche Danilo Taino sottolinea il ruolo di Merkel:
"In questa cornice, fare la scelta di dare denaro ad Atene senza un programma di riforme avrebbe voluto dire non solo mettersi contro tutti, in Germania e in Europa: avrebbe significato soprattutto rimuovere la pietra angolare dell’Eurozona a 19 Paesi, cioè il fatto che l’unico modo per sperare di stare assieme in un’Unione monetaria è rispettarne le regole. Superata quella linea rossa, liberi tutti, qualsiasi cosa sarebbe potuta succedere. Lunedì ha spiegato che se l’Europa rinnegasse i suoi principi «anche solo momentaneamente, nel medio e lungo termine ne soffrirebbe i danni». Tra cercare di vincere una battaglia sbagliata e cercare di vincere una guerra giusta, la cancelliera ha scelto la seconda strada. E ha dunque modificato il paradigma: salvare l’euro per salvare l’Europa non comporta più l’obbligo di salvare Atene".
Di quale Europa abbiamo bisogno? Come fronteggiare i problemi della competizione economica mondiale? Come tornare a una crescita sana, vitale, capace di creare nuova occupazione?
La risposta del governo tedesco è chiara: conti pubblici sotto controllo, welfare sostenibile, tutela del risparmio, ricostituzione di un adeguato capitale umano con la diffusione delle competenze tecnico-scientifiche, riforma del diritto del lavoro, innovazione produttiva, riduzione della pressione fiscale, ripresa degli investimenti privati, ripristino di una normale certezza del diritto.
Nel dibattito pubblico tedesco emergono i problemi dell'economia reale e possibili soluzioni. E' un chiaro segnale della capacità del paese di affrontare costruttivamente la crisi. Angela Merkel, chiedendo alla Grecia uno sforzo serio e riforme incisive, rifiuta l'Europa delle illusioni e del declino produttivo per promuovere quella dello sviluppo, della produzione, dell'innovazione, della competitività, di un realistico approccio ai problemi posti dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie.
Le ragioni di Merkel sono dunque quelle dell'Europa.