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venerdì 16 maggio 2014

Urge ristrutturazione. Del debito pubblico o della spesa pubblica?




Sul Corriere della Sera del 14 maggio 2014 Lucrezia Reichlin esamina la questione dell'imponente debito pubblico italiano, suggerendo una sua ristrutturazione "creativa", sotto l'egida dell'Unione Europea:

"In una unione monetaria un Paese non può unilateralmente creare inflazione e svalutare, inoltre la crisi del debito in una nazione contagia gli altri perché mette a repentaglio la sopravvivenza stessa della divisa comune. Va costruito quindi un meccanismo di risoluzione a livello federale che renda legittima la ristrutturazione".

Le risponde Giampaolo Galli su Il Sole 24 ORE del 15 maggio 2014:

"...ritengo di dover argomentare che la ristrutturazione del debito non sarebbe affatto una catarsi liberatoria e non è comunque un'alternativa all'austerity. Essa sarebbe invece una forma parossistica di austerity concentrata in un brevissimo periodo di tempo e produrrebbe una desertificazione del paese, delle sue imprese, del suo capitale umano e tecnologico".

"È infatti del tutto evidente che una ristrutturazione, di necessità forzosa, deve essere nell'ordine di varie decine di punti di Pil, diciamo fra i 30 e i 50 punti, in modo da abbattere in modo decisivo il rapporto debito su Pil. Se fosse più modesta, il debito continuerebbe a non essere credibile e il Tesoro non riuscirebbe più a rifinanziarlo sul mercato".

"Gli italiani - per lo più famiglie ma anche banche e imprese - si vedrebbero quindi più o meno dimezzato il valore dei loro titoli di Stato". 

" In sostanza si tratterebbe di una tassa straordinaria e straordinariamente elevata nell'ordine di svariate decine di punti di Pil. Per confronto la stretta fiscale operata dal governo Monti nel 2012 è stata di 2,5 punti di Pil. Appare evidente che crollerebbe, ben più di quanto non sia accaduto sino a oggi, la domanda interna con effetti devastanti sulle imprese e sull'occupazione. Un'altra conseguenza sarebbe il default delle banche, con connessa esigenza di operare massicci salvataggi che costringerebbero a emettere nuovo debito pubblico. È difficile immaginare come l'economia possa riprendersi dopo questo shock, anche perché non esistono precedenti in epoca moderna di ristrutturazioni di questa entità in un paese caratterizzato, come è l'Italia, da una diffusione di massa del risparmio e dei titoli di Stato. È però certo che ci vorrebbero molti anni segnati da sofferenze sociali mai sperimentate prima".

Alle condivisibili considerazioni di Galli si deve aggiungere un rilievo di fondamentale importanza: la ristrutturazione del debito non sanerebbe i gravi problemi che precludono la crescita economica.
Accanto a profondi fattori socio-culturali resterebbe infatti elevatissima la pressione fiscale, maggiore responsabile della stagnazione/recessione economica. Ormai supera il 50% del PIL, consentendo una intermediazione pubblica di più della metà della ricchezza prodotta nel paese. Tale insostenibile prelievo fiscale è necessario per fronteggiare l'enorme spesa pubblica, che ormai ammonta a più di ottocento miliardi. Dunque la spesa pubblica italiana, non il debito pubblico, deve essere ristrutturata. Nessun settore sia sottratto alla riforma, guidata dal principio di sussidiarietà. Meno tasse per ceti medi e imprenditori, chiamati in cambio ad assumersi maggiori responsabilità.


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