Sul Corriere della Sera del 24 settembre 2013 Alesina e Giavazzi scrivono:
"Il governo dice che la ripresa dell'occupazione richiede una forte riduzione delle tasse sul lavoro. Giusto, ma bisogna capire l'ordine di grandezza. Il ministro del Lavoro Giovannini punta a una riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra ciò che paga l'impresa e quanto va in tasca ai dipendenti) di 5 miliardi: ne servono 50 per portarlo al livello tedesco".
Questo infatti è il punto fondamentale: l'ordine di grandezza. Gli stessi economisti nell'editoriale lo definiscono ricordando che:
"Solo nel 2013 il Documento di economia e finanza (Def), pubblicato la scorsa settimana, stima che la spesa al netto degli interessi aumenterà di circa 10 miliardi, da 714 a 724 miliardi".
"Spendiamo, al netto di interessi, pensioni, sanità e interventi sociali circa 250 miliardi l'anno".
Si deve sottolineare che i fattori della competitività e della capacità di attrarre gli investimenti non si risolvono nel solo cuneo fiscale. Basti pensare a burocrazia, legislazione sul lavoro, relazioni industriali, costo dell'energia, banda larga, corruzione, criminalità organizzata, sistema scolastico. Ma certamente la pressione fiscale/contributiva su lavoro e impresa riveste un ruolo determinante.
In Italia un taglio della spesa pubblica di 50 miliardi non basta. Occorre infatti molto di più per ridurre efficacemente la pressione fiscale e, nel contempo, realizzare le infrastrutture indispensabili che i privati non possono o non vogliono costruire, senza accrescere il già enorme debito pubblico. Sembra plausibile la necessità di risparmiare 150/200 miliardi.
Tale riduzione non si può evidentemente conseguire incidendo soltanto sui 250 miliardi "al netto di interessi, pensioni, sanità e interventi sociali". Va realizzata "spalmando" l'intervento su tutti gli oltre 800 miliardi di spesa pubblica. Ma soprattutto non limitandolo alla semplice razionalizzazione del sistema. Bisogna invece attuare un nuovo modello di paese e di società.
Pochi giorni fa il Re Guglielmo di Olanda, in un discorso che ha destato scalpore, ha previsto l'estinzione dell'attuale stato sociale, sostituito da "... una società della partecipazione, nella quale i cittadini devono prendersi cura di se stessi, ed è la società civile a dover ideare soluzioni per questioni come la cura degli anziani”. L'Olanda si trova in una situazione economica migliore di quella italiana. Eppure il suo governo si appresta ad applicare con coraggio i principi della sussidiarietà e della responsabilità. Senza un radicale cambio di direzione di questo tipo il declino dell'Italia diventerà inarrestabile. Ma gli elettori italiani, soprattutto del ceto medio, sapranno accettare nuove responsabilità? Sapranno comprendere il senso e la necessità di una rivoluzione a cui non sono preparati?