La Rivoluzione francese viene spesso presentata come la fucina delle libertà e dei diritti contemporanei. Quasi una necessaria conseguenza pare a molti l'ostilità della Chiesa cattolica verso quelle idee e quei rapidi mutamenti. Diverse indicazioni si traggono dalla insuperata storia della Rivoluzione francese di Furet e Richet (Francois FURET e Denis RICHET, La Rivoluzione francese, Tomo primo, 1998, p. 154 e segg.):
"La maggior parte del clero e dei fedeli avevano sposato la causa patriottica. L'abolizione della decima ... e la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici... non avevano gravemente compromesso i rapporti fra Chiesa e Stato".
"Fra Chiesa e Stato... si scaverà a poco a poco un abisso su due punti particolari: la tolleranza e l'intervento del potere temporale in campo spirituale".
"... assai più grave fu la pretesa dei legislatori...di avere poteri decisionali sovrani in materie attinenti al campo spirituale e a quello temporale al tempo stesso".
Così furono sciolte le congregazioni religiose fondate sui voti perpetui, tranne quelle che si dedicavano all'assistenza e all'insegnamento. Fu votata la Costituzione civile del clero, che sottrasse al papa l'investitura spirituale. I preti che esercitavano funzioni pubbliche furono obbligati a prestare giuramento alla Costituzione.
"...lo scisma provocherà nella mentalità collettiva una pericolosa spaccatura...Nella strategia controrivoluzionaria entrano così in linea delle formidabili masse di manovra".
La Rivoluzione francese non riuscì, a differenza di quella americana, a consolidarsi come movimento dei diritti e delle libertà. Ne seguì l'ostilità dei cattolici, che nacque soprattutto come resistenza all'emergere di tendenze totalitarie. Qui è il seme del totalitarismo che insanguinò il Novecento. Questa è la chiave di lettura per comprendere i rapporti successivi tra la Chiesa e la sinistra europea.