Translate

venerdì 20 giugno 2014

La recente politica estera degli Stati Uniti.




Su Analisidifesa.it del 13 giugno 2014 Gianandrea Gaiani ha così  commentato la recente politica estera USA:

"Oggi è meglio non farsi illusioni circa la ventilata disponibilità di Washington a intervenire in armi per aiutare Baghdad poiché l’Amministrazione Obama dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia all’Ucraina gioca ormai il ruolo di grande destabilizzatore. Molti analisti definiscono fallimentare la politica estera e di difesa di Barack Obama ma in realtà essa rappresenta un successo per una potenza globale che si avvia a diventare il principale produttore ed esportatore di energia.
Il caos in tutte le regioni petrolifere o attraversate da oleodotti e gasdotti sembra infatti rientrare negli interessi attuali degli USA che grazie a shale gas e shale oil non solo trarranno benefici dall’aumento dei prezzi energetici ma indurrà molti Paesi a comprare il loro prodotto, ora più caro del gas russo o del petrolio del Golfo ma che potrebbe presto diventare competitivo grazie a guerre e tensioni determinate dal conflitto allargato tra sciiti e sunniti. In questo contesto va visto il ritiro prematuro dall’Iraq e dall’Afghanistan, il tira e molla di Washington sulla crisi siriana e il nucleare iraniano, la “stupida” guerra di Libia e il supporto diretto americano alla “rivoluzione” in Ucraina".

La destabilizzazione sembra in effetti l'esito generale della politica estera di Obama, anche se non pare un obiettivo lucidamente perseguito. Si consideri la vicenda esemplare del "surge" a tempo determinato realizzato in Afghanistan tra il 2009 e il 2010, mentre avveniva il  disimpegno dall'Iraq. Alessandro Marrone su Affarinternazionali.it del 2 dicembre 2009 ne dette conto in questi termini:

"Obama ha evidentemente tentato di trovare una sintesi tra le opposte visioni presenti nell’amministrazione. Da un lato le richieste dei vertici militari, sostenute più o meno decisamente dal Segretario di Stato Hillary Clinton e dall’inviato speciale Richard Holbrooke, sono state accolte con l’invio di 30.000 rinforzi. Dall’altro l’opposizione all’escalation del vice presidente Joe Biden e del capo dello staff della Casa Bianca Rahm Emanuel, condivisa dall’ala sinistra dei democratici, ha ottenuto la fissazione di una data di inizio del ritiro. In altre parole ciò che sembrava acquisito a marzo, cioè un impegno di lungo termine contro la guerriglia, è cambiato alla luce del deludente processo elettorale afgano, della crescita del debito pubblico statunitense, e soprattutto dell’opposizione alla guerra nell’opinione pubblica americana, che è particolarmente forte nel campo democratico. Il risultato è una strategia che punta a fare counter-insurgency secondo le linee guida già sperimentate con successo in Iraq, ma in un tempo limitato di 18 mesi. Una contraddizione in termini, che rischia di vanificare lo stesso sforzo americano e alleato. Cosa già sottolineata dai repubblicani, che accusano Obama di aver deciso di correre questo rischio al fine di iniziare il ritiro in tempo per la campagna presidenziale del 2012".

Nel "surge" afghano sono già evidenti i diversi fattori che hanno prodotto il disastro generale: crisi della finanza pubblica USA, spasmodica ricerca del consenso dell'opinione pubblica statunitense, visione contraddittoria e velleitaria. Difficile dunque concordare con Gaiani quando afferma che:

"...la politica estera e di difesa di Barack Obama ... in realtà...rappresenta un successo per una potenza globale che si avvia a diventare il principale produttore ed esportatore di energia".

La cassa energetica USA non vale l'ampliamento di problemi  strategici destinati a diventare sempre più gravi ed assillanti. Basti pensare alla eventuale formazione nel cuore del Medio Oriente di un'entità statuale qaedista, tenacemente rivolta all'attuazione del califfato universale. In questo e in altri casi in cui il processo decisionale è viziato dall'ideologia o dal fanatismo la dissuasione mediante intimidazione risulta inaffidabile.
Già un'altra volta la fiducia nella dissuasione si sarebbe potuta rivelare mal riposta. Durante la Guerra fredda i dirigenti sovietici, soprattutto per motivi ideologici, furono a lungo convinti che la guerra nucleare fosse inevitabile e potesse essere vinta.  Ha scritto il compianto professor Victor Zaslavsky, uno dei più autorevoli studiosi del regime sovietico:

"...è indispensabile studiare il ruolo svolto dall'ideologia marxista-leninista nella formulazione della politica estera e nella formazione della mentalità della leadership staliniana e, soprattutto, dello stesso Stalin".

"L'idea che il mondo fosse diviso in due blocchi la cui coesistenza pacifica risultava impossibile e che le guerre, sia tra paesi capitalisti sia, soprattutto, tra il blocco socialista e quello capitalista, fossero inevitabili ha origine nella...formulazione di Lenin "kto kogo" (chi vince contro chi), in cui è sintetizzata l'essenza della concezione bolscevica delle relazioni internazionali" (Victor ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico, 2009, p. 133 e seg.).

Obama brillante allievo di Machiavelli o apprendista stregone? Oggi la propaganda riesce ancora a velare l'inadeguatezza della leadership statunitense. Ma la realtà sempre prevale.


Visite