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domenica 29 gennaio 2012

L' Europa di Angela Merkel.

In una recente intervista la cancelliera tedesca Angela Merkel ha delineato una coerente visione dell' Europa e delle sue prospettive. I problemi dei paesi europei sono correttamente considerati nell' ambito dell' economia globalizzata.
All' inizio, dichiara Merkel, "si è discusso molto se noi in Europa non fossimo semplicemente solo le vittime dei cosiddetti speculatori". Ma " è evidente che i mercati testano la nostra volontà di coesione. Gli investitori di lungo periodo, che investono il denaro di tanta gente, vogliono sapere quale sarà la condizione dell’Europa fra venti anni".

"L’Europa ha bisogno di più crescita e più occupazione: anche in futuro deve potersi affermare nella concorrenza mondiale. Io voglio che l’Europa, anche fra venti anni, sia apprezzata per il suo potenziale innovativo e per i suoi prodotti. Si tratta di come noi riusciremo ad affermarci in futuro nell’era della globalizzazione, e quindi a garantire anche in futuro il nostro benessere".

"Noi siamo solidali, non dobbiamo però neppure dimenticare la responsabilità propria. Sono due lati della stessa medaglia. Non ha senso promettere sempre più soldi, senza combattere contro le cause della crisi. In Spagna, ad esempio, oltre il 40% dei giovani è senza lavoro, fenomeno dovuto anche alla legislazione... Io mi adopero affinché noi in Europa impariamo gli uni dagli altri. In certi settori anche la Germania può orientarsi verso altri Paesi".

"Noto che alcune persone, quando si tratta di crescita, pensano solo a onerosi programmi congiunturali. Programmi che erano opportuni nella prima crisi e anche ora dovremmo vagliare con attenzione i fondi europei nei quali c’è ancora denaro inutilizzato. Vorrei che lo impiegassimo miratamente per misure che promuovono la crescita e l’occupazione. Mi riferisco ai sostegni per le medie imprese o per chi vuole avviare un’attività in proprio, a programmi occupazionali per i giovani o a fondi per la ricerca e l’innovazione. La Germania è disposta a impiegare i fondi strutturali per questi utili scopi".

"Vi sono anche altre possibilità di favorire la crescita che non costano praticamente denaro. Prendiamo la legislazione sul lavoro, che deve diventare più flessibile, soprattutto laddove vengono erette barriere troppo alte per i giovani. Non è accettabile che interi comparti professionali siano accessibili solo a un gruppo ristretto di persone. Il settore dei servizi può venire potenziato molto rapidamente. Abbiamo bisogno di più privatizzazione. Vi sono molte possibilità di allentare i freni alla crescita tramite riforme strutturali di questo genere".

"... non sarebbe utile a nessuno se la Germania si indebolisse. Ovviamente, col tempo dobbiamo correggere gli squilibri in Europa, per raggiungere questa meta sono gli altri Paesi che devono aumentare di nuovo la loro competitività e non la Germania che deve diventare più debole".

"Non voglio un’Europa museo di tutto ciò che una volta era valido, bensì un’Europa in cui con successo si creano novità. So che per molti questo comporta un cambiamento molto, molto grande, dobbiamo quindi sostenerci a vicenda. Ma se ci tiriamo indietro dinanzi a questi sforzi, siamo solo gentili tra di noi e annacquiamo ogni tentativo di riforma, allora sicuramente rendiamo un pessimo servizio a l’Europa".

"Ma, per tornare nuovamente alla sua metafora musicale, al momento non si dovrebbe parlare della bellezza della musica in generale e dell’importanza culturale dell’orchestra. Dovremmo invece suonare nel concerto dei mercati mondiali. Che vogliono sentire qualcosa di accettabile".

L' Europa che Merkel disegna dovrebbe rispondere alle sfide della globalizzazione con l' innovazione e gli incrementi di produttività e competitività. Si tratta di una visione largamente condivisibile ma grandi ostacoli si frappongono.
Innanzi tutto la struttura del welfare che caratterizza gran parte dell' Unione Europea. Sarà possibile ridurre a sufficienza pressione fiscale e spesa pubblica in presenza di uno stato sociale così ampio e costoso? Un welfare spesso oltremisura generoso è compatibile con la necessità di incentivare l' impegno e il risparmio?
Si deve inoltre considerare la profondità del divario di competitività che divide i paesi periferici dell' Unione Europea da quelli già meglio in grado di reggere alla competizione internazionale. Come reagirà il "popolo dei forconi" all' imposizione di modelli e regole incompatibili con abitudini e interessi consolidati?
Ed infine va sottolineato il diffuso indebolimento dell' etica del lavoro, della responsabilità e della famiglia. L' Europa distrutta del Secondo dopoguerra è stata ricostruita e portata ad un alto livello di benessere da uomini certamente più capaci di affrontare le difficoltà.
Ma quelle tradizioni, quella solidità individuale e familiare non esistono più. Esse non sono state sostituite da un altro efficiente assetto morale. I cittadini europei sono oggi in grado di reagire adeguatamente alla crisi?


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martedì 24 gennaio 2012

Imre Lakatos e il Cile di Allende. Per una storiografia integra ed integrale.

Imre Lakatos è stato uno dei più importanti filosofi della scienza del Novecento. Nato in Ungheria ed alto funzionario durante i primi anni del regime comunista, appoggiò la rivoluzione del 1956. Si trasferì poi in Gran Bretagna, dove morì nel 1974. Dopo una formazione hegeliana e marxista fu allievo e successore di Karl Popper. Del grande filosofo austriaco fu il critico più lucido e costruttivo. E' il padre della metodologia dei programmi di ricerca scientifici.
In una lezione tenuta alla London School of Economics all'inizio del 1973, trattando la differenza tra teorie newtoniane e marxiste, fece un'affermazione che può sembrare sorprendente:

"Non è cioè lecito avanzare la teoria che tutti i regimi socialisti sono meravigliosi tranne la Russia, la Cina, Il Cile, Cuba, e tutti quelli esistenti".

(Imre LAKATOS, Paul K. FEYERABEND, Sull'orlo della scienza, 1995, pag. 119)

Il Cile della presidenza socialista di Allende, come Russia, Cina e Cuba, una "democrazia popolare" senza libertà? Lakatos, che conosceva bene queste "democrazie", mirando ad altro ha colto probabilmente nel segno. Del Cile conosciamo il sanguinario regime di Pinochet. Meno sappiamo delle vicende che condussero al colpo di stato.
Abbiamo bisogno di una storiografia integra ed integrale. Non per prevedere il futuro, certamente imprevedibile, ma per assumere un atteggiamento più saggio e critico quando tentiamo di capire e risolvere i problemi che oggi ci assillano.




domenica 15 gennaio 2012

Crisi economica. Il nuovo conformismo.



" Abbiamo bisogno di certezze e di capri espiatori. La certezza di non perdere quel che abbiamo. I capri espiatori su cui scaricare ogni responsabilità per i tempi duri che viviamo.
Così, una plumbea nuvola di cecità e di conformismo sta lentamente avvolgendo un po’ tutto e tutti".

"In un clima siffatto, io vedo il pericolo che, nel dibattito pubblico dei prossimi mesi, si mettano da parte alcuni dati di fondo, che sono cruciali per prendere decisioni sagge, ma appaiono urticanti o «politically taboo» a quasi tutti i soggetti in campo. Quali dati? Il primo dato è che la pressione fiscale sull'economia regolare è la più alta del mondo sviluppato (intorno al 60%), e così il livello di tassazione sulle imprese, il cosiddetto Total Tax Rate (68.6%)".

"Il secondo dato di fondo è la strabica selettività della repressione dell'evasione. Ci sono intere zone del Paese in cui quasi tutto è in nero.... Il fatto è che se volesse intervenire contro l'illegalità, lo Stato dovrebbe militarizzare circa un quarto del territorio nazionale, e distruggere un paio di milioni di posti di lavoro, che si reggono sui bassi salari".

"C'è un terzo dato di fondo, che mi pare fondamentale ora che si sta per aprire lo spinoso capitolo del mercato del lavoro: da un paio di anni l'Italia sta riducendo la sua base produttiva. Fallimenti, chiusure volontarie di attività, bassi investimenti, distruzione di posti di lavoro, si stanno susseguendo senza interruzione dal 2008...lavorare e produrre in Italia sta diventando sempre più proibitivo sul piano dei costi di produzione".

Con lodevole continuità Ricolfi riporta l'attenzione sui difetti strutturali del sistema Italia. Ma per squarciare la cappa di conformismo che ci sovrasta occorre toccare altre spinose questioni.
Jin Liqun è presidente del consiglio dei supervisori del fondo sovrano da 400 miliardi di dollari China Investment Corporation ed ex vice ministro delle finanze della Repubblica Popolare Cinese. In una recente intervista ad Al Jazeera ha duramente criticato il welfare europeo:

"If you look at the troubles which happened in European countries, this is purely because of the accumulated troubles of the worn out welfare society. I think the labour laws are outdated. The labour laws induce sloth, indolence, rather than hardworking. The incentive system, is totally out of whack".

"Why should, for instance, within [the] eurozone some member's people have to work to 65, even longer, whereas in some other countries they are happily retiring at 55, languishing on the beach? This is unfair. The welfare system is good for any society to reduce the gap, to help those who happen to have disadvantages, to enjoy a good life, but a welfare society should not induce people not to work hard."

Sono i difetti del welfare, secondo Jin Liqun, le cause della crisi. Le leggi sul lavoro sono obsolete, spingono alla pigrizia e all'indolenza invece che al duro lavoro. Il "welfare system" è buono per ogni società per ridurre il divario, per aiutare gli svantaggiati, ma una società del benessere non deve indurre la gente a non lavorare duramente. Questa Europa non attrae più a sufficienza investimenti stranieri.
L'Italia soffre di più, ma paesi come Francia ed Austria non ridono. Le peculiarità italiane, indicate da Ricolfi, spiegano le maggiori difficoltà. Però Francia ed Austria non hanno la nostra evasione fiscale, la nostra Pubblica Amministrazione inefficiente, la nostra giustizia lenta, la nostra criminalità organizzata, la nostra energia costosissima. E allora?
Evidentemente c'è altro. Forse Jin Liqun, che colloca i problemi in un contesto globale, ha in qualche misura ragione. Difficile ridurre la pressione fiscale e il debito pubblico senza riformare lo stato sociale. Che nella Europa migliore copre troppo e costa troppo, mentre in quella peggiore costa troppo senza raggiungere i propri obiettivi.
Sembra opportuno cercare di individuare i fattori della crisi ed i possibili rimedi senza concentrare l'attenzione su speculatori, banchieri, governanti egoisti ed inflessibili, agenzie di rating. Impareremo comunque dai nostri errori, se non sarà troppo tardi.





sabato 7 gennaio 2012

Comunisti a Washington. Quando Stalin sbirciava nello studio di Roosevelt.


Il film di Clint Eastwood J. Edgar presenta la controversa figura di J. E. Hoover, il vero creatore dell'FBI, toccando anche la questione delle indagini sui "sovversivi", sui "rossi", sui "comunisti", tanto spesso bersaglio delle sue invettive. Fissazione paranoica o pericolo reale per la sicurezza degli Stati Uniti?



Dagli anni Venti Willi Munzenberg, con i suoi collaboratori e le sue organizzazioni, per conto dei sovietici attuò negli USA una efficace propaganda a favore del comunismo e del nuovo stato nato dalla Rivoluzione d'Ottobre. Nei lunghi anni delle presidenze Roosevelt (1933-45) prevalentemente per motivi ideologici alcuni cittadini americani collaborarono con i servizi sovietici.
Il professor Christopher Andrew, ex preside della facoltà di storia presso l'Università di Cambridge, è da molti considerato il massimo studioso del ruolo dei servizi segreti nel Novecento. In L'Archivio Mitrokhin (1999, pp. 152 e 153), scritto con l'ex agente del KGB Vasilij Mitrokhin, ha sottolineato il successo dell'intelligence sovietica con queste parole:

"La maggior parte degli altri agenti di prima della guerra, in ogni caso, fu con successo rimessa in attività; tra questi Lawrence Duggan (FRANK) e Harry Dexter White (JURIST). Henry Wallace, vicepresidente durante il terzo mandato di Roosevelt (dal 1941 al 1945), affermò in seguito che, se Roosevelt fosse morto in quel periodo ed egli fosse diventato presidente, sarebbe stata sua intenzione nominare Duggan suo segretario di Stato e White suo segretario del Tesoro. Il fatto che Roosevelt sopravvisse tre mesi in un quarto mandato senza precedenti alla Casa Bianca, e che sostituì Wallace con Harry Truman come vicepresidente nel 1945, privò il sistema informativo sovietico di quello che sarebbe stato il suo successo più spettacolare: l'infiltrazione in un grande governo occidentale. L'NKVD riuscì in ogni caso a infiltrarsi in tutte le sezioni importanti dell'amministrazione Roosevelt".

"Vi era un abisso enorme tra le informazioni sugli Stati Uniti fornite a Stalin e quelle a disposizione di Roosevelt sull'Unione Sovietica. Laddove il Centro si era infiltrato in ogni ramo importante dell'amministrazione di Roosevelt, l'OSS, così come il SIS, non aveva un solo agente a Mosca. Alla conferenza di Teheran dei Tre Grandi, nel novembre del 1943, la prima volta che Stalin e Roosevelt si incontrarono, una informazione di gran lunga superiore diede a Stalin un considerevole vantaggio nella negoziazione".

Dunque quelle di Hoover non erano certo fisime. Soltanto per poco gli agenti americani di Stalin non arrivarono a ricoprire gli incarichi chiave di ministri degli Esteri e del Tesoro degli Stati Uniti. Sono vicende note da tempo, ma non in Italia. E non dobbiamo stupirci. Quanti sanno che soltanto pochi anni fa il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer accettava i finanziamenti ed eseguiva le direttive dell'Unione Sovietica?






domenica 1 gennaio 2012

Newton filosofo naturale. L'archivio Portsmouth.

 


Isaac Newton nacque in Inghilterra il 4 gennaio del 1643, secondo il calendario gregoriano. Morì a Londra nel 1727. Figlio di piccoli proprietari terrieri, fu prima studente poi professore al Trinity College di Cambridge. Durante la sua lunga vita conseguì fama intellettuale e successo pubblico. Membro e quindi presidente della Royal Society, divenne direttore della Zecca e cavaliere.
Celebrato per la sua teoria della gravitazione universale e per il suo contributo allo sviluppo del calcolo infinitesimale, ha rappresentato l'immagine positivista dello scienziato. Ma nel Novecento l'esame approfondito dei suoi manoscritti ha consentito di rivedere la sua figura, ora presentata coi tratti di un filosofo naturale del suo tempo. Su Newton la video lezione del professor Paolo RossiDa segnalare anche questa recentissima biografia  scientifica: Niccolò GUICCIARDINI, Newton, 2011.
La nuova filosofia naturale del Seicento si confrontò criticamente con la tradizione aristotelica. Si trattò di un approccio globale, riguardando "la visione del mondo, dell'uomo, della conoscenza, e infine di Dio stesso e delle sue relazioni con la Natura" (op. cit. pag. 33). Newton si occupò a lungo non solo di fisica e matematica ma anche di alchimia, teologia, cronologia. Convinzioni non conformiste e antitrinitarie, eretiche anche rispetto all'anglicanesimo, caratterizzarono la sua religiosità, tanto da costringerlo ad una grande riservatezza.
Incline all'esoterismo, lo sfondo concettuale connesso ai suoi interessi alchemici e teologici influenzò la concezione delle teorie fisiche. "Tutte le ricerche newtoniane, anche quelle di ottica, di fisica e di astronomia, sono in una certa misura intrecciate ... alle sue convinzioni religiose e alla sua teologia eretica" (op. cit. pag. 119).
Ben più vicina alla visione oggi prevalente appare la posizione del cattolico Galilei, espressa nella Lettera a padre Benedetto Castelli, che ha ottenuto un ampio consenso anche in ambito teologico:
"... Io crederei che l'autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti".
Infine qualche cenno del cosiddetto archivio Portsmouth, il "baule di Newton". Nella seconda metà del Settecento la maggior parte dei manoscritti di Newton era ancora in possesso del Duca di Portsmouth, discendente di sua nipote. Le vicende di questo archivio sono strettamente connesse agli sviluppi della storiografia newtoniana.
Esso rivela un Newton lontano dal mito positivista ed illuminista. Tale distanza determinò la sua divisione e ritardi nella pubblicazione delle sue parti più significative. Gli scritti di immediata rilevanza scientifica passarono alla University Library di Cambridge già alla fine dell' Ottocento, mentre quelli alchemici, teologici e storici furono venduti all'asta negli anni Trenta del Novecento.
La dispersione della collezione di manoscritti li rese disponibili agli studiosi. Tramite i due principali acquirenti, il semitista Abraham Yahuda e l'economista John Maynard Keynes, importanti documenti sono pervenuti, rispettivamente, alla biblioteca dell'Università Ebraica di Gerusalemme e al King's College di Cambridge.
Il ritardo nella pubblicazione del contenuto più scottante del "baule di Newton" deve indurre ad attenta riflessione. Quanto spesso le battaglie politico-culturali indeboliscono l'interesse per la verità e la sua ricerca?




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