I nuovi tagli dei trasferimenti agli enti locali, imposti dalla grave situazione economica, costringeranno molte amministrazioni locali a rinnovare metodi e strutture del welfare. Secondo quali linee guida?
Una preziosa indicazione si può trarre da un recente articolo di Antonio Martino, che scrive:
"Le amministrazioni pubbliche - governo centrale, amministrazioni locali, enti previdenziali, autorità autonome e quant'altro - sono in realtà un sistema di trasferimenti: si finanziano prelevando quattrini dalle tasche di alcuni italiani per trasferirli in quelle di altri italiani. Le dimensioni di questi trasferimenti sono aumentate enormemente nel corso del tempo: se posso ripetermi, nel 1900 rappresentavano il 10% del prodotto interno lordo, negli anni Cinquanta a circa il 30%, oggi superano il 51%. Cosa giustifica questa spaventosa crescita? Certamente non la lotta alla povertà: eravamo più poveri nel 1900 che non negli anni Cinquanta e più poveri nei Cinquanta che non adesso. Del resto, chi crede che le spese delle amministrazioni pubbliche abbiano davvero lo scopo di alleviare il disagio dei nostri concittadini meno fortunati? Se il 51% del reddito nazionale andasse al 20% più povero della popolazione, lo renderebbe immediatamente agiato. Le cose sono assai meno semplici, bisogna considerare altri elementi.
Primo: quanto la collettività riceve ammonta a molto meno di quanto la collettività deve versare all'apparato di trasferimenti pubblico, per via dei costi di trasferimento (burocrazia, politica, corruzione, eccetera). Secondo: chi paga non necessariamente appartiene alle fasce di reddito più alte, chi riceve non necessariamente a quelle più basse. Il finanziamento dell'università, della sanità, e degli enti locali molto spesso proviene dalle tasche di contribuenti a reddito medio-basso o basso, e va in quelle di persone non indigenti, e la redistribuzione diventa regressiva".
"L'indennità parlamentare mi colloca nell'uno per cento più ricco dei contribuenti (ineffabile efficienza del nostro sistema tributario!) eppure ricevo "gratis" i servizi e le medicine fornite dal sistema sanitario nazionale: tassiamo il 99% meno abbiente per dare all'uno per cento più ricco!"
Martino, con la sua abituale coraggiosa lucidità, mette in rilievo uno dei principali fattori di insostenibilità della spesa pubblica italiana: tendenzialmente si vuole dare tutto a tutti. La protezione pubblica, spesso inefficiente, copre anche chi non ne ha davvero bisogno e può da solo meglio provvedere alle proprie necessità, conservando parte del reddito che oggi trasferisce alla finanza pubblica.
Occorre dunque che la mano pubblica tuteli, in modo efficiente, chi non riesce a far da sè. Nulla di meno, nulla di più. Si tratta di collegare le prestazioni al reddito, riducendo l'ampiezza degli interventi della pubblica amministrazione e quindi la sua dimensione e l'entità della spesa pubblica.
L'ostacolo principale che trova questa auspicata rivoluzione del welfare italiano è rappresentato dalla tradizionale incapacità di far emergere i redditi reali, a cui si accompagna un'imponente evasione fiscale. Gli enti locali sono i più vicini al cittadino. Sono perciò in grado di contribuire in modo decisivo anche all'accertamento della sua situazione reddituale. Siano i primi a sperimentare un nuovo modo di costruire assistenza e sanità pubbliche, imperniato sul collegamento tra prestazione e reddito.