Su Il Sole 24 ORE del 4 febbraio 2016 Maitre_à_panZer solleva il problema dell'efficacia delle politiche monetarie adottate prima dal Giappone poi da tutto l'Occidente: "Dal che deduco che il Giappone, malgrado la sua quasi ventennale esperienza, è ancora convinto che dalla politica monetaria, che ha generato una trappola della liquidità, possa originarsi una via d’uscita. Come se il “male” possa generare la sua cura. E forse è questo pensiero la trappola peggiore nella quale poteva finire il Giappone, ormai in buona compagnia. L’Europa e il resto dell’Occidente, infatti, stanno sperimentando la “trappola giapponese” già da qualche anno. E sono solo all’inizio". Nel video sopra proposto invece due ragazze giapponesi danno lo spunto per riflettere sugli effetti negativi della svalutazione. Come spiegare la perseveranza nell'errore, nonostante l'evidente fallimento? Invertire la rotta è sempre più difficile. Bisogna riorientare il dibattito pubblico e le aspettative degli elettori, in modo da spingere i politici al rinnovamento. Mancano le buone idee e il coraggio che, del resto, raramente si trovano nelle stesse persone.
Uno dei più lucidi esponenti del cattolicesimo italiano contemporaneo, il cardinale Camillo Ruini, ha concesso a Aldo Cazzullo una lunga intervista pubblicata sul Corriere della Sera del 31 gennaio 2016. Così l'influente collaboratore di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: "...c’è nel Paese una diffusa contrarietà al matrimonio, o simil matrimonio, tra persone dello stesso sesso; in particolare all'adozione da parte di questo tipo di coppie, e alla pratica dell’utero in affitto". "Una legge sulle unioni civili si può senz’altro fare. In Parlamento praticamente tutti si dichiarano favorevoli, e di fatto gran parte di questi diritti anche in Italia esiste già, a seguito di decisioni della magistratura. Ma è importante che i diritti siano attribuiti alle persone che formano le coppie, non alla coppia come tale, per evitare equiparazioni al matrimonio". " L’Europa tende purtroppo ormai da parecchi anni a trascurare il principio di sussidiarietà. Cerca di rendere uniformi norme e situazioni che sono legittimamente diverse nei singoli Paesi. E fa troppo poco in quelle materie come la politica estera, la difesa, ora in particolare la questione degli immigrati, in cui solo l’Ue può agire con efficacia". "Non c’è una sola modernità. C’è quella cui lei si riferisce, e che nei Paesi occidentali gode di una vera egemonia culturale. Ma c’è anche un’altra modernità, nel vasto mondo e pure nei nostri Paesi. È la modernità che vediamo oggi al Family Day. Una modernità che fa nascere figli, contrastando la crisi demografica che si sta mangiando l’Europa. Una modernità che ha fiducia nel futuro e crede nei legami sociali. Senza di essa, anche la modernità oggi egemone avrebbe poche speranze".
È ancora possibile un compromesso? "Direi che è possibile, o almeno sarebbe possibile, un vero accordo, se oltre a stralciare le adozioni si togliessero i tanti riferimenti al diritto matrimoniale e al diritto di famiglia. Altrimenti si apre la strada all’equiparazione, attraverso le decisioni della magistratura".
Agli omosessuali cosa si sente di dire? "Che non soltanto non sono ostile alle persone omosessuali, ma ho avuto fin da giovane autentiche amicizie con qualcuno di loro. E chiaramente tutte le persone hanno integralmente i diritti che competono alla persona come tale, a partire dal rispetto che è loro dovuto". Bisogna sottolineare che i pastori della Chiesa cattolica e le organizzazioni cattoliche hanno il pieno diritto di esprimere e diffondere una visione largamente condivisibile anche per ragioni non connesse alla fede religiosa, fino a tentare di orientare il Parlamento. Ma questo è il principale dovere dei cristiani? Il compito principale dei cristiani è annunciare il Vangelo e testimoniarlo con la loro vita, anche quando le leggi dello stato non ne recepiscono i valori. I fedeli di una religione nata e cresciuta per quasi tre secoli senza il sostegno del potere imperiale romano devono essere consapevoli che il bene non ha bisogno delle leggi dello stato per affermarsi.
Si ha netta l'impressione che le democrazie occidentali non abbiano governanti capaci e lungimiranti. Si naviga a vista o si prendono misure così sbagliate da costituire le premesse di drammatici sviluppi. Alberto Negri e Morya Longo su Il Sole 24 ORE del 23 gennaio 2016 ne danno conto lucidamente. Scrive Negri: "C'è da chiedersi se gli Stati Uniti, l'Europa, il cosiddetto Occidente, esistano ancora come nozione politica, morale o anche soltanto geografica. Più di un dubbio viene spontaneo dopo la visita del vicepresidente americano Joe Biden in Turchia". "Agli Stati Uniti adesso serve un autocrate come Erdogan, complice dei jihadisti, non per fare la guerra all'Isis ma per contrastare Putin in Siria. La realtà è che la Turchia ricatta gli Usa con la minaccia russa per ottenere un pezzo di territorio siriano che finora non è riuscita a conquistare servendosi del Califfato". "È con questa bella compagnia, con queste idee brillanti, che facciamo la lotta all'Isis e ci prepariamo ai negoziati di pace sulla Siria dove dobbiamo fare accomodare i rappresentanti del terrorismo che piacciono ad Ankara e Riad. Siamo amici e alleati di coloro che ci mettono le bombe in casa, che hanno distrutto interi Paesi, provocato milioni di profughi e che alimentano la propaganda islamista radicale: ecco siamo noi i “nuovi” occidentali". Così Longo sulle linee di politica economica: "Quanto accaduto in queste settimane dimostra comunque quanto sia difficile per le grandi banche centrali, come la Fed, uscire da anni di politica monetaria ultra-espansiva. Anni di pesanti iniezioni di liquidità hanno infatti creato tali squilibri in giro per il mondo (per esempio nei Paesi emergenti), che basta un timido accenno di marcia indietro per far tremare tutto. Anni di denaro facile hanno creato una tale assuefazione nei mercati finanziari, che disintossicarli non sarà facile. Con i loro interventi, le banche centrali salvano il mondo nell’immediato ma aumentano potenzialmente gli squilibri nel futuro. Ecco perché serve anche una risposta politica ai problemi del mondo: perché quella monetaria ultra-espansiva non può, e non deve, durare per sempre". Perfino il grande quotidiano della Confindustria, solitamente confidente e prono verso i responsabili del disastro economico, ospita qualche realistica riflessione. Come si è giunti a questa grave inadeguatezza della leadership occidentale? Costituisce un aspetto del complessivo declino. Agenzie educative e formazioni sociali intermedie sono in grave crisi. Non riescono più a formare buoni cittadini, educati alla libertà responsabile, e a selezionare grandi leader. Cattivi elettori scelgono leader inetti e opportunisti, spacciatori delle illusioni tanto amate dalla gente.
Dalla giustapposizione di due analisi buone a metà si ricava una plausibile spiegazione delle difficoltà che ci assillano ormai da anni. Su Il Sole 24 ORE del 14 gennaio 2016 Carlo Milani ha ben delineato le radici della crisi in atto: "Le turbolenze che stiamo vivendo in queste settimane, e che già si erano affacciate nell’estate del 2015, hanno radici profonde e sono legate sostanzialmente ad alcuni squilibri globali che già nel 2007/2008 avevano determinato la crisi negli Stati Uniti, che poi si è propagata in tutto il mondo". "Tali squilibri prendono impulso proprio in Cina negli anni ‘80. Con Deng Xiaoping viene adottata la cosiddetta economia socialista di mercato, attraverso cui vengono introdotte una serie di riforme economiche volte a trasformare profondamente l’economia". "La grande disponibilità di manodopera a basso costo, una politica monetaria volta a svalutare il tasso di cambio rispetto al dollaro e l’ingresso nella World Trade Organization (WTO) agli inizi del 2000 hanno determinato quelle condizioni necessarie affinché la Cina potesse inondare i mercati internazionali dei suoi prodotti". "Principale mercato di sbocco, nella prima parte degli anni 2000, sono stati gli Usa. Al flusso di merci è corrisposto anche un flusso di capitali. Si è creato quindi un paradosso: le famiglie cinesi povere, con livelli di consumo bassissimi e alti saggi di risparmi, indispensabili per far fronte alle incertezze della vita, hanno finanziato i consumi spasmodici delle ricche (soprattutto in termini relativi) famiglie americane". "Quando anche i ceti meno abbienti americani hanno voluto la loro parte, acquistando immobili che non potevano permettersi grazie ai mutui subprime, la strada verso la crisi del 2007/2008 era oramai segnata". "Il Dragone cinese, dopo essere cresciuto per molti anni sotto la spinta delle importazioni statunitensi, ha cercato di stimolare la domanda interna puntando inizialmente sugli investimenti pubblici e privati. I problemi di burocrazia e corruzione di un Paese immenso come la Cina hanno però implicato la dispersione di molte risorse, e il dissesto finanziario di molti enti locali". "Nel tentativo di dare un impulso ai consumi delle famiglie si è quindi deciso di “dopare” i mercati azionari, favorendo ad esempio l’indebitamento con la finalità di acquistare azioni, i cui prezzi sembravano a molti dover crescere per sempre. Attraverso i guadagni di Borsa, nella logica delle autorità cinesi, le famiglie avrebbero poi potuto velocemente aumentare il loro stile di vita". "Queste politiche avventate hanno però fatto gonfiare troppo rapidamente la bolla azionaria, facendola inesorabilmente esplodere nell’arco di pochi mesi". Milani ha ben messo in luce le origini della crisi. Nelle democrazie occidentali dove, quasi dappertutto, cattivi produttori non più competitivi hanno incrementato i consumi, direttamente o attraverso la spesa pubblica, il debito è esploso diventando insostenibile. Capitalismo del debito e del risparmio hanno interagito in modo devastante. Il peso dell'indebitamento, sia pure con modalità peculiari, si fa ora sentire in Cina e nelle grandi economie recentemente emerse. Ma quale ruolo hanno esercitato le banche centrali in questi tumultuosi cambiamenti? Illuminanti sono le considerazioni di Fed Watcher su Il Sole 24 ORE del 16 gennaio 2016: "...tutti gli acquisti della Federal Reserve dal collasso di Lehman Brothers a oggi. Con il primo Qe, annunciato il 25 novembre 2008, la Fed ha comprato 1,240 miliardi di dollari di titoli legati ai mutui, di qualunque entità. Con il secondo Qe, annunciato il 3 novembre 2010, ha acquistato 600 miliardi di dollari di Treasuries. Con il terzo Qe, datato 13 settembre 2012, ha iniziato a comprare 40 miliardi di dollari, al mese, di Residential mortgage backed securities (Rmbs) e Mortgage backed securities (Mbs), sempre titoli legati ai mutui. Infine, il Qe4, lanciato il 12 dicembre 2012, con il quale la Fed ha comprato 45 miliardi di dollari, sempre su base mensile, di Treasuries". "In totale, il bilancio delle Fed è passato dai 909,982 miliardi di dollari del 27 agosto 2008 ai 4.486 miliardi dello scorso 13 gennaio". "Poi, c’è stato il crac. La Greenspan Put aveva creato distorsioni così elevate nel mercato immobiliare statunitense che praticamente ogni cittadino era un investitore. O meglio, per dirla con un termine giornalistico che odio, uno “speculatore”. Ancora nel 2005 si poteva comprare una casa dando poche migliaia di dollari come garanzia, poi pagare alcune rate del mutuo, andare underwater, rivendere la casa (il cui prezzo era salito anche del 15% nel corso di un anno) e rifare il gioco tramite le plusvalenze. Certo, l’economia girava, proprio come voleva Greenspan e come voleva tutta la Fed, ma a che prezzo? A quello che si è visto dal marzo 2007 in poi, da quando cioè Bear Stearns finì a gambe all’aria". "La Fed è poi diventata l’unico appiglio per l’economia globale. Più aumentavano le turbolenze, più si allentavano i cordoni della liquidità. Ne sono prova i quattro round di Qe, che hanno immesso nei mercati finanziari una quantità mai sperimentata prima di denaro. Bernanke prima e la Yellen poi hanno drogato sia il settore obbligazionario sia quello azionario, senza contare quello dei money markets fund". "A parte i pochi casi contenuti nel Dodd-Frank Act, poco o nulla è stato fatto sotto il profilo della vigilanza. Perché andava bene così a tutti. Di sicuro ai banchieri centrali, perché il loro mandato era rispettato. Di sicuro ai politici, perché con un’economia in espansione è sempre più facile mantenere il consenso elettorale. Di sicuro agli investitori, perché potevano investire in zone “franche” con rendimenti mai visti prima. Di sicuro ai cittadini, perché quando c’è credito a volontà è più facile soddisfare le proprie voglie". Le distorsioni operate dalla Fed non le hanno in realtà consentito di rispettare il proprio mandato. Il tasso di occupazione USA nel 2015 è rimasto sostanzialmente fermo poco sopra il 59%, ben lontano dai livelli raggiunti prima del 2008. Altro che piena occupazione! Occorre invece incidere sugli squilibri dell'economia reale, applicando le stesse regole a tutti gli operatori nella competizione globale, realizzando un mercato genuino con una corretta allocazione delle risorse, riducendo la pressione fiscale sulle imprese senza aumentare il debito pubblico, migliorando la formazione e l'educazione. Le illusioni possono formare la più pericolosa delle bolle. Prima ne diventiamo consapevoli meglio è.
Il sistema pensionistico italiano desta viva preoccupazione. I contributi previdenziali corrispondono a circa un terzo del salario da lavoro dipendente. Un tasso molto elevato, superiore a quello di altri importanti paesi dell'Eurozona, che contribuisce a determinare un cuneo fiscale/contributivo penalizzante per il lavoro, l'impresa e i consumi. Le pensioni pubbliche italiane ammontano a oltre il 15% del PIL. Per far fronte ad esse lo Stato deve trasferire, attingendoli dalla fiscalità generale, più di cento miliardi. La popolazione invecchia.Tale tendenza mina la sostenibilità. Pochi giovani lavorano e pochissimi riescono a lavorare con continuità. Secondo il principio contributivo applicato riceveranno pensioni davvero esigue. Francesco Bruno su Il Sole 24 ORE del 4 gennaio 2016 esamina le prospettive delle pensioni degli Italiani: "...in un gruppo selezionato di 19 Paesi OCSE che presentano un maggiore collegamento tra contributi versati e sistema pensionistico, l’Italia è al primo posto per i contributi previdenziali versati, corrispondenti al 33% del salario da lavoro dipendente. Il 23,81% è pagato dai datori di lavoro, il 9,19% dai lavoratori. Si tratta di un tasso altissimo, considerato che la media del gruppo nel 2014 è stata pari al 18%. Siamo ampiamente distanti da altri Paesi dell’eurozona come il Belgio (16,4%), la Germania (18,9) e la Francia (21,25%)." "Nei fatti tali versamenti incidono pesantemente sui lavoratori, poiché all’imprenditore interessa quanto gli costi ogni dipendente, a prescindere da quanto corrisponda direttamente a quest’ultimo e quanto allo Stato o agli Enti previdenziali: “Più devo dare allo Stato, meno darò al lavoratore”. Nessuno si sorprenda quindi di livelli salariali bassi con queste percentuali. E se qualcuno si illude altresì di poter intervenire a favore dei lavoratori alzando la soglia del salario minimo, si sbaglia nuovamente, perché favorirebbe solo un’ulteriore diminuzione del tasso di occupazione". "Altra nota dolente. Durante il periodo 2010-2015 le pensioni pubbliche italiane hanno assorbito mediamente il 15,7% del PIL rispetto a una media OCSE del 9%. Un livello di spesa inferiore solo alla Grecia (16,2%), maggiore rispetto ad altri Membri UE come Olanda (6,9%), Regno Unito (7,7%), Germania (10%), Belgio e Spagna (11,8%), Francia (14,9%). Si rammenta che spendiamo per l’istruzione meno del 5% del PIL". "Inoltre, a preoccupare – visti i noti livelli del debito pubblico, ben oltre il 130% del Pil – sono anche i necessari trasferimenti annuali di risorse dallo Stato centrale (quindi, fiscalità generale) all’INPS, che superano i 100 miliardi". "Ovviamente il livello di spesa non dipende solo da un’inefficiente gestione delle risorse. Come rileva il rapporto gli ultrasessantacinquenni rappresentano il 21,7% della popolazione contro il 16,2% della media OCSE. Anche l’invecchiamento della popolazione è dunque una minaccia per la sostenibilità finanziaria del sistema". "Circa il 25% degli appartenenti alla fascia di età 16-29 anni né studia, né lavora. Il tasso di occupazione è del 39,5% nella fascia di età 15-34, mentre il tasso generale è fermo al 56,4% (media OCSE superiore al 66%). Questo implica forti preoccupazioni legate al nuovo modello previdenziale". "La riforma del 2011 ha infatti sancito uno stretto legame tra contributi versati e prestazioni pensionistiche ricevute. Questo sistema – pur presentando dei vantaggi – rappresenta un serio rischio per chi ha difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro o a proseguire una carriera senza interruzioni". "Nel mese di ottobre l’Australian Centre for Financial Studies ha pubblicato il Melbourne Mercer Global Pension Index, grazie al quale si ottiene una classifica analitica dei sistemi pensionistici di 25 Paesi, assegnando un rating, un voto, a ciascuno di essi". "Al primo posto vi è la Danimarca, seguita subito dopo dall’Olanda. Poi vengono Australia, Svezia, Svizzera e tutti gli altri Paesi. È curioso notare che questi 5 Paesi si affidino consistentemente a schemi di pensioni private – obbligatorie e non – con percentuali superiori al 60 per cento. L’Italia è ferma al 15,7 per cento". In coda alla sua brillante analisi Bruno suggerisce il rimedio capace di riportare il sistema all'efficienza e alla sostenibilità: l'ampio ricorso a strumenti previdenziali privati. Purtroppo prendere o riprendere questa strada appare tecnicamente ma soprattutto politicamente molto difficile. Come spiegare agli Italiani che anche in questo settore è tutto sbagliato, tutto da rifare?
L'occupazione USA nel 2015 è rimasta ferma poco sopra il 59%, ben lontana dai livelli raggiunti prima della crisi. I problemi della società e dell'economia statunitensi determinano in una larga parte dell'elettorato il desiderio di un svolta. Anche a molti giovani il messaggio di cambiamento proveniente dall'area più conservatrice e lontana dall'establishment del partito repubblicano pare una risposta realistica e di buon senso alle attese e alle difficoltà. Queste sono le premesse da cui partono Ted Cruz e Donald Trump nella corsa alla candidatura repubblicana in vista delle prossime elezioni presidenziali. Donald Trump è un ricco imprenditore di New York, attivo sprattutto nei settori immobiliare, alberghiero e turistico. Ormai da dieci anni sostiene il partito repubblicano. Noto al grande pubblico televisivo, punta molto sulla sua personalità. Ted Cruz, avvocato, figlio di un predicatore protestante nato a Cuba, è senatore del Texas. Anche per tali origini gode di un vasto consenso tra gli elettori vicini al Tea Party. Le sue posizioni coerentemente conservatrici e l'avversione per i compromessi gli attirano le simpatie di chi attende un radicale cambio di rotta. Su Conservative Review del 28 dicembre 2015 Robert Eno riporta una tagliente opinione sui due candidati: "The political industrial complex believes deep down that they can negotiate with the author of The Art of the Deal; they know they will lose the levers of power with Ted Cruz". Il complesso politico industriale pensa di poter trattare con Trump, ma che perderà le leve del potere con Cruz. Di ciò è ben consapevole l'America che vuole un vero rinnovamento. Per questo Cruz può vincere contro Hillary Clinton, mentre è improbabile un successo di Trump. Per questo la Clinton spera che sia Trump a ottenere la nomination.