Da un articolo di Stephen S. Roach, professore all'Università di Yale ed ex presidente della Morgan Stanley Asia, su Il Sole 24 Ore del 29 gennaio 2013:
" La Cina ha smentito gli scettici ancora una volta. Nell'ultimo trimestre del 2012, infatti, la crescita economica del Paese si è attestata al 7,9%, registrando un’accelerazione di mezzo punto percentuale rispetto alla crescita del Pil, pari al 7,4%, nel trimestre precedente. Dopo dieci trimestri consecutivi di decelerazione, si tratta di un incremento degno di nota che segna il secondo atterraggio morbido dell'economia cinese in poco meno di quattro anni".
"Malgrado i discorsi sull’imminente spostamento dell'asse verso la domanda interna, la Cina continua a dipendere fortemente dalle esportazioni e dalla domanda esterna, fattori determinanti per la sua crescita economica".
"La Cina è riuscita a resistere ai duri shock esterni degli ultimi quattro anni grazie al risparmio (53% del Pil) e alle riserve valutarie (3.300 miliardi dollari), che hanno funto da cuscinetto".
"L'economia cinese appare più instabile, avendo registrato importanti rallentamenti nella crescita del Pil reale sia nel 2009 che nel 2012. Anche i suoi squilibri interni si sono aggravati, con la percentuale di investimenti del Pil che sfiora il 50% e i consumi privati inferiori al 35%".
La Cina, grazie al suo welfare produttivistico che, utilizzando strumenti semiprivati, "copre" e costa meno di quelli dell'Europa occidentale, può attingere a imponenti riserve valutarie e a una elevata quota di risparmio per realizzare investimenti. Sembra improbabile che i governanti cinesi rinuncino ai vantaggi competitivi che tale modello offre nella economia globalizzata per aderire a quello europeo. I tecnocrati che oggi reggono la potenza asiatica sono ben consapevoli dei problemi che affliggono le democrazie europee. Significativa questa intervista a Al Jazeera di Jin Liqun, presidente del fondo sovrano cinese:
Sono i difetti del welfare, secondo Jin Liqun, le cause della crisi europea. Le leggi sul lavoro sono obsolete, spingono alla pigrizia e all'indolenza invece che al duro lavoro. Il "welfare system" è buono per ogni società per ridurre il divario, per aiutare gli svantaggiati, ma una società del benessere non deve indurre la gente a non lavorare duramente. Questa Europa non attrae più a sufficienza investimenti stranieri.
Luca Vinciguerra su Il Sole 24 Ore del 31 gennaio 2013 ha scritto:
"Ma nel caso della Cina il sostegno fornito ai colossi di Stato, e la totale schermatura contro qualsiasi forma di concorrenza esterna, ha raggiunto livelli parossistici. Che si sono materializzati in una serie di privilegi altrove impensabili: benefici fiscali, credito illimitato, sussidi a pioggia, concessioni di terreni a costo zero, accesso preferenziale alle commesse pubbliche".
"Risultato: la forbice tra i valori medi della produzione industriale delle aziende di Stato e del settore privato si è progressivamente allargata, passando da sei volte del 2004 a undici volte del 2010. "L'industria pubblica cinese ha raggiunto uno strapotere simile a quello detenuto dai kombinat in Unione Sovietica – avverte un bancario occidentale - Con la differenza, però, che a quei tempi Mosca non competeva e non voleva competere con nessuno sia sul mercato interno che su quello internazionale, mentre i national champion cinesi puntano a conquistare il mercato globale".
Proprio nel settore delle aziende di stato il regime cinese probabilmente concentrerà gli sforzi per incrementare la produttività e razionalizzare un assetto socioeconomico che non può e non vuole davvero stravolgere. I dirigenti cinesi non imboccheranno con decisione la via dell'aumento della domanda di beni di consumo e continueranno ad indurre un elevato risparmio privato con uno stato sociale "corto", che responsabilizza individui e famiglie. Chi in Occidente punta su una Cina che abbandoni le sue peculiarità per tentare di conseguire lo standard democratico-sociale europeo confonde i propri desideri con la realtà.