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domenica 6 dicembre 2015

Dalla battaglia di Canne ai Balcani e alla Siria. Pensare la violenza.





Nel corso della Seconda guerra punica (216 a.C.) in Puglia, a Canne, l'esercito romano fu sconfitto da quello cartaginese. Una strage dai numeri impressionanti: tra i romani e i loro alleati italici i morti furono probabilmente quaranta - cinquanta mila. Una Italia allora popolata da meno di sei milioni di abitanti vide morire in quella battaglia quasi un italiano su cento, donne e bambini compresi.
Su Analisi Difesa del 3 dicembre 2015 il generale Leonardo Tricarico ha scritto:

" I meccanismi decisionali sulla legittimità degli obiettivi prima e sul tipo di intervento poi, sono tuttora fattori tranquillizzanti che la forza della Nato (o da essa guidata) sia applicata nella misura minima indispensabile e nel rispetto dei principi umanitari da tutti condivisi ma sempre meno rispettati. Nei Balcani nel 1999, con questa filosofia, si registrarono "solo" 370/430 vittime innocenti dopo ben 30.004 missioni di bombardamento, perdite tutte causate da malfunzioni dei sistemi d'arma o, in un paio di casi, da intelligence inaccurata. Mai però da indisciplina, negligenza o trasgressione delle regole di contenimento del danno".

" Oggi invece nei filmati diffusi dai russi stessi dopo i bombardamenti in Siria, a fine settembre, si notano chiaramente gli impatti di alcune Cluster Bombs (le bombe a grappolo, messe al bando da larga parte della comunità internazionale) o lo sgancio in quantità di bombe da 2000 libbre senza alcuna unità di guida, cioè il dispositivo che assicura la precisione all'impatto. 
Si torna insomma, seppure in scala limitata, a "radere al suolo" più che a intervenire chirurgicamente, e ciò che è più disdicevole è che lo si fa per contenere i costi dei bombardamenti e non per l'indisponibilità della tecnologia di precisione. Anche altri paesi non sembrano più molto attenti alla questione. Gli stessi Stati Uniti si lasciano andare talvolta a tragici errori (vedasi la strage dell'ospedale di MSF (Medicins Sans Frontieres) a Kunduz del 3 ottobre, frutto di una serie di errori, compreso il cattivo coordinamento tra l’aereo e le forze speciali sul terreno) o danno l'impressione di avere il grilletto facile".

"Oggi più che in passato, la tentazione di risolvere con le armi questioni che in senso stretto non sono catalogabili come guerra è costantemente dietro l’angolo. Nel contempo manca la percezione che anche la coalizione militare più vasta, determinata e coesa non sarebbe in grado di venire a capo di operazioni belliche a causa di una dottrina di impiego della forza inadatta a colmare le asimmetrie tra un esercito regolare e forze di diversa natura, quali le formazioni terroristiche. Prima di avventurarsi in altre iniziative conflittuali fallimentari, va pertanto fatta una riflessione collettiva sugli aspetti tecnici, giuridici ed etici che contraddistinguono gli scenari  che ormai si ripresentano  con le medesime caratteristiche ed in termini sempre più drammatici  in diverse aree geografiche". 

Da un professionista della violenza arriva una lucida riflessione sui suoi limiti, mezzi e obiettivi. Se non si può accogliere un pacifismo assoluto, che pone le premesse della guerra o di una pace disumana, si deve però accettare la violenza senza rinunciare alla ragione e all'umanità.  La differenza è fatta da valori e intelligenza, non solo e non tanto dagli strumenti.

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