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venerdì 23 maggio 2014

Prima guerra mondiale. L'inutile strage.




Il 28 luglio 1914 l'Impero austro-ungarico dichiarò guerra al Regno di Serbia. Così iniziò la Prima guerra mondiale, la Grande guerra. L'entrata in guerra dell'Italia avvenne quasi un anno dopo, il 24 maggio 1915.
Quella fatale estate del 1914 sorprese anche osservatori lucidi ed esperti. Significative le parole del grande filosofo britannico Bertrand Russell, allora quarantaduenne, nato in una delle più importanti famiglie aristocratiche, il cui nonno, lord John Russell, era stato primo ministro e ministro degli esteri:

"Mi trovavo a Cambridge nelle calde giornate della fine di luglio e non facevo che discutere con accanimento della situazione politica con chiunque mi capitasse a tiro. Mi sembrava impossibile che le nazioni europee commettessero la pazzia di scatenare una guerra, ma non dubitavo che, se la guerra fosse davvero scoppiata, l'Inghilterra sarebbe stata trascinata a parteciparvi. Sentivo invece, con tutta l'anima, che il nostro paese doveva rimanere neutrale..."

"Con mio vivo stupore...dovetti persuadermi che, in generale, uomini e donne si rallegravano all'idea di fare la guerra"

"Ma ancor più raccapricciante, a parer mio, era il fatto che la prospettiva di una carneficina fosse causa di piacevole eccitamento per, si può dire, il novanta per cento della popolazione. Dovetti ricredermi sulla natura umana... Fino a quel momento avevo creduto che i più amassero i propri figli; la guerra mi rivelò che coloro che li amano sono l'eccezione. Avevo creduto che la gente, in generale, amasse il denaro più di ogni altra cosa; mi resi conto che amavano ancor più la distruzione. Avevo immaginato che gli intellettuali amassero soprattutto la verità, ma qui ancora scoprii che quelli che preferivano la verità alla notorietà erano meno del dieci per cento" (Bertrand RUSSELL, L'Autobiografia, 1914 - 1944, Volume secondo, 1971, pp. 11, 12, 14 e  15).

La sorpresa e l'amarezza colsero in quei giorni anche Giovanni Giolitti, lo statista liberale che segnò con la sua opera e la sua personalità il decennio precedente. Giolitti assunse una posizione neutralista, cercando di impedire la guerra e la partecipazione ad essa dell'Italia:

"Ricordavo i due tentativi dell'Austria, che avevo concorso a sventare, per aggredire la Serbia nell'anno precedente, e sentivo e sapevo che il partito militare austriaco mirava ostinatamente a tale scopo; ma io confidavo che le ragioni della pace, che erano così grandi e universali, avrebbero prevalso contro quella criminale infatuazione. La guerra con la Serbia era voluta dai militaristi austriaci come mezzo per sanare le discordie interne, con l'illusione che essa potesse rimanere isolata; ma io pensavo che le altre potenze, che non avevano quelle ragioni e non potevano farsi illusioni sul contegno della Russia di fronte ad una tale provocazione, e che avrebbero dovuto comprendere l'enormità del disastro che la guerra europea sarebbe stata per tutti, avrebbero all'ultimo trovato un compromesso ed una transazione che evitasse l'immane rovina"

"...io osservavo che non si può portare il proprio Paese alla guerra per ragione di sentimento verso altri popoli, ma solo per la tutela del suo onore e dei suoi primari interessi. Tali sono le ragioni pratiche...per le quali io esprimevo parere contrario all'entrata dell'Italia in guerra; e le quali, per quanto riguarda le previsioni della durata della guerra, delle sue difficoltà e dei sacrifizi di uomini e di ricchezza che essa implicava, furono poi pienamente confermate dagli avvenimenti" (Giovanni GIOLITTI, Memorie della mia vita, 1982, pp. 316, 317, 323  e 324).

I cattolici italiani e la Santa Sede si opposero alla guerra. Papa Benedetto XV tentò ripetutamente di comporre il conflitto.  Sua è l'espressione "inutile strage" con cui nel 1917 denunciò l'orrore, supplicando le potenze di deporre le armi. 
La memoria generazionale indebolita e fuorviata, i sentimenti nazionalisti diffusi nel Diciannovesimo secolo e i difetti istituzionali delle potenze coinvolte condussero dunque l'Europa alla tragedia. La Grande guerra aprì la via al fascismo, al nazismo e al regime sovietico. Essa costituì il punto di avvio del "Secolo breve" chiuso dalla caduta del Muro di Berlino (1989).
L'effettiva portata di tale immane tragedia sfuggì anche ai suoi più influenti protagonisti. Il più brillante generale italiano del Ventesimo secolo, Enrico Caviglia, ha terminato il suo libro sulla battaglia di Vittorio Veneto, con queste parole:

"Ma ora la nazione ha acquistato maggior fiducia in sé, nella sua forza economica, nella sua capacità organizzatrice, nella possibilità di diventare una potenza industriale: nella sua resistenza alle lotte d'ogni genere. Infine l'Italia ha dato al mondo una sicura prova che non è una nazione effimera, ma un edificio di profonde e sicure basi,  di forze morali intellettuali e materiali solide e resistenti..." (Enrico CAVIGLIA, Vittorio Veneto, 1920, p. 121).

Non era vero. Il regime mussoliniano, l'8 settembre 1943, la difficile democratizzazione e l'inadeguata modernizzazione che hanno seguito la Seconda guerra mondiale affondano le loro radici in quell'"inutile strage".


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