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venerdì 6 giugno 2014

Brasile e India. Le nuove classi medie.



La globalizzazione ha determinato rapidi e imponenti mutamenti sociali. Nella maggior parte dei paesi occidentali i ceti medi sono in difficoltà. Le vecchie fonti di reddito sono indebolite o scomparse. I patrimoni finanziari e relazionali non permettono ormai di fronteggiare i cambiamenti epocali. Lo stato sociale non può più dare tutto a tutti.
A fronte di questo declino le economie emergenti hanno consentito lo sviluppo di nuove ampie classi medie. Si tratta di individui e famiglie dalla posizione ancora fragile e precaria, spesso pesantemente indebitati.
 Proprio questi nuovi ceti hanno un ruolo decisivo, soprattutto nei paesi democratici. Possono premere sull'acceleratore delle rivendicazioni sociali, respingendo un assetto produttivistico del welfare, della scuola e delle istituzioni economiche. Oppure possono accettare responsabilità e compiti gravosi, scegliendo competitività e produttività come fattori dello sviluppo, coniugando modernità e tradizione.
Mentre ceti emergenti e gruppi dirigenti brasiliani non riescono a condividere un percorso virtuoso e sostenibile, la classe media indiana sembra più consapevole delle difficoltà e cerca soluzioni fuori dello statalismo che ha contraddistinto l'India dopo l'indipendenza.
Su Il Sole 24 ORE del 30 maggio 2014 Gabriele Meoni ha così dato ragguaglio della situazione brasiliana:

"L'economia brasiliana arriva ai Mondiali in una forma a dir poco precaria. I dati sul primo trimestre dell'anno diffusi ieri dall'Istituto di statistica fotografano un Paese in cui le aziende non investono e le famiglie stentano a consumare. Se non fosse per la spesa pubblica che sostiene artificialmente l'economia, il quadro sarebbe anche peggiore".

"A ben vedere, i dati sono davvero preoccupanti. Il Brasile soffre da almeno tre anni di un malessere difficile da curare. Gli investimenti aziendali, frenati da infrastrutture arretrate e servizi pubblici inefficienti, sono in calo costante. La quota di investimenti privati sul Pil non arriva al 18%, uno dei tassi più bassi tra i grandi Paesi emergenti. I consumi sono stagnanti, depressi da un'inflazione superiore al 6% che riduce il potere d'acquisto dei salari. Quello zero virgola di crescita allora è solo il frutto di una spesa governativa generosa che continua a finanziare il welfare e le costruzioni popolari".

Su La Stampa del 6 giugno 2014 Subhash Agrawal così presenta l'India uscita dalle recenti elezioni:

"Negli ultimi sei mesi, molti europei e americani hanno espresso grande disprezzo per la classe media indiana e la sua attrazione per Modi...Molte di queste reazioni contengono pietà esagerata, stereotipi insultanti, ipotesi sbagliate e un malcelato disprezzo per la classe media indiana. È probabilmente una delle letture più gravemente distorte dell’India da parte del mondo esterno, e per questo merita un’analisi attenta".

"... il regime precedente ha rappresentato la peggiore combinazione di populismo, corruzione e incompetenza. Milioni di indiani hanno sperimentato una dolorosa caduta del reddito, del risparmio e della sicurezza economica, a causa del forte rallentamento della crescita durante il periodo del Partito del Congresso al potere. Il populismo di vecchio tipo non funziona più neanche in India, e i poveri ora si rendono conto che le promesse populiste li hanno lasciati completamente alle dipendenze del governo, ma incapaci di fare qualsiasi cosa. Invece di promesse populiste, come “diritto all’istruzione”, che significa molto poco quando non ci sono tetti, bagni, o anche insegnanti di scuole pubbliche, questa volta gli indiani hanno votato per chi proponeva loro politiche economiche sensate in grado di fornire energia elettrica affidabile, acqua, sanità, strade, posti di lavoro e sicurezza. Tutti bisogni semplici e naturali che l’Occidente dovrebbe rispettare".

La recente svolta indiana è comprensibile e va seguita con attenzione. Può una grande democrazia come quella indiana adottare un assetto produttivistico e abbandonare davvero l'abituale statalismo, continuando ad attribuire alla famiglia compiti fondamentali?
E' un'evoluzione auspicabile, che si realizzerà quando la famiglia e il matrimonio diventeranno spazio di affetto e libertà, segnato dalla piena parità.

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