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domenica 10 gennaio 2016

Crisi. Le pensioni degli Italiani.





Il sistema pensionistico italiano desta viva preoccupazione. I contributi previdenziali corrispondono a circa un terzo del salario da lavoro dipendente. Un tasso molto elevato, superiore a quello di altri importanti paesi dell'Eurozona, che contribuisce a determinare un cuneo fiscale/contributivo penalizzante per il lavoro, l'impresa e i consumi.
Le pensioni pubbliche italiane ammontano a oltre il 15% del PIL. Per far fronte ad esse lo Stato deve trasferire, attingendoli dalla fiscalità generale, più di cento miliardi. La popolazione invecchia.Tale tendenza mina la sostenibilità. Pochi giovani lavorano e pochissimi riescono a lavorare con continuità. Secondo il principio contributivo applicato riceveranno pensioni davvero esigue.
Francesco Bruno su Il Sole 24 ORE del 4 gennaio 2016 esamina le prospettive delle pensioni degli Italiani:

"...in un gruppo selezionato di 19 Paesi OCSE che presentano un maggiore collegamento tra contributi versati e sistema pensionistico, l’Italia è al primo posto per i contributi previdenziali versati, corrispondenti al 33% del salario da lavoro dipendente. Il 23,81% è pagato dai datori di lavoro, il 9,19% dai lavoratori. Si tratta di un tasso altissimo, considerato che la media del gruppo nel 2014 è stata pari al 18%. Siamo ampiamente distanti da altri Paesi dell’eurozona come il Belgio (16,4%), la Germania (18,9) e la Francia (21,25%)."

"Nei fatti tali versamenti incidono pesantemente sui lavoratori, poiché all’imprenditore interessa quanto gli costi ogni dipendente, a prescindere da quanto corrisponda direttamente a quest’ultimo e quanto allo Stato o agli Enti previdenziali: “Più devo dare allo Stato, meno darò al lavoratore”. Nessuno si sorprenda quindi di livelli salariali bassi con queste percentuali. E se qualcuno si illude altresì di poter intervenire a favore dei lavoratori alzando la soglia del salario minimo, si sbaglia nuovamente, perché favorirebbe solo un’ulteriore diminuzione del tasso di occupazione".

"Altra nota dolente. Durante il periodo 2010-2015 le pensioni pubbliche italiane hanno assorbito mediamente il 15,7% del PIL rispetto a una media OCSE del 9%. Un livello di spesa inferiore solo alla Grecia (16,2%), maggiore rispetto ad altri Membri UE come Olanda (6,9%), Regno Unito (7,7%), Germania (10%), Belgio e Spagna (11,8%), Francia (14,9%). Si rammenta che spendiamo per l’istruzione meno del 5% del PIL".

"Inoltre, a preoccupare – visti i noti livelli del debito pubblico, ben oltre il 130% del Pil – sono anche i necessari trasferimenti annuali di risorse dallo Stato centrale (quindi, fiscalità generale) all’INPS, che superano i 100 miliardi".

"Ovviamente il livello di spesa non dipende solo da un’inefficiente gestione delle risorse. Come rileva il rapporto gli ultrasessantacinquenni rappresentano il 21,7% della popolazione contro il 16,2% della media OCSE. Anche l’invecchiamento della popolazione è dunque una minaccia per la sostenibilità finanziaria del sistema".

"Circa il 25% degli appartenenti alla fascia di età 16-29 anni né studia, né lavora. Il tasso di occupazione è del 39,5% nella fascia di età 15-34, mentre il tasso generale è fermo al 56,4% (media OCSE superiore al 66%). Questo implica forti preoccupazioni legate al nuovo modello previdenziale".

"La riforma del 2011 ha infatti sancito uno stretto legame tra contributi versati e prestazioni pensionistiche ricevute. Questo sistema – pur presentando dei vantaggi – rappresenta un serio rischio per chi ha difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro o a proseguire una carriera senza interruzioni".

"Nel mese di ottobre l’Australian Centre for Financial Studies ha pubblicato il Melbourne Mercer Global Pension Index, grazie al quale si ottiene una classifica analitica dei sistemi pensionistici di 25 Paesi, assegnando un rating, un voto, a ciascuno di essi".

"Al primo posto vi è la Danimarca, seguita subito dopo dall’Olanda. Poi vengono Australia, Svezia, Svizzera e tutti gli altri Paesi. È curioso notare che questi 5 Paesi si affidino consistentemente a schemi di pensioni private – obbligatorie e non – con percentuali superiori al 60 per cento. L’Italia è ferma al 15,7 per cento".

In coda alla sua brillante analisi Bruno suggerisce il rimedio capace di riportare il sistema all'efficienza e alla sostenibilità: l'ampio ricorso a strumenti previdenziali privati. Purtroppo prendere o riprendere questa strada appare tecnicamente ma soprattutto politicamente molto difficile. Come spiegare agli Italiani che anche in questo settore è tutto sbagliato, tutto da rifare?


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