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martedì 26 febbraio 2013

Italia. La disperazione e il semplicismo.


Ormai più di trenta anni fa il compianto professor Piero Melograni scrisse nel suo brillante Saggio sui potenti:

"Ma in tutti i luoghi l'assetto politico-sociale è il risultato di tendenze e di forze numerose e complesse, materiali e spirituali, razionali e irrazionali, difficilmente controllabili. Nel continuo, intricato, ondeggiante accavallarsi di tutte queste forze e tendenze deve essere cercata la spiegazione delle diverse situazioni storiche nelle quali gli individui e le collettività si trovano concretamente ad operare. Gli stessi capi... sono profondamente condizionati e spesso addirittura travolti dalla circostante realtà" (ed.1977, pag. 123).

Anche e soprattutto la gente comune deve fonteggiare una realtà che travolge individui, famiglie, imprese. Ma più dei potenti ripone le proprie residue speranze in spiegazioni e misure semplicistiche, mentre riconoscendo ed accettando la complessità potrebbe trovare concrete soluzioni.
Fuori dei suoi confini oggi l'Italia è guardata con apprensione.




Preoccupano le scelte del suo elettorato, ma devono ancor più preoccupare la cultura politica diffusa, l'addestramento alla vita democratica, la capacità di competere con successo nel mercato globale. Queste sono le risorse più inadeguate.

martedì 19 febbraio 2013

Russia. L' agenda economica del governo.


Nella società sovietica matura "il potente Stato redistributivo garantiva alla popolazione un alto grado di stabilità e di salvaguardia sociale non giustificabili con il livello di produttività raggiunto dall'economia sovietica. Il "segreto" della politica economica di Breznev fu svelato soltanto dopo la morte del suo ideatore".
"Il regime brezneviano aveva rinunciato definitivamente a introdurre qualsiasi seria riforma strutturale e cominciato a sostituire le riforme con l'esportazione di materie prime ed energia. Gli sforzi principali si erano concentrati sullo sviluppo rapido e ipertrofico dell'industria estrattiva, in primo luogo, di petrolio e gas".
"Tale politica di sostituzione delle riforme con la svendita delle ricchezze naturali contribuì a mantenere lo sviluppo dell'industria e a creare un gran numero di posti di lavoro. Questa fu la ricetta brezneviana per l'organizzazione della stabilità e del consenso nella società sovietica" (Victor ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico, 2009, p. 194).

L'URSS si è dissolta nel 1991, ma questo assetto non ha subito mutamenti decisivi. La Russia è ancora in larga misura dipendente dall'esportazione di petrolio, gas e altre materie prime. Il governo russo tenta di realizzare riforme strutturali: diversificazione produttiva, riduzione del deficit, innovazione tecnologica, ristrutturazione del sistema assistenziale/previdenziale e rinnovamento istituzionale vengono riproposti come punti principali dell'agenda governativa.





Russia OGGI ne espone le linee guida, con un interessante riferimento all'evoluzione del mercato internazionale del gas:


"L’impennata nella produzione a basso costo del gas di scisto e la costruzione degli impianti per la sua liquefazione e il successivo trasporto in Europa costituiscono una reale minaccia per Gazprom, i cui ricavi vengono prodotti al 75 per cento dall’esportazione. Per parecchi anni Gazprom ha guardato con scetticismo alla realtà di una simile minaccia e quindi alla sua remota eventualità, ma a un tratto essa è apparsa come una prospettiva imminente".




Da sottolineare infine il ruolo tuttora centrale dell'industria degli armamenti russa. Nel 2011 la Russia ha mantenuto la posizione di secondo esportatore di armi al mondo dopo gli Stati Uniti. Nel Ventunesimo secolo non potrà più essere soprattutto un esportatore di armi e materie prime energetiche. Ma la strada delle riforme è in salita.

lunedì 11 febbraio 2013

La democrazia occidentale tra promessa e realtà.


Le idee sono potenti fattori della storia umana. Nel Settimo secolo la nuova religione islamica mutò rapidamente e imprevedibilmente non solo i tratti culturali ma lo stesso assetto politico del bacino del Mediterraneo. Il marxismo-leninismo e l'ideologia nazista produssero i grandi totalitarismi del Ventesimo secolo.
Riferendosi a tali totalitarismi Robert Conquest ha intitolato un suo brillante libro Il secolo delle idee assassine. Ma alcuni ideali hanno svolto un ruolo determinante anche nella formazione e nella evoluzione delle democrazie liberali. Sovranità popolare, uguaglianza di fronte alla legge, uguaglianza delle opportunità, diritto alla ricerca della felicità e libertà sono le idee che hanno fondato e legittimato le democrazie occidentali a partire almeno dalle rivoluzioni settecentesche, con le loro incisive dichiarazioni dei diritti dell'uomo e del cittadino.




Queste promesse fondanti e legittimanti rappresentano però l'origine di problemi e tensioni che possono rivelarsi fatali per gli stessi assetti sociali ed istituzionali che hanno potentemente contribuito a creare.
Francois Furet ha scritto:

"Libertà ed eguaglianza sono promesse illimitate". "Quelle promesse astratte in realtà creano un divario insormontabile tra le aspettative dei popoli e quello che la società può offrire". "Si spiega così quell'aspetto certamente singolare della democrazia moderna nella storia universale, che consiste nell'infinita capacità di produrre giovani e adulti che detestano  il regime sociale e politico nel quale sono nati e odiano l'aria che respirano, pur vivendone e non conoscendone altre". "Ho in mente... la passione politica costitutiva della democrazia, quella fedeltà esasperata ai principi che nella società moderna rende un po' tutti nemici del borghese, compreso lo stesso borghese" (Il passato di un' illusione, 1997, p. 23 e seg.).

Queste parole dell'insigne storico francese risalgono agli albori della globalizzazione contemporanea, quando il divario di produttività tra l'Occidente avanzato ed i paesi cosiddetti emergenti era ancora ampio a favore dei paesi occidentali più sviluppati. Proprio l'elevata produttività in termini assoluti e relativi ha consentito il notevole miglioramento delle condizioni di vita di larghi settori della popolazione e l'avvicinamento tra promessa e realtà che contiene il malcontento.
Oggi elevati livelli  di produttività si raggiungono anche nei paesi ormai ex emergenti, nei quali inoltre costo del lavoro, pressione fiscale, relazioni industriali, tutela dell'ambiente e situazione politica rendono vantaggiosa la produzione manifatturiera, lì spesso trasferita dai paesi di più antica industrializzazione. Così diventa sempre più difficile garantire buone opportunità nelle democrazie occidentali. La distanza tra promessa e realtà si allarga. Non si può escludere la rivolta di chi non ha accesso a uno standard considerato irrinunciabile.
Che fare? E' urgente eliminare privilegi, rendite di posizione, chiusure corporative. Occorre ripristinare sufficienti produttività e competitività, esercitando nel contempo pressioni sulle nuove potenze affinché aprano le loro economie, oggi ancora sottratte alla concorrenza leale con dazi, regole ed intervento pubblico. Bisogna favorire lo sviluppo di una cultura compatibile con le esigenze della democrazia liberale e della crescita economica. Si deve educare alla libertà responsabile, insegnando ai giovani a vedere ed accettare la complessità, ad imparare dagli errori. E' necessario diffondere la consapevolezza che non esistono pasti gratis, che per ogni pasto consumato qualcuno paga il conto. Troppo? Troppo difficile? L'alternativa è un doloroso declino. 

mercoledì 6 febbraio 2013

Cina e crisi. La durevole diversità.



Da un articolo di Stephen S. Roach, professore all'Università di Yale ed ex presidente della Morgan Stanley Asia, su Il Sole 24 Ore del 29 gennaio 2013:

" La Cina ha smentito gli scettici ancora una volta. Nell'ultimo trimestre del 2012, infatti, la crescita economica del Paese si è attestata al 7,9%, registrando un’accelerazione di mezzo punto percentuale rispetto alla crescita del Pil, pari al 7,4%, nel trimestre precedente. Dopo dieci trimestri consecutivi di decelerazione, si tratta di un incremento degno di nota che segna il secondo atterraggio morbido dell'economia cinese in poco meno di quattro anni".
"Malgrado i discorsi sull’imminente spostamento dell'asse verso la domanda interna, la Cina continua a dipendere fortemente dalle esportazioni e dalla domanda esterna, fattori determinanti per la sua crescita economica".
"La Cina è riuscita a resistere ai duri shock esterni degli ultimi quattro anni grazie al risparmio (53% del Pil) e alle riserve valutarie (3.300 miliardi dollari), che hanno funto da cuscinetto".
"L'economia cinese appare più instabile, avendo registrato importanti rallentamenti nella crescita del Pil reale sia nel 2009 che nel 2012. Anche i suoi squilibri interni si sono aggravati, con la percentuale di investimenti del Pil che sfiora il 50% e i consumi privati inferiori al 35%".

La Cina, grazie al suo welfare produttivistico che, utilizzando strumenti semiprivati, "copre" e costa meno di quelli dell'Europa occidentale, può attingere a imponenti riserve valutarie e a una elevata quota di risparmio per realizzare investimenti. Sembra improbabile che i governanti cinesi rinuncino ai vantaggi competitivi che tale modello offre nella economia globalizzata per aderire a quello europeo. I tecnocrati che oggi reggono la potenza asiatica sono ben consapevoli dei problemi che affliggono le democrazie europee. Significativa questa intervista a Al Jazeera di Jin Liqun, presidente del fondo sovrano cinese:




Sono i difetti del welfare, secondo Jin Liqun, le cause della crisi europea. Le leggi sul lavoro sono obsolete, spingono alla pigrizia e all'indolenza invece che al duro lavoro. Il "welfare system" è buono per ogni società per ridurre il divario, per aiutare gli svantaggiati, ma una società del benessere non deve indurre la gente a non lavorare duramente. Questa Europa non attrae più a sufficienza investimenti stranieri.

Luca Vinciguerra su Il Sole 24 Ore del 31 gennaio 2013 ha scritto:

"Ma nel caso della Cina il sostegno fornito ai colossi di Stato, e la totale schermatura contro qualsiasi forma di concorrenza esterna, ha raggiunto livelli parossistici. Che si sono materializzati in una serie di privilegi altrove impensabili: benefici fiscali, credito illimitato, sussidi a pioggia, concessioni di terreni a costo zero, accesso preferenziale alle commesse pubbliche".
"Risultato: la forbice tra i valori medi della produzione industriale delle aziende di Stato e del settore privato si è progressivamente allargata, passando da sei volte del 2004 a undici volte del 2010. "L'industria pubblica cinese ha raggiunto uno strapotere simile a quello detenuto dai kombinat in Unione Sovietica – avverte un bancario occidentale - Con la differenza, però, che a quei tempi Mosca non competeva e non voleva competere con nessuno sia sul mercato interno che su quello internazionale, mentre i national champion cinesi puntano a conquistare il mercato globale".

Proprio nel settore delle aziende di stato il regime cinese probabilmente concentrerà gli sforzi per incrementare la produttività e razionalizzare un assetto socioeconomico che non può e non vuole davvero stravolgere. I dirigenti cinesi non imboccheranno con decisione la via dell'aumento della domanda di beni di consumo e continueranno ad indurre un elevato risparmio privato con uno stato sociale "corto", che responsabilizza individui e famiglie. Chi in Occidente punta su una Cina che abbandoni le sue peculiarità per tentare di conseguire lo standard democratico-sociale europeo confonde i propri desideri con la realtà.

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