La rivolta contro Gheddafi e le bombe occidentali hanno fatto cadere il suo regime in Libia, ma alla caduta è seguito il caos. Caduta e ricostruzione sono processi asimmetrici: è molto più facile abbattere che costruire nella direzione auspicata. La successiva affermazione di gruppi che hanno come referente l'ISIS allarma l'opinione pubblica occidentale, che comincia a chiedere ai propri governi misure di contenimento efficaci.
Il sempre diligente e costruttivo ex ministro degli esteri italiano Franco Frattini in una intervista a Sky TG24 del 19 febbraio 2015 ripropone temi e misure che sembrano oggi lontani dalla realtà: ricostruzione democratica, diritti umani. Più vicina alla realtà l'opinione del generale Carlo Jean, su geopolitica.info del 18 febbraio 2015:
"A mio avviso, l’unica possibilità è quella di un intervento esterno in Libia. Un intervento dell’Egitto e dell’Algeria a sostegno in questo caso del governo di Tobruk. Quello che è da escludere, a parer mio, è di mandare truppe occidentali sul terreno. Ho sentito varie dichiarazioni a riguardo negli ultimi giorni. Neanche se inviassimo diecimila o centomila uomini la situazione si tranquillizzerebbe, dal momento che sul territorio ci sono un milione di armati divisi in 1500 gruppi che tentano di ottenere profitti per prendere il potere politico. Di conseguenza il problema non è di fare un’operazione di peace keeping, ma di peace enforcement: avere cioè una forza tale da riuscire a imporre la pace alle varie milizie disarmandole. Un risultato tutt’altro che semplice".
Per imporre la pace sarebbe necessaria una forza militare soverchiante, che l'Occidente non ha o non è disposto a usare oggi. La userebbe soltanto secondo il modello della "guerra democratica", che inizia con il favore dell'opinione pubblica e non si riesce a chiudere con transazioni. L'opinione pubblica democratica non comprende o disapprova la cosiddetta guerra preventiva, ma poi non si accontenta di risultati parziali. Con queste premesse il dramma è garantito.