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venerdì 26 settembre 2014

L'India di Modi. Make in India.




AsiaNews.it del 25 settembre 2014 dà conto della nuova campagna "Make in India" promossa da Modi:

"Alla vigilia del suo viaggio negli Stati Uniti, questa mattina il Primo ministro indiano Narendra Modi ha lanciato la campagna Make in India. Obiettivo dell'iniziativa è trasformare l'India in un centro industriale a livello mondiale".

"Dopo gli accordi miliardari che è riuscito a concludere con il premier nipponico Shinzo Abe e con il presidente cinese Xi Jinping, Narendra Modi prosegue la sua marcia per attrarre quanti più capitali possibili in India".

"La campagna ha lo scopo di trasformare l'economia indiana da un modello di crescita orientata al servizio a uno orientato alla produzione ad alta intensità. Questo contribuirà a creare posti di lavoro per oltre 10 milioni di persone. L'obiettivo è anche quello di attrarre le imprese straniere perché costruiscano le loro fabbriche in India e investano nelle infrastrutture del Paese".

L'India è già un gigante non solo per territorio e popolazione, ma anche sotto il profilo economico. Il settore dei servizi ICT, la siderurgia e l'industria automobilistica sono protagonisti nella nuova economia globale. Resta da sviluppare una manifattura ad alta intensità di manodopera, capace di soddisfare il bisogno di lavoro e di reddito. Modi ha presentato con efficacia agli investitori le opportunità che il suo paese offre. Per rispondere alle loro richieste è stato creato anche un portale web, ma non sarà facile passare dalle parole ai fatti.
L'Economist ha riassunto le difficoltà che gli imprenditori incontrano oggi in India. I diversi livelli di governo, la burocrazia, il capitale umano inidoneo, le infrastrutture inadeguate, le norme che costringono impresa e mercato ostacolano lo sviluppo auspicato. Ma il cambio di passo sembra reale. L'India lancia ormai una sfida produttiva anche all'Europa manifatturiera. Un motivo in più per concentrare il dibattito pubblico sul tema della competizione economica globale.

venerdì 19 settembre 2014

L' Occidente e Putin. Non ammirarlo, non temerlo.



Su La nuova Bussola Quotidiana del 19 settembre 2014 Stefano Magni ha intervistato Luigi Geninazzi, inviato de Il Sabato e di Avvenire nell’Europa dell’Est, sul consenso che ormai Putin ha conseguito anche tra i cattolici italiani. Ormai molti moderati e conservatori, non solo cattolici, approvano l'operato del presidente russo e sono attratti dall'immagine forte che di sè ha saputo diffondere. Così Geninazzi:

"Per quanto riguarda la destra occidentale e mi riferisco soprattutto alla destra italiana, anche moderata, si è diffusa un’ampia simpatia per Putin. Per due motivi. Primo: non si conoscono i fatti e si dà ascolto solo alla propaganda russa, crede alla tesi che Usa e Ue abbiano voluto “strappare” l’Ucraina al suo ambito naturale. Ma perché si vuole credere a questa assurdità? E qui entra in gioco il secondo fattore: l’Occidente odia se stesso. E purtroppo ce ne sono di motivi: Obama è un presidente riluttante che non sa che pesci pigliare, l’Ue sta annegando in una crisi economica da cui sembra non uscire più, a Bruxelles ci sono 28 Paesi che girano a vuoto. Non è un bello spettacolo. Abbiamo sviluppato un tale rigetto per le nostre classi dirigenti che, quando appare un uomo forte, che esprime l’idea chiara “qui comanda lo Stato!”, quando quest’uomo con metodi duri difende i valori tradizionali, difende la famiglia naturale, dice di voler difendere i cristiani in Medio Oriente, a molti appare come l’ideale dello statista. E non si accorgono che, questa retorica, fa parte del cinico gioco di Putin. Al presidente russo interessa solo l’affermazione dell’identità russa".

"... l’essenza del messaggio di Putin è l’opposto di quello di San Giovanni Paolo II. Il suo messaggio, lanciato ai russi, agli ucraini, ai georgiani, a tutti gli europei, è uno solo: “abbiate paura”. E io sono sconcertato che i cattolici non lo capiscano. Putin è l’essenza dell’anti-cristianesimo. La sua è una logica identitaria, nazionalista, autoritaria, che non ha nulla a che vedere con la tradizione evangelica: abbiate paura".

Alla propaganda russa corrisponde una speculare propaganda promossa da ambienti occidentali che per varie ragioni considerano vantaggiosi l'indebolimento e la destabilizzazione della Russia di Putin. Nelle parole di Geninazzi si percepisce appunto l'eco di tale propaganda, che giunge da un Occidente idealista o più spesso cinico e irresponsabile.
In realtà Putin, ex ufficiale del KGB di stanza nella Germania Orientale, conosce bene l'Occidente e il proprio paese.  E' un politico duro e pragmatico. Sa che il solo collante efficace della Russia sorta dalle ceneri della vecchia Unione Sovietica è il nazionalismo e non può fare a meno dell'appoggio della Chiesa Ortodossa.
In questo contesto il leader russo ha cercato in ogni modo di creare e conservare di sé l'immagine di statista forte, decisionista, determinato a difendere gli interessi della Russia e dei russi anche fuori dei suoi confini, pur nella consapevolezza che il suo paese non può e non deve porre in discussione l'entrata nella NATO e nell'Unione Europea che molti paesi ex componenti o satelliti dell'Unione Sovietica hanno già portata a compimento.
Con questa Russia l'Occidente deve coltivare buone relazioni economiche e trovare un'intesa strategica fondata sui comuni interessi vitali. La sfida cinese e la minaccia islamica fondamentalista spingono alla composizione degli attuali contrasti. Bisogna che i governanti europei e la leadership USA comprendano che far "perdere la faccia" a Putin significa destabilizzare una compagine russa pervasa da sentimenti nazionalisti oggi insostituibili come fattore adesivo. La potenza regionale russa non può venir meno senza aprire un vuoto strategico devastante, gravemente lesivo degli stessi interessi occidentali. Dunque a Mosca come nelle capitali occidentali moderazione, responsabilità e lungimiranza devono prevalere.

venerdì 12 settembre 2014

Crisi. Una risposta liberale.




Su Il Foglio dell'11 settembre 2014 Alberto Mingardi e Natale D'Amico hanno scritto:

"Per fare spesa in deficit, uno stato deve trovare chi compri i suoi bond. E gli investitori, prima o poi, si pongono la domanda drammatica: lo stato che sto finanziando sarà in grado di onorare i suoi debiti? Nel 2011 non è stato il fantasma di Hayek a imporre all'Italia l'aggiustamento di finanza pubblica. Sono stati piuttosto i nostri creditori, che hanno preteso un tasso d'interesse velocemente crescente (l'estate dello spread) per continuare a finanziare la nostra spesa pubblica. Neanche i pasti keynesiani sono gratis". 

"...all'interno di un'area monetaria unica il funzionamento dei meccanismi di aggiustamento è simile a quello presente in un sistema di gold standard. Se un paese "perde competitività", perde moneta; o riporta la crescita della propria produttività verso quella dei paesi concorrenti, ovvero è costretto ad abbassare i propri costi, a partire dai salari".

"Non stupisce che anche personalità lontanissime dal "liberismo austriaco", e fra loro il pragmatico Mario Draghi, auspichino "riforme strutturali": riforme microeconomiche, dal lato dell'offerta, volte a perseguire una migliore allocazione dei fattori produttivi, pena una dolorosa compressione dei salari reali".

"Ma non serve che un po' di realismo per convincersi che non ne verremo fuori se non cambiando il nostro welfare, facendo funzionare la giustizia, la scuola, etc. Nostra opinione è che questi cambiamenti non ci saranno, o comunque non saranno efficaci, se non ridurremo il ruolo dello stato. Ma questa è per l'appunto la nostra visione ideologica, temiamo nient'affatto maggioritaria".

Seppure minoritaria, si delinea in Italia una risposta liberale alla crisi. E' ispirata dalla consapevolezza della globalizzazione, dei suoi effetti, della necessità di riforme microeconomiche dal lato dell'offerta, dell'urgenza di dare al welfare e agli enti territoriali un assetto produttivistico imperniato sulla disciplina pubblica di strumenti privati.
Non deve sorprendere la refrattarietà di larghi settori dell'imprenditoria confindustriale a questa visione. Una parte significativa di tale imprenditoria è cresciuta grazie a relazioni clientelari, chiedendo allo stato di compensare con svalutazioni e spesa pubblica le insufficienti capitalizzazione e produttività. Questo è il contesto che spiega il mancato sostegno alla cultura liberale, l'inclinazione al compromesso con movimenti e partiti illiberali, l'accettazione di relazioni industriali inidonee a sciogliere i nodi della produttività e della competitività.
Il sistema non ha bisogno delle ormai mitiche iniezioni di liquidità, ma di più verità, di più coraggio nel fronteggiare una crisi innescata dalla globalizzazione e dalla rivoluzione tecnologico-digitale. Dalla tradizione liberale le risorse per spiegare e cambiare.

venerdì 5 settembre 2014

Propaganda e realtà. Un approccio critico.



Consiglio NATO - Russia 28 maggio 2002


Da sempre la propaganda è utilizzata per convincere e vincere. L'informazione non è mai neutrale, non può essere tale. E' inevitabile scegliere immagini, parole, concetti, numeri, guidati da visioni e aspettative. Ma la propaganda è qualcosa di molto diverso. E' uno strumento che può contribuire a cambiare il corso della storia, soprattutto dopo che in questa hanno fatto irruzione le masse con un ruolo da protagoniste.
Tre esempi, due dal secolo da poco terminato, uno molto recente, mostrando la sorprendente distanza che può esistere tra narrazione e realtà, fanno davvero riflettere. Un approccio critico non deve mai mancare.

Il maccartismo

Il termine, dal nome del senatore del Wisconsin Joseph McCarthy, viene usato per indicare la crociata anticomunista che segnò gli USA dagli ultimi anni Quaranta alla metà degli anni Cinquanta. Accompagnata da inchieste spettacolarizzate e capillari indagini nella pubblica amministrazione, tra gli intellettuali e nell'ambiente del cinema, fu presentata come una vana caccia alle streghe, spesso nell'intento di screditare le istituzioni statunitensi. 
Il professor Christopher Andrew, ex preside della facoltà di storia presso l'Università di Cambridge, è da molti considerato il massimo studioso del ruolo dei servizi segreti nel Novecento. In L'Archivio Mitrokhin (1999, pp. 152 e 153), scritto con l'ex agente del KGB Vasilij Mitrokhin, ha sottolineato il successo dell'intelligence sovietica negli  USA con queste parole:

"La maggior parte degli altri agenti di prima della guerra, in ogni caso, fu con successo rimessa in attività; tra questi Lawrence Duggan (FRANK) e Harry Dexter White (JURIST). Henry Wallace, vicepresidente durante il terzo mandato di Roosevelt (dal 1941 al 1945), affermò in seguito che, se Roosevelt fosse morto in quel periodo ed egli fosse diventato presidente, sarebbe stata sua intenzione nominare Duggan suo segretario di Stato e White suo segretario del Tesoro. Il fatto che Roosevelt sopravvisse tre mesi in un quarto mandato senza precedenti alla Casa Bianca, e che sostituì Wallace con Harry Truman come vicepresidente nel 1945, privò il sistema informativo sovietico di quello che sarebbe stato il suo successo più spettacolare: l'infiltrazione in un grande governo occidentale. L'NKVD riuscì in ogni caso a infiltrarsi in tutte le sezioni importanti dell'amministrazione Roosevelt".

"Vi era un abisso enorme tra le informazioni sugli Stati Uniti fornite a Stalin e quelle a disposizione di Roosevelt sull'Unione Sovietica. Laddove il Centro si era infiltrato in ogni ramo importante dell'amministrazione di Roosevelt, l'OSS, così come il SIS, non aveva un solo agente a Mosca. Alla conferenza di Teheran dei Tre Grandi, nel novembre del 1943, la prima volta che Stalin e Roosevelt si incontrarono, una informazione di gran lunga superiore diede a Stalin un considerevole vantaggio nella negoziazione".

Andrew descrive un quadro di straordinaria gravità: soltanto per poco gli agenti di Stalin non arrivarono a ricoprire gli incarichi chiave di ministri degli Esteri e del Tesoro degli Stati Uniti. Dunque il maccartismo?


La Chiesa cattolica, il nazismo e gli ebrei.

Dopo la Seconda guerra mondiale si sviluppò una accesa polemica sul ruolo svolto dalla  Chiesa cattolica e dalla Santa Sede durante l'ascesa del nazismo in Germania e la persecuzione degli ebrei. Prevalsero lungamente le tesi della inazione, della tolleranza, della connivenza. 
Ma la posizione della Chiesa era ben chiara ai contemporanei. Enrico Caviglia, uno dei più brillanti generali del Ventesimo secolo, senatore del Regno, ex ministro della Guerra, insignito del Collare dell'Annunziata, cavaliere dell'Impero britannico, maresciallo d'Italia, colto e lucido osservatore, scrisse nel suo diario (I dittatori, le guerre e il piccolo re - Diario 1925-1945, 2009, pp. 226 e 227):

10 febbraio 1939

"E' morto il Santo Padre Pio XI...In generale la morte del Pontefice è sentita. Il suo atteggiamento in favore degli ebrei ha fatto un'ottima impressione in tutto il mondo, e l'autorità morale della Santa Sede ha acquistato influenza anche presso le altre religioni.
Oggi il Re è andato verso le 19 a visitare la salma. Mussolini non è andato: forse non ha voluto dare un dispiacere a Hitler".

2 marzo 1939

"In questi ultimi tempi l'autorità della Chiesa è accresciuta in tutto il mondo per aver difeso a viso aperto gli ebrei e la religione. Impressione enorme ha fatto il vecchio Papa, quasi morente, che dà per radio un messaggio a tutto il mondo in difesa degli ebrei. Pacelli fu il suo segretario e consigliere".

Testimonianza data in tempi e modi non sospetti. Quale peso darle?


La Russia di Putin e l' Occidente.





1999: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca entrano nella NATO.

2000: "via libera" politico all' entrata nella NATO di Bulgaria, Romania, Estonia, Lettonia e Lituania (entreranno nel 2004).

2002 (14 maggio): i 19 ministri degli Esteri della NATO decidono di creare un "Consiglio a 20" con la Russia (nascerà a Pratica di Mare il 28 maggio) .

 2002 (23 maggio):  il Consiglio di sicurezza nazionale dell'Ucraina incarica il  governo di avviare negoziati con la NATO per intensificare la cooperazione e giungere in una prospettiva di lungo termine all' entrata nell' organizzazione.

A Pratica di Mare il 28 maggio 2002 Putin accetta che i paesi baltici ex sovietici e gli stati europei ex satelliti dell' URSS siano diventati o diventino membri della NATO.

Come si è arrivati alla crisi ucraina? E' davvero plausibile una aggressione russa ai paesi NATO?


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