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martedì 25 ottobre 2011

Mezzogiorno. Un disastro senza alibi.

Il professor Luca Ricolfi in un articolo su Panorama del 19 ottobre 2011 denuncia con considerazioni assai incisive la gravità della situazione in cui versa gran parte del Mezzogiorno italiano, un "mondo che è incluso nell'Italia, ma in cui nulla è come nel resto del Paese".
I dati medi relativi all'evasione fiscale e contributiva, al tasso di occupazione, soprattutto giovanile e femminile, alla qualità e all'efficienza della spesa pubblica, all'istruzione, se confrontati con quelli del resto dell'Italia sono impressionanti.
Ma particolarmente lucide e significative appaiono le seguenti parole: "Né si pensi che l'abisso che separa le due metà del Paese sia limitato alle modalità di funzionamento dell'economia o delle grandi istituzioni pubbliche. Se proviamo a misurare il cosiddetto capitale sociale, ossia quanta fiducia, solidarietà, spirito civico, senso della comunità circola fra la gente, i risultati sono ancora più sconfortanti. Nel Mezzogiorno fa volontariato meno di una persona ogni 16, nel resto d'Italia una su 10, nel Nord quasi una su 8".
"Né il quadro cambia se dalle donazioni in denaro passiamo a quelle di sangue: nel Sud le donazioni sono 20 ogni 1.000 abitanti, nel Nord sono 41".
Il quadro che emerge induce a rigettare la retorica della "società civile" da contrapporre alle consorterie criminali, che non raramente vela il giudizio su situazioni francamente inaccettabili. L'inadempimento dei doveri più elementari si riscontra ad ogni livello della società, nell'ambito delle mansioni dirigenziali e di quelle meramente esecutive. Il degrado delle coscienze individuali pare largamente diffuso.
Il fallimento educativo delle istituzioni scolastiche è evidente. Ma anche la Chiesa deve interrogarsi sull'adeguatezza del proprio impegno formativo.
Papa Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est (28 a) ha scritto, indicando efficacemente uno dei compiti fondamentali della comunità cristiana:

"Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all'interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l'altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile.
In questo punto politica e fede si toccano. Senz'altro, la fede ha la sua specifica natura di incontro con il Dio vivente — un incontro che ci apre nuovi orizzonti molto al di là dell'ambito proprio della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa. Partendo dalla prospettiva di Dio, la libera dai suoi accecamenti e perciò l'aiuta ad essere meglio se stessa. La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato".
"La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente".

Queste chiare direttive chiedono un maggiore impegno soprattutto nella ricostruzione delle coscienze individuali, necessaria premessa di ogni possibile soluzione dei problemi che mediamente affliggono il Sud italiano. Risultano lontani da questa impostazione molti dei temi e dei discorsi svolti nel recente raduno delle organizzazioni cattoliche a Todi. L'impegno cristiano che contribuisce a risolvere i problemi sociali e politici delle società democratiche è invece quello ben delineato da Tocqueville nella sua Democrazia in America ( (Libro Terzo, Parte Prima, Capitolo Quinto):
"... nei tempi di civiltà e di eguaglianza...le religioni devono mantenersi più discretamente nei loro limiti senza cercare di uscirne poiché volendo estendere il loro potere fuori del campo strettamente religioso, rischiano di non essere credute in alcun campo".
Proprio rispettando questi limiti, concentrandosi sull'evangelizzazione e sul rinnovamento delle coscienze individuali, la Chiesa riesce a contribuire nel modo migliore all'edificazione di una società libera e più giusta.




martedì 18 ottobre 2011

Indignati. Il futuro di un' illusione.

Sul tema degli scontri e delle devastazioni di Roma scrive il direttore della Stampa Mario Calabresi:

"In 950 città le manifestazioni sono state assolutamente pacifiche: colorate, rumorose ma ordinate.
In una soltanto si è scatenata una violenza spaventosa e senza freni: a Roma. Anche ieri abbiamo mostrato al mondo un’anomalia italiana".
"Perché l’Italia si ritrova ancora prigioniera della violenza e degli estremisti? Perché siamo sempre condannati a veder soffocare le spinte per il cambiamento tra i lacrimogeni?".
"Penso spesso al nostro destino beffardo: da questa parte dell’Oceano le proteste del ‘68 si sono trasformate nel terrorismo o negli scontri del ‘77, uccidendo non solo uomini ma anche idee e ideali. Dall’altra parte la violenza non ha vinto e il movimento che sognava di cambiare il mondo è riuscito a farlo inventandosi le energie alternative o la Silicon Valley: al posto dei leader dell’Autonomia l’America ha avuto Steve Jobs...".
"Da noi accade ancora perché non abbiamo mai preso (uso il plurale perché dovrebbe farlo la società tutta) le distanze in modo netto e definitivo dalle pratiche violente. Perché siamo i massimi cultori del «Ma» e del «Però», che servono a giustificare qualunque cosa in nome di qualcos’altro".
"Tutto questo da noi accade però anche per un altro motivo: perché la nostra malattia è la mancanza di un pensiero costruttivo. Se ripetiamo continuamente ai giovani che non c’è futuro ma solo declino e precarietà, se li intossichiamo di cinismo, scenari catastrofici e neghiamo spazio alla speranza, allora cancelliamo ogni occasione per una spinta al cambiamento".
"Una sola speranza ci resta ed è legata a quei giovani che non ascoltano, che si tappano le orecchie di fronte ai discorsi improntati al pessimismo e che nel loro cuore sognano e sperano".

Perchè questa anomala violenza in Italia?
Perchè "non abbiamo mai preso le distanze in modo netto e definitivo dalle pratiche violente" e perchè "la nostra malattia è la mancanza di un pensiero costruttivo", risponde Calabresi, rifiutando di spiegare le violenze romane con la congiuntura politica e indicando un percorso esplicativo storico e culturale. Pare davvero l'approccio più corretto e promettente.
Secondo Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse, "le Brigate Rosse non sono nate dal nulla. Non sono un prodotto da laboratorio, magari di qualche Servizio segreto, ma il frutto di una cultura e di una tradizione politica della sinistra italiana. Quindi hanno radici nella storia di questo paese" (Giovanni FASANELLA - Alberto FRANCESCHINI, Che cosa sono le BR, 2004, pag. 4).
A differenza di quelle delle democrazie del Nord Europa, Francia compresa (De Gaulle), la Resistenza al nazifascismo italiana non è stata guidata da una forte componente nazionale e democratica ma da movimenti stalinisti finanziati e diretti dall'Unione Sovietica.
Questo peccato originale ha determinato struttura, metodi e cultura politica della sinistra italiana, fino allo scioglimento dell'Unione Sovietica stessa (1991).
In tutti questi decenni la nostra sinistra è stata egemonizzata dal più grande ed astuto partito comunista dell' Occidente, che ha a lungo partecipato alla vita democratica del paese accantonando la via insurrezionale alla conquista del potere a causa degli sfavorevoli rapporti di forza internazionali. Ancora il partito comunista di Enrico Berlinguer, soltanto una trentina di anni fa, accettava finanziamenti e direttive dai sovietici.
Queste sono le radici della doppiezza culturale e politica che ha a lungo caratterizzato la componente maggiore della sinistra italiana. Il mito fondante e legittimante, quello della Rivoluzione d'Ottobre, e l'influenza determinante del marxismo leninismo non sono mai venuti davvero meno. Da qui l'atteggiamento doppio, contraddittorio e reticente verso la violenza politica. E da qui, in larga misura, il rifiuto del riformismo e la mancanza di una cultura liberale.
Del resto anche il nucleo del patrimonio ideale fondamentale delle democrazie dell'Occidente è rappresentato da uguaglianza e libertà. Si tratta di idee suggestive che, se non concepite e diffuse in termini realistici e rispettosi della complessità dei problemi, possono produrre le cause della loro fine.
Uguaglianza e libertà possono costituire pericolose illusioni o la Stella Polare di un'attività politica quotidiana efficacemente rivolta a ridurre le sofferenze degli uomini. L'educazione dei giovani fa la differenza.





sabato 8 ottobre 2011

La Russia tra Oriente e Occidente.

In un recente articolo su La Stampa Enzo Bettiza delinea un condivisibile quadro della Russia di Putin.
Scrive Bettiza:

"Ma, al tempo stesso, non va dimenticato che l’enigmatico Putin definì il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo». Quell’accento così drammatico sulla «catastrofe geopolitica» può aiutarci a comprendere, fino ad un certo punto, i suoi sforzi mirati a ricomporre oggi pezzo per pezzo, con la mezza finzione di un mercato o bazar comune, un’entità che almeno in parte possa evocare gli spazi «geopolitici» dell’impero perduto".

"Il controllo sulla stampa e sulle televisioni si è assolutizzato; il partito putiniano «Russia Unita» è divenuto di fatto un partito unico circondato e sostenuto da simulacri pseudodemocratici; contemporaneamente la popolarità del presidente reale, che fingeva di fare il primo ministro, è cresciuta a balzi esponenziali. Oggi il volto sorridente e rassicurante del presidente Medvedev ci appare simile alla faccia intensamente dipinta di una matrioska che al proprio interno conteneva da sempre, fin dall’inizio, dal 2008, la grinta gelida dello zar autentico di tutte le Russie.
Il gioco delle parti, lo scambio fisiologico delle consegne tra burattinaio e burattino, è affare concluso da tempo e da tempo accettato dalla maggioranza dei «consumatori» votanti. Al terzo mandato al Cremlino di Putin potrà seguire il quarto e la durata prolungarsi fino al 2024. Praticamente presidente a vita. Una simile longevità politica ricorda solo quella di Stalin. Così come il rimpianto, più o meno segreto, della grandezza di Stalin sembra riflettersi in chiave minore nell’«Urss leggera» che Putin sta pianificando e già realizzando da Minsk al cuore dell’Asia".

Tutto vero. Ma è sbagliato mettere sullo stesso piano Russia e Cina in quanto regimi autoritari, senza distinzioni. Le parti del Rapporto 2011 di Amnesty International relative appunto a Russia e Cina (pdf) lasciano intravvedere un controllo sociale e una lesione di diritti e dignità umani per estensione ed intensità chiaramente differenti.
La Cina dei campi di "rieducazione e lavoro" laogai, che ancora esercitano un significativo ruolo economico, dell'estesa brutale applicazione della pena di morte senza giusto processo, del capillare controllo di internet e delle reti sociali, delle dure limitazioni della libertà religiosa, dei figli unici per legge, della netta diversità di trattamento di città e campagna, pare regime dai tratti ancora fortemente totalitari.
La Russia di oggi è un grande paese composito e contraddittorio, in ogni senso sospeso tra Occidente e Oriente. I suoi dirigenti, come nel periodo prerivoluzionario, tentano di promuovere e controllare la modernizzazione guardando anche a modelli esterni. Le attuali insufficienti prestazioni economiche e le tensioni sociali dei paesi occidentali rendono non attraenti ai loro occhi standard di democrazia e libertà per noi irrinunciabili e non negoziabili.
Solo un Occidente forte, capace di coniugare di nuovo democrazia, libertà, competitività ed efficienza potrà ancora porsi come solido polo di attrazione per una Russia in bilico, dove l'influenza del nuovo autoritarismo asiatico sembra ogni giorno più incisiva.





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