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sabato 26 dicembre 2015

Dove va la Cina? Crisi profonda, crollo improbabile.




 AsiaNews.it del 23 dicembre 2015 presenta un'analisi impietosa della Cina, a firma di John Ai:

"Secondo il China Labour Bulletin, Ong sindacale con base a Hong Kong, il numero di scioperi e proteste sul lavoro ha toccato nel novembre 2015 il massimo storico. L’aumento di questi fenomeni, la chiusura delle fabbriche e la fuga dei dirigenti sono collegati con il costante rallentamento del manifatturiero in Cina. La domanda e le esportazioni calano, i boss con problemi finanziari rifiutano di pagare i salari (oppure spariscono) e i manifestanti vengono considerati “fonte di problemi” e arrestati. Le autorità danno sempre la priorità alla stabilità".

"Ma nel 2010 la Banca centrale cinese ha stretto le sue politiche monetarie: le compagnie hanno iniziato a soffrire per la mancanza di liquidi e si sono rivolte al sistema delle “banche-ombra”, che hanno tassi di interesse molto più alti. Questo ha causato un aumento di debiti insanabili e scatenato la fuga degli imprenditori. L’usura ha distrutto le aziende. Secondo l’Ufficio statistico di Wenzhou, il numero di imprese con un giro d’affari superiore ai 20 milioni di yuan si è attestato nel 2014 a 4.366 unità: un calo sensibile rispetto alle 8.096 del 2010. Il tribunale locale comunica di aver aperto più casi di bancarotta nel 2015 che nel 2014".

"Mentre il manifatturiero rallenta, la speculazione in Borsa diviene frenetica. L’ottimismo generale dell’inizio del 2015 rispetto al mercato finanziario non è durato molto. Il boom accompagnato dall’incoraggiamento dei media statali è esploso il 12 giugno. Il governo ha preso misure urgenti per fermare il crollo, fra cui la sospensione delle prime offerte di pubblico acquisto, e ha proibito la vendita a corto raggio costringendo le compagnie statali a ricomprare le proprie azioni. Ma il 24 agosto 2015 la Borsa di Shanghai ha perso comunque l’8,48%, dato peggiore dal crollo del 2007".

"Era inevitabile, ma l’era della crescita annuale oltre il 10% è passata. In questi anni di “nuova normalità”, termine scelto da Xi Jinping per descrivere il rallentamento della crescita, l’economia cinese dovrà sperimentare le durezze della ristrutturazione, che porterà con sé un divario ancora più profondo fra ricchi e poveri, disoccupazione e problemi ambientali".

"Dall’epoca delle riforme e delle aperture, la crescita economica ha mantenuto la legittimazione del Partito comunista. La trasformazione industriale e la ristrutturazione dell’economia colpiranno il mercato del lavoro, dove milioni di universitari laureati rappresentano una nuova sfida. Internet diffonde le notizie e velocizza la consapevolezza della popolazione. Da quando Xi Jinping ha preso il potere le autorità hanno stretto il controllo sulla società: sempre più avvocati vengono arrestati e, mentre la gente cerca pace nelle religioni, il governo cerca di frenarle".

"Si rafforza anche la censura su internet. Il controllo totale sulla società mostra la preoccupazione delle autorità riguardo a possibili agitazioni popolari. A settembre 2015, il membro del Politburo Wang Qishan ha per la prima volta affrontato in maniera aperta la legittimità del Partito. Anche se i media ufficiali hanno dipinto questo intervento come “epocale” e “una manifestazione della fiducia del Partito in se stesso”, esso riflette anche la consapevolezza dei rischi potenziali e delle crisi che potrebbero arrivare". 

Vengono al pettine i nodi di una globalizzazione disordinata e tumultuosa, che ha visto capitalismo del risparmio e del debito evolvere ed interagire in modo disomogeneo  e devastante. In Cina principi socialisti, mercato, intervento pubblico, tradizioni ed egemonia del partito comunista hanno determinato una crescita economica senza precedenti, segnata da contraddizioni e criticità difficili da sanare.
La crisi del modello cinese, efficacemente illustrata nell'articolo di Ai, spaventa osservatori e operatori, ma non vanno sottostimati i fattori che rendono improbabile  un crollo. Il welfare è corto e relativamente poco costoso. Ha un preciso fondamento nell'art. 42 della costituzione vigente, che ne delimita l'ampiezza fissandone la dipendenza dallo sviluppo della produzione:

"Citizens of the People’s Republic of China have the right as well as the duty to work.
Through various channels, the State creates conditions for employment, enhances occupational safety and health, improves working conditions and, on the basis of expanded production, increases remuneration for work and welfare benefits".

Si tratta di un assetto contestato, ma la memoria generazionale opera ancora tutto sommato a suo favore. Sono molti i cinesi che hanno sperimentato la povertà assoluta e le durezze della Rivoluzione culturale e del regime maoista. Questi e i loro figli sono disposti a tollerare difficoltà che a noi sembrano intollerabili. Inoltre esercita tuttora un ruolo importante il nazionalismo. Il diffuso sentimento patriottico può determinare una maggiore tenuta del sistema.
Vedremo se i governanti sapranno controllare una situazione che rischia di sfuggire di mano. Ben difficilmente tenteranno di introdurre istituzioni che ai loro occhi hanno fallito nelle democrazie occidentali e possono compromettere l'egemonia del Partito comunista, potendo invece trarre ispirazione da un modello di successo vicino anche sotto il profilo culturale: Singapore.


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