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giovedì 22 ottobre 2009

Il grande conflitto di interessi nel cuore della democrazia. Perchè la democrazia non è il migliore dei sistemi ma il minore dei mali.





Il cuore della democrazia è rappresentato dalla responsabilità politica dei governanti verso i governati.
Perchè un governo possa essere considerato democratico occorre non solo e non tanto che sia eletto dal popolo, ma soprattutto che si sottoponga al giudizio popolare dopo aver svolto la sua attività. Non sono quindi democratici i governanti eletti a vita.
Il maggior vantaggio offerto dai sistemi democratici consiste precisamente in questo: nella possibilità di sostituire i governi che hanno dato pessima prova di sè con il voto, senza dover ricorrere alla violenza, mediante procedure predefinite. Quanto invece alla possibilità di errore, tutti i governi possono sbagliare, democratici e non. Come pure può sbagliare l'elettorato nella scelta e nel giudizio.
Uno dei caratteri più importanti della democrazia viene raramente rilevato e discusso. Esiste infatti in essa un gigantesco conflitto di interessi, ineliminabile perchè congenito e coessenziale. I governanti e coloro che aspirano a governare hanno come loro interesse fondamentale, o lo percepiscono come tale, quello ad acquisire consensi per sè e per la loro parte politica. Ma il paese ha spesso bisogno di provvedimenti impopolari. Il suo interesse non raramente viene a trovarsi così in conflitto con l'interesse di chi ha bisogno del consenso per essere eletto. Questo conflitto tra interessi contrastanti può ridurre notevolmente l'efficienza di un sistema democratico.
E' molto facile attribuire da un lato ai politici cinismo e scarso senso dell'interesse pubblico, dall'altro agli elettori ignoranza, miopia, egoismo, insufficiente senso civico. Ma le situazioni hanno una loro logica alle quali è difficile sfuggire. In democrazia la ricerca del consenso è inevitabile. L'elettore si muove in un orizzonte temporale ristretto, pressato spesso da esigenze che chiedono una pronta soddisfazione. La grande politica pure esplora spazi angusti. I governanti devono fare i conti con tendenze e spinte pressoché incontrollabili, prigionieri frequentemente della loro stessa propaganda.
Quali dunque i governanti migliori? Quelli dotati di maggior tenacia, fantasia, flessibilità. Quelli capaci di comprendere la logica paradossale che regge la vita e la storia degli uomini.

venerdì 16 ottobre 2009

I viaggi di Tocqueville.





Alexis de Tocqueville è celebre per le sue grandi opere, la Democrazia in America e l'Antico Regime e la Rivoluzione. Ma sono straordinariamente importanti anche i suoi appunti di viaggio. Durante i suoi viaggi abitualmente annotava su quaderni impressioni, riflessioni, conversazioni e numeri. Si tratta di documenti preziosi, non solo per una miglior comprensione delle sue opere maggiori. Ci restituiscono infatti lo sguardo di uno dei più lucidi intellettuali europei dell'Ottocento su momenti, luoghi, personaggi e problemi che ancor oggi non possono non destare un vivo interesse.
Tocqueville visitò gli Stati Uniti e l'Inghilterra tra il 1831 ed il 1835. Nel suo Viaggio negli Stati Uniti troviamo, oltre alle acute osservazioni poi poste alla base della Democrazia in America, ritratti, colloqui, cifre ed una suggestiva descrizione dei solenni, selvaggi, intatti paesaggi di regioni non ancora trasformate dalla rivoluzione industriale e dall'incremento della popolazione.
Tra le note raccolte durante i suoi due viaggi in Inghilterra segnalo la descrizione di una seduta della Camera dei Lords, con il discorso di un imbarazzato ed esitante duca di Wellington, vincitore di Napoleone a Waterloo. Ricco di vivaci spunti anche il racconto della tumultuosa elezione di un deputato. Mentre di grande interesse è la rappresentazione degli abitanti, dei palazzi, delle capanne, delle vie e delle fabbriche, delle sconvolgenti contraddizioni della città di Manchester, luogo emblematico della rivoluzione industriale inglese.
Due agili libri di cui consiglio vivamente la lettura. Sono ancora reperibili nelle librerie in rete.


- Alexis de TOCQUEVILLE, Viaggio in Inghilterra.




domenica 11 ottobre 2009

Il Nobel ad Obama. Speranze mal riposte?

Si è oggi stipulato un accordo di "normalizzazione" dei rapporti tra Armenia e Turchia, alla presenza del segretario di stato USA Hillary Clinton. L'accordo, uno dei pochi risultati concreti in politica estera della presidenza Obama, in questi giorni in cui si celebra il Nobel obamiano acquista un significato particolare proprio per i tratti che ne hanno segnato il percorso realizzativo.
E' infatti un accordo internazionale che non presenta nulla di riconducibile all'affascinante retorica che caratterizza l'attuale presidente degli Stati Uniti. I due paesi contraenti sono già nella sfera di influenza americana per solide concretissime ragioni politico-strategiche. In particolare la Turchia vede negli USA lo storico patrocinatore del suo ingresso nell'Unione Europea, tanto desiderato dai governi turchi degli ultimi decenni. Mentre è la stessa Unione Europea a pretendere dai Turchi il miglioramento dei rapporti con i paesi vicini. E' in questo quadro di ricatti e consolidate influenze strategiche che l'accordo è faticosamente maturato.
Ma Obama deve fronteggiare ben altre difficoltà, in aree dove gli spazi di mediazione sono ridottissimi, se non addirittura inesistenti. Quando si hanno di fronte nemici implacabili ed irriducibili la retorica dei sogni e delle illusioni, passando per l'ipocrisia e la doppiezza, conduce o alla resa o ad un uso della violenza ben maggiore di quello che la franchezza avrebbe reso necessario.
Il Nobel per la pace al presidente degli Stati Uniti, mentre fornisce un'ulteriore prova della visione politica prevalente in certi ambienti, dà un segnale sbagliato all'opinione pubblica delle grandi democrazie, soprattutto ai giovani. Vengono premiati i sogni e non i risultati. Mentre si contribuisce a concentrare le speranze su iniziative in grado, nella migliore delle ipotesi, di precludere facili alibi agli avversari. Insomma mi pare che ci sia poco da festeggiare. Ma poiché non appartengo alla schiera dei fautori del "tanto peggio tanto meglio", che ritengo profondamente immorale, spero proprio di sbagliarmi. In bocca al lupo, presidente Obama!

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