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sabato 26 dicembre 2009

Albert Einstein e gli obiettori in miniera. Come riflettere sui valori in un mondo di fatti.

Non c'è uomo che possa fare a meno di regole di condotta, cioè di principi morali. Ognuno di noi, spesso inconsapevolmente ed acriticamente, li adotta per la propria vita. Ma, pur lasciando impregiudicata la grande domanda, se si possa cioè dare un fondamento assoluto ai principi morali e considerarli così oggettivamente validi per tutti, è assai importante indagare sulla possibilità di discutere comunque razionalmente di tali principi, soprattutto riguardo al loro difficile rapporto con il mondo dei fatti.
E' possibile applicare la ragione alle questioni morali? E come? Occorre considerare attentamente la compatibilità e la coesistenza di determinati principi con altri, a noi almeno altrettanto cari, soppesando bene le conseguenze di fatto della loro applicazione. Qualche dubbio in più dovrebbe giovare a tutti. 
Recentemente Obama, nel discorso pronunciato alla consegna del premio Nobel per la pace, ha correttamente seguito questa via, delineando un pacifismo rispettoso di altri valori, quali giustizia, libertà e diritti umani. Col risultato di rivalutare e riaffermare il concetto di guerra giusta, di guerra per la pace, ben noto alla morale cattolica. Ed ha fatto ciò, come dire, prendendo il toro per le corna, cioè andando direttamente a disegnare i principi in questione. 
Altri famosi pacifisti, di fronte alla pressione degli eventi, hanno seguito vie più indirette.
Interessante in questo senso la seguente lettera del grande fisico Albert Einstein al re Alberto del Belgio, a cui era legato da amicizia sincera. Siamo nel 1933. Hitler ha ormai consolidato il suo potere e Einstein percepisce il pericolo in tutta la sua gravità. Altrettanto bene vede quanto la diffusione di un certo pacifismo inconsapevole possa diminuire la capacità di resistenza del mondo libero. Ma, trattando il delicato tema dell'obiezione di coscienza al servizio militare, non va proprio diritto al cuore del problema, limitandosi a suggerire, per gli obiettori, l'alternativa di un altro servizio più duro e pericoloso.

"14 luglio 1933. Maestà, il problema degli obiettori di coscienza mi assilla...
nella situazione attuale, creata dalle attività tedesche, l'esercito belga costituisce unicamente uno strumento di difesa e per nulla un mezzo d'aggressione. Esso è dunque indispensabile alla sicurezza del Belgio.
Per quel che riguarda gli obiettori di coscienza ritengo non si dovrebbe considerarli come criminali, se spinti sinceramente da una forza di persuasione morale o religiosa. Né si dovrebbe lasciare che siano altri uomini a giudicare se al fondo del rifiuto vi sia persuasione profonda o motivi di minor pregio.
Reputo vi sia un mezzo più nobile, e a un tempo più appropriato, per mettere alla prova gli obiettori e utilizzarli. Si dovrebbe dare a ciascuno di loro la facoltà di sostituire il servizio militare con altro servizio più duro e pericoloso. Se veramente mosso da persuasione seria, l'obiettore accetterà tale strada.
Come servizio sostitutivo penso a certi tipi di lavori di miniera, a mansioni di fuochista su battelli, di infermieri presso malati contagiosi o nei manicomi, e altri impieghi del genere. Colui che affrontasse tali servizi volontariamente e senza lamentarsi sarebbe degno di rispetto.
Se il Belgio potesse emanare una tale legge, o anche soltanto creare un'abitudine (usus), sarebbe un passo notevole verso la vera umanizzazione.
Con alta stima ed affetto.

Albert Einstein"

Il testo della lettera è tratto dalle memorie di Maria Josè di Savoia, ultima regina d'Italia, figlia di Alberto del Belgio.
Maria Josè di SAVOIA, Giovinezza di una regina, 1993, pag. 331


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