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" Come dimostrano i Tea Party, capaci di prendere in ostaggio il Grand Old Party repubblicano spingendo l'America fino al limite del default, o i sondaggi di Marine Le Pen in Francia, o l'affermarsi di partiti antieuro in Austria e in Germania, il vento della storia non soffia certo oggi nelle vele dei moderati".
Ma negli USA, come si ricava dai verbali di una recente riunione dei membri della Federal Reserve, "i progressi del mercato del lavoro ... «sono deludenti» e la crescita è ancora «debole»". Su questo sfondo va collocato l'attuale duro scontro tra Democratici e Repubblicani. Chi pone a rischio la tenuta finanziaria degli Stati Uniti senza ottenere risultati apprezzabili? Obama, con la sua politica economica "accomodante", o i Tea Party, che chiedono di ripristinare condizioni favorevoli per investimenti, impresa e lavoro richiamandosi alla tradizione?
E' sbagliato riferire le stesse espressioni di condanna a realtà molto diverse tra loro. Ciò che fa la differenza tra "conservatori" e distingue un "reazionario" dall'altro è appunto ciò che si intende conservare o a cui si vuole ritornare. Evidentemente non è la stessa cosa guardare alla Dichiarazione di Indipendenza USA del 1776, al regime mussoliniano o alla Francia che si riconobbe nella visione del maresciallo Petain.
Oggi i cosiddetti moderati sono chiamati a scelte radicali in tema di welfare, concorrenza, lavoro e fisco. Sono queste indispensabili ma spesso impopolari riforme a contraddistinguere la buona politica. Viene in primo piano così la necessità di trovare a tali riforme un adeguato consenso. Occorre una evidente ed efficace lotta agli sprechi, ai privilegi intollerabili, allo sperpero del denaro pubblico. Altrimenti i tentativi di riforma consegneranno il potere proprio ai movimenti populisti e illiberali che destano la preoccupazione di chi sui media esamina gli sviluppi della crisi.