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giovedì 3 ottobre 2013

Italia. Destra e libertà.




Su La Stampa del 3 ottobre 2013 Luigi La Spina ritorna su una questione a lungo dibattuta: perchè l'Italia non ha una genuina destra liberale, paragonabile ai partiti liberalconservatori che esercitano un importante ruolo nelle altre democrazie occidentali?
Tra le recenti opere che hanno affrontato anche questo interrogativo si distingue Tre giorni nella storia d'Italia di Ernesto Galli della Loggia, che qui scrive lucidamente: la "...democrazia illiberale - illiberale nella sostanza, nel modo concreto di funzionare, nella cultura generale della società - è stato il volto autentico della modernità politica italiana" (op.cit., 2010, p.18). Ma questo esito non era inevitabile.
 In vista delle elezioni del 1913 i liberali del cattolico Giovanni Giolitti conclusero un accordo con l'Unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI), un'associazione laicale diretta da Vincenzo Gentiloni, alla quale lo stesso papa Pio X affidò il compito di far partecipare i cattolici italiani alla vita politica. L'informale Patto Gentiloni ebbe grande successo. Con il suffragio universale maschile nel 1913 i liberali di Giolitti ottennero il 51% dei voti e 260 eletti su 508, 228 dei quali avevano sottoscritto gli impegni previsti dall'accordo. Giolitti era riuscito a far entrare i cattolici nelle istituzioni nate dal Risorgimento, nel segno di un liberalismo pragmatico e rispettoso di ogni libertà, religiosa compresa.
 Questa compagine liberale, contraddistinta dalla presenza di numerosi cattolici, era maggioritaria e poteva evolversi in quel movimento moderato, liberale e aperto alla partecipazione dei cattolici che oggi molti auspicano. Ma altri esponenti del Cattolicesimo italiano tentavano di costituire un partito di cattolici, che fu fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo. Il Partito Popolare di Sturzo si ispirava alla Dottrina sociale della Chiesa, con il programma di rinnovare a fondo la politica e la società italiane. Perseguendo questo ambizioso obiettivo si oppose al ritorno al governo del vecchio ma esperto Giolitti, solo statista italiano in grado di precludere a Mussolini la conquista del potere. Dino Grandi, forse il più intelligente gerarca fascista, ha espresso un duro giudizio sull'operato di Sturzo:

 "Il veto di Sturzo al ritorno di Giolitti fu in effetti il più grande servizio che il prete di Caltagirone avrebbe potuto rendere al movimento fascista per cui, non a torto, Sturzo è stato paradossalmente definito da taluni come uno dei padri della marcia su Roma" (Dino GRANDI, Il mio paese. Ricordi Autobiografici, ed.1985, pag. 157).

Con il regime mussoliniano si rafforzò la deriva illiberale della società e della cultura italiane, che  non riuscì a trovare poi un argine efficace. Tale non si rivelò l'opera di De Gasperi, pur segnata dalla collaborazione con uno dei pochi grandi liberali italiani, Luigi Einaudi,  a cui lo statista trentino affidò l'economia dell'Italia distrutta e sconfitta. De Gasperi era guidato da sincere convizioni liberali, mentre il secondo presidente della Repubblica era cattolico. Il liberalismo einaudiano, lontano da ogni astratto dogmatismo, guardava alla tradizione e alle istituzioni liberali delle democrazie occidentali.
Ma Einaudi non ottenne un secondo mandato come presidente della Repubblica e De Gasperi dovette lasciare la guida del governo. Ad essi va principalmente riconosciuto il merito della rapida ricostruzione del paese, eppure la loro influenza sulle istituzioni e sulla politica italiane non fu durevole. Nel 1942 Einaudi recensì sulla Rivista di storia economica (giugno, pp. 49-72)  Die Gesellschaftskrisis der Gegenwart di Wilhelm Röpke, il padre dell'economia sociale di mercato tedesca. La corrispondenza di idee e valori lascia intravedere ciò che sarebbe potuto avvenire e non è avvenuto. Röpke fornì il supporto teorico a un robusto movimento liberale e moderato, capace di dare un apporto decisivo alla costruzione di una ricca e libera democrazia, mentre quelle di Luigi Einaudi restarono Prediche inutili.
Tuttora il nostro paese, prigioniero di una cultura illiberale e statalista, è incapace di esprimere un partito conservatore non delle anomalie che hanno condotto al declino, ma dei valori e delle tradizioni che hanno rese grandi le democrazie occidentali.

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