La crisi italiana, nonostante la martellante propaganda, continua a presentare tratti peculiari, configurandosi con sempre maggiore evidenza come crisi dell'offerta prima che della domanda. Una vitale e sana ripresa dei consumi può essere sostenuta soltanto da un aumento della competitività. Solo buoni produttori possono essere buoni consumatori.
Francesco Daveri su lavoce.info del 1 settembre 2015 rileva che in Italia i consumatori premiano i produttori esteri e delinea i motivi della inadeguatezza dell'offerta italiana:
" Nel complesso, dunque, la domanda interna ed estera del settore privato vanno piuttosto bene e, sommate insieme, crescono dello 0,4 per cento, cioè di un’incollatura in più rispetto al Pil (che fa registrare, come detto, un +0,35). Ma questa accresciuta domanda viene soddisfatta più che in passato da produzione estera (le importazioni, in crescita del 2,2 per cento nel secondo trimestre 2015, e del 2 per cento nel semestre) anziché da produzione interna (il Pil). Se a soddisfare la domanda di famiglie e imprese sono produttori esteri, il volume di produzione industriale e dei redditi generati in Italia ne soffre per forza. E il Pil cresce meno di quanto potrebbe".
" A pesare sull’aumento delle importazioni è però anche la perdita di competitività subita dall’Italia negli anni della crisi (per la minore produttività a fronte di salari che hanno continuato a crescere sia pure in misura minore che in passato), solo parzialmente compensato dal deprezzamento dell’euro degli ultimi dodici mesi. Siccome l’andamento dell’euro sembra essersi stabilizzato, diventa ancora più urgente ristabilire le condizioni per un recupero di convenienza a localizzare la produzione entro i confini nazionali: riducendo davvero tutte le imposte, accelerando la soluzione dei contenziosi nella giustizia civile e completando le riforme in cantiere per rendere la pubblica amministrazione e la scuola sempre più al servizio degli utenti. Ben di più che politiche di sostegno alla domanda".
Le considerazioni del professor Daveri consentono di dar conto dell'occupazione in Italia. In questa prospettiva Thomas Manfredi su linkiesta.it del 2 settembre 2015 osserva:
"È importante tenere a mente che, in assenza di crescita del prodotto, l’aumento di occupazione che eventualmente si ricaverebbe sottintende una crescita della produttività ancora vicina allo 0 se non negativa. Se le ore lavorate, infatti, aumentano più del prodotto, il rapporto fra le due variabili, che definisce la produttività, non può decrescere. Come si possa credere di creare occupazione stabile e di qualità con una produttività stagnante rimane uno dei misteri che i tanti urlatori di dati sul mercato del lavoro dovrebbero, a un certo punto, svelare".
Occorre dunque intervenire incisivamente sul lato dell'offerta: riformare il welfare in senso produttivistico rendendolo sostenibile, ridurre la pressione fiscale, migliorare il capitale umano diffondendo le competenze matematiche, tecniche e scientifiche, alleggerire il peso della burocrazia. Questo gli elettori devono chiedere a chi aspira a rappresentarli.