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sabato 26 marzo 2011

Cultura di stato, stato della cultura.

Nel 1991 l'Unione Sovietica si dissolse. Victor Zaslavsky, esaminando il passaggio dall'URSS alla Russia post-sovietica, a proposito dell'intelligencija russa ha scritto:

"la cultura di massa occidentale penetra nella società russa e riceve il consenso popolare; la popolazione sempre di più focalizza la sua attenzione sui problemi della vita quotidiana e della sopravvivenza. In queste nuove condizioni, "l'intelligencija russa come strato sociale, con la sua missione di diffondere una cultura ideologica e una particolare visione del mondo, diventa obsoleta e inutile".

E, riferendosi ai suoi membri che non riescono ad adattarsi alla nuova situazione:

"E' l'intelligencija sovietica che produce una valanga di scritti catastrofisti sulla rovina imminente della Russia e della civiltà russa. Queste previsioni sono provocate da un fenomeno sociale ben noto che si manifesta quando un gruppo, destinato a scomparire dalla scena storica, confonde la propria sparizione con la fine generale della società e della cultura".
(Victor ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico, 2009, pagg. 272 e 273).

Leggendo queste parole è difficile non vedere qualche analogia con l'attuale situazione italiana. Nel Secondo dopoguerra i rapporti di forza tra le grandi potenze hanno costretto il Partito comunista italiano ad operare nella legalità costituzionale.
L'obiettivo di ottenere un'egemonia irreversibile, il cui raggiungimento era precluso in ambito politico istituzionale dalla vigenza delle regole democratiche, è stato perseguito in ambito culturale avvalendosi di un ceto intellettuale gravato della "missione di diffondere una cultura ideologica e una particolare visione del mondo".
I relitti di questo ceto, rafforzati da elementi formati negli ideali e nei metodi del nuovo radicalismo occidentale militante, rappresentano la componente forse prevalente, certamente più rumorosa, della "cultura" posta a rischio dal minacciato taglio dei finanziamenti ministeriali. Taglio ora ridimensionato grazie ad un aumento delle imposte sulla benzina.
Certi vizi della "cultura di stato" di stampo sovietico sono riscontrabili perfino nella lirica e nel cinema che assorbono gran parte del discusso Fondo unico per lo spettacolo: impostazione ideologica e scelte artistiche conseguenti, insufficiente produttività, spreco. Il Corriere della Sera ci offre dati significativi.
Molto discutibili sono spesso, come detto, anche le stesse scelte artistiche. Qui un video che presenta uno dei momenti più belli dell' Europa Riconosciuta di Antonio Salieri.




L'opera, eseguita al Teatro alla Scala di Milano nel 2004, è stata prodotta con interpreti di altissimo livello (Diana Damrau), con la regia di Ronconi e la direzione di Muti. E' probabile che pure i costi siano stati altissimi.
Ma, benchè interessante sotto il profilo storico, è uno spettacolo complessivamente noioso, poco attraente anche per un pubblico attento e preparato. Per questa via, tanto spesso percorsa, l'autofinanziamento pare davvero impossibile.
Quali rimedi? Buona gestione finanziaria, più produttività, scelte artistiche innovative ma sagge, grande qualità coniugata con una costante attenzione al pubblico, autofinanziamento, apertura all'impresa privata. Insomma meno cultura di stato per migliorare lo stato della cultura.


giovedì 17 marzo 2011

Le lampade di Quintino Sella.

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II di Savoia fu proclamato Re d'Italia. Celebriamo il centocinquantesimo anniversario della unificazione italiana ricordando che il lavoro ed il risparmio, non la tronfia retorica, hanno costruito l'Italia unita che guarda al futuro con fondata speranza.
E allora dobbiamo citare il primo grande statista dell'Italia unita, Giovanni Giolitti, e il ministro delle finanze che dette al nuovo stato le risorse finanziarie indispensabili per consolidarsi, Quintino Sella. Sella, ingegnere e scienziato di formazione e professione, durante i primi dieci anni di vita del Regno d'Italia fu ripetutamente ministro delle finanze. Giolitti, nelle Memorie, mette in rilievo le sue grandi intelligenza, cultura e laboriosità. Racconta anche un curioso episodio, rivelatore di un clima morale prima che politico contrassegnato da rigore e senso dello stato.
Scrive Giolitti:
"Era allora in funzione la Commissione per la perequazione dell'imposta fondiaria...la quale...prolungava le sue sedute e i suoi lavori nella notte. Il lavoro si faceva ad un tavolo con lampade a petrolio, e i commissari si lagnavano del puzzo di quelle lampade e chiedevano si sostituissero con lampade ad olio. Ma Sella, che si era accorto che l'olio veniva sottratto, non ne voleva sapere. Allora si presentarono a lui, in forma fra allegra e solenne, due dei commissari, Depretis e Valerio, per commuoverlo, e Valerio esclamò: " Vedi, per non soffrire del puzzo del tuo petrolio, verrò a lavorare con due candele in tasca." "Bravo!" gli rispose il Sella, "così mi risparmi anche il petrolio!" E rifiutò la piccola concessione".

I campioni della retorica nazionalista, gli interventisti della Prima guerra mondiale, il Mussolini dell'alleanza con il regime nazista e delle leggi razziali, i capi di un partito comunista finanziato e diretto dall'Unione Sovietica, hanno posto a rischio l'unità, la libertà e la grandezza dell'Italia. I sostenitori del lavoro, dell'impresa e del risparmio, Giolitti, Sella, De Gasperi e Einaudi le hanno conservate e sviluppate.
Questa è la lezione della storia che i nostri giovani, particolarmente in questa giornata di festa, devono apprendere.

mercoledì 9 marzo 2011

Giustizia. In nome del popolo italiano.



L'ampio ricorso alle giurie popolari, quando non è supportato da solide tradizioni come negli Stati Uniti, non è privo di inconvenienti. Ma, questo premesso, quella statunitense è una giustizia che guarda alle esigenze dei cittadini e risponde a questi del proprio andamento.
I rappresentanti della pubblica accusa americani sono sostanzialmente semplici avvocati dello stato o degli enti pubblici territoriali. Direttamente o indirettamente l'esercizio della pubblica accusa è soggetto al controllo degli elettori. E' un'organizzazione della giustizia che distingue nettamente le funzioni e le prerogative della pubblica accusa da quelle della magistratura giudicante. Si tratta di una distinzione che, sia pure in forme e con accentuazioni diverse, rappresenta la regola nelle democrazie.








Il caso italiano costituisce un'eccezione. La distinzione tra magistratura giudicante e requirente (pubblico ministero) è così debole da porre la difesa in posizione di subalternità. Mentre la collaborazione dell'ordine giudiziario con i poteri e gli organi costituzionali risulta sfavorita. Difficile poi è far valere una precisa responsabilità per gli errori compiuti.
Montesquieu, nel suo Spirito delle leggi, chiedeva che il potere giudiziario fosse affidato a tribunali non permanenti, formati da non professionisti tratti dal popolo. Questi giudici popolari temporanei, secondo il filosofo francese, dovrebbero essere soltanto "la bocca della legge", costituendo così un potere "invisibile e nullo". Bisogna infatti evitare, pensava Montesquieu, che il giudice sia anche legislatore. Perché in questo caso il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario. Le preoccupazioni del grande francese sono tuttora da condividere, anche se la complessità contemporanea impone di lasciare lo spazio necessario alla professionalità. 
Secondo l' articolo 101 della Costituzione italiana :

"La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge".

In termini liberali potremmo dire che la giustizia deve essere amministrata in nome dei cittadini per soddisfare il loro bisogno di tutela. Nulla di più e nulla di meno.

martedì 1 marzo 2011

Le origini delle rivolte in Nord Africa e Medio Oriente. Le ragioni dei pessimisti.

Meno di dieci anni fa Bernard Lewis nel suo fondamentale La crisi dell' Islam (2004, pag. 103) ha scritto:

"La combinazione fra bassa produttività e alto tasso di natalità in Medio Oriente contribuisce alla formazione di una miscela instabile, composta in larga e crescente misura di giovani disoccupati, ignoranti e frustrati. Secondo tutti gli indici delle Nazioni Unite, della Banca mondiale e di altre autorità, i paesi arabi - in settori come la creazione di posti di lavoro, l'istruzione, la tecnologia, e la produttività - sono sempre più indietro rispetto all'Occidente. Peggio ancora, le nazioni arabe sono indietro anche rispetto alle più recenti reclute della modernità di tipo occidentale, come la Corea, Taiwan e Singapore"

Le considerazioni del professor Lewis sono ancora in larga misura illuminanti, pur dovendosi oggi porre in rilievo la straordinaria crescita di grandi paesi come la Cina, l'India e il Brasile.
Al loro rapido sviluppo si è accompagnato un aumento dei prezzi degli alimentari, da molti ritenuto uno dei principali inneschi delle rivolte.
Sergio Romano, su Panorama del 24 febbraio 2011, pag. 109, scrive:

"Le rivoluzioni hanno spesso una matrice ideologica. Ma le rivolte scoppiano generalmente quando la fame richiama nelle piazze, insieme agli studenti universitari, il popolo minuto delle periferie, i disoccupati, gli operai a cui il salario non garantisce più una decorosa sopravvivenza. Quelle di Tunisi, del Cairo e di Alessandria sono scoppiate quando l'aumento dei consumi nei paesi emergenti (Cina, India e Brasile), insieme alla carestia nelle campagne della Repubblica Popolare Cinese, ha provocato la brusca impennata dei prezzi delle derrate alimentari".

Come vedono tutto ciò gli abitanti dei paesi in rivolta? Con quali occhi leggono questi devastanti effetti della globalizzazione? Tre sembrano gli elementi fondamentali da evidenziare.
Il primo, troppo spesso misconosciuto, è rappresentato dalle esacerbate sensibilità e consapevolezza storiche dei musulmani e degli arabi in particolare.
Scrive Bernard Lewis nell'opera citata, pag. 5:
"I popoli musulmani, come tutti i popoli del mondo, sono stati plasmati dalla loro storia, ma a differenza di altri ne sono fortemente consapevoli".
Fin dall'infanzia i musulmani vengono formati nella memoria di un grande passato. Tale memoria contribuisce ad accrescere la delusione per il presente.
Si deve poi sottolineare la lunga sopravvivenza, pressoché nell'intera regione, di sistemi caratterizzati da un forte ruolo dello stato nell'economia. Iraq, Siria, Egitto, Libia, Algeria. In questi paesi i regimi autoritari baathisti o socialisti hanno costruito società in cui sempre più gli individui chiedevano allo stato, non al proprio lavoro, la soddisfazione dei bisogni fondamentali. E lo stato riusciva a trovare un minimo di consenso spesso soltanto grazie alla vendita del petrolio e del gas o agli aiuti delle superpotenze. In tali società si è diffusa una mentalità per diversi aspetti simile a quella dell'"uomo sovietico" stato-dipendente descritta dagli studiosi dell'URSS e dei sistemi sovietici (si veda, per tutti, Victor ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico, 2009, pag. 182 e segg.).
Vanno infine posti in evidenza gli effetti delle nuove tecnologie. Internet e trasmissioni satellitari hanno consentito un contatto purtroppo in genere superficiale con la modernità, con le sue opportunità e, più spesso, con le sue promesse. In questo contatto affondano le radici le diffuse aspettative irrealistiche che presumibilmente hanno spinto tanti giovani a sollevarsi contro i governanti corrotti ed autoritari.

Con queste premesse quali sviluppi si possono congetturare? A medio termine le rivolte produrranno danni alle economie nazionali. Meno turisti, meno investimenti stranieri, meno produzione, più disoccupazione, più emigrazione.
La sperata evoluzione democratica potrebbe determinare un aumento della spesa pubblica, del debito e dell'influenza del fondamentalismo religioso.
Nessuna speranza per queste popolazioni? E' impossibile prevedere il futuro. E non si possono controllare processi caotici come quelli in atto. Se qualcuno ha pensato di riuscire in queste imprese e trarne vantaggio si è sbagliato. Da nuovi assetti e consapevolezze potranno forse emergere novità positive. Ma nella storia il peggio è sempre possibile.





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