"Standard & Poor's ha abbassato il rating dell’Italia sul debito a lungo termine a BBB-".
" La decisione, spiega S&P in un comunicato, «riflette la debolezza ricorrente che vediamo nella performance del Pil reale e nominale dell'Italia, inclusa l'erosione della competitività, che sta minando la sostenibilità del suo debito pubblico». «Un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività, non è compatibile con un rating BBB, secondo i nostri criteri»".
Così Il Sole 24 Ore del 5 dicembre 2014. L'agenzia statunitense denuncia la debolezza strutturale del paese, di cui dà dettagliato conto il 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale italiana:
"Un Paese congelato e col fiato sospeso, in cui le famiglie spendono in contanti al 41% e risparmiano in depositi bancari per placare l’ansia del futuro, le imprese smettono di investire (mantenendo però margini di profitto elevati), 8 milioni di persone non lavorano e le disuguaglianze aumentano corrodendo il ceto medio. Un Paese che ha cambiato pelle, dove la coesione sociale non tiene più, la solitudine avanza, nonostante l’esplosione dei social network, i giovani e le donne vengono mortificati e la politica bypassa sempre di più i corpi intermedi. Senza però ancora raccogliere risultati in termini di ripresa dello sviluppo e dell’occupazione" (Manuela Perrone, Il Sole 24 Ore).
Sullo stesso quotidiano della Confindustria, il 30 novembre 2014, Fabio Pavesi ha posto in rilievo due record dell'Italia: la ricchezza privata e il debito pubblico. La ricchezza privata non riduce davvero il rischio del debito, potendo diventare direttamente risorsa pubblica solo attraverso l'imposizione fiscale, già elevatissima.
In un sistema sano la ricchezza privata diventa indirettamente risorsa pubblica quando viene impiegata dai privati per la produzione e il consumo, aumentando così la base imponibile. Ma, scrive Perrone, "In generale, per il pianeta delle industrie, il Censis registra il poderoso calo degli investimenti che si è registrato dal 2008 a oggi con un’incidenza sul Pil arrivata al 17,8%: una flessione complessiva del 25%, soprattutto in hardware (-28,8%), costruzioni (-26,9%), mezzi di trasporto (-26,1%), macchinari e attrezzature (-22,9%). Rispetto al 2007, la mancata spesa cumulata per investimenti ha raggiunto la somma record di 333 miliardi di euro, più del piano Juncker". La caduta dei consumi chiude il circolo vizioso.
Gli italiani possono fronteggiare il declino solo prendendo consapevolezza dei vizi strutturali che lo determinano. Welfare, autonomie locali, agenzie educative, pubblica amministrazione, certezza del diritto e legalità, pressione fiscale e contributiva, costo dell'energia, immigrazione, tendenza demografica. Questi sono i settori decisivi che richiedono radicali interventi. Senza verità la via del ritorno allo sviluppo resta inaccessibile.