Mentre le diplomazie ad alto livello e non le forze armate si confrontano, dopo le recenti vicende dell'Ucraina, torna in primo piano una questione non nuova, ma oggetto di insufficiente analisi.
Quali sono i reali obiettivi della Russia post-sovietica? Dove vuole arrivare Putin? Qual'è la portata della caduta dell'ideologia marxista-leninista? Regge l'analogia tra la crisi odierna e quella segnata dagli accordi di Monaco, che condusse alla Seconda guerra mondiale?
Sembra necessario preliminarmente accennare al pressoché misconosciuto ruolo dell'ideologia marxista-leninista nello sviluppo della strategia dell'Unione Sovietica. Ha scritto il compianto professor Victor Zaslavsky, uno dei più autorevoli studiosi del regime sovietico:
"...è indispensabile studiare il ruolo svolto dall'ideologia marxista-leninista nella formulazione della politica estera e nella formazione della mentalità della leadership staliniana e, soprattutto, dello stesso Stalin".
"L'idea che il mondo fosse diviso in due blocchi la cui coesistenza pacifica risultava impossibile e che le guerre, sia tra paesi capitalisti sia, soprattutto, tra il blocco socialista e quello capitalista, fossero inevitabili ha origine nella...formulazione di Lenin "kto kogo" (chi vince contro chi), in cui è sintetizzata l'essenza della concezione bolscevica delle relazioni internazionali" (Victor ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico, 2009, p. 133 e seg.).
Soltanto l'attenzione a questo contesto ideologico-strategico, caratterizzato dall'idea dell'inevitabilità della guerra tra i blocchi e del trionfo finale del socialismo, consente una buona comprensione della politica estera sovietica, che ancora Zaslavsky delinea così:
"Fino alla morte Molotov, ha giudicato sempre con orgoglio principale risultato della politica estera sovietica del dopoguerra tagliare l'Europa a fette pezzo dopo pezzo, la cosiddetta "tattica del salame"" (V. ZASLAVSKY, op. cit., p. 135).
La Russia post-sovietica trova la sua origine nell'implosione dell' URSS, compagine nata dalla Rivoluzione d'Ottobre, senza ereditarne l'impronta ideologica. I problemi della nuova Federazione russa sembrano piuttosto presentare qualche analogia con le difficoltà dell'Impero tedesco costituito con la vittoria prussiana su quelli austriaco e francese, che Bismarck saggiamente considerava saturo di territori e in ritardo sulla via della modernizzazione. Si tratta non di espandere il territorio e l'influenza esistenti, ma di conservarli. E' necessario fronteggiare le tendenze demografiche in atto, segnate dal crescente peso della componente islamica. Bisogna ristrutturare l'economia, gravata dalla bassa produttività e dipendente dalla esportazione di materie prime e armi.
La fragile potenza eurasiatica erede dell'URSS, anche con la sua recente condotta in Ucraina e Siria, sembra insomma inseguire l'obiettivo della conservazione dello statu quo, non dell'espansione. La sua leadership pare consapevole delle condizioni e dei limiti in cui è chiamata ad operare. Putin, ex ufficiale del KGB a lungo di stanza nella Germania orientale, verosimilmente conosce bene le difficoltà incontrate dall'Unione Sovietica nel "tenere" regioni dove non prevale l'elemento russo. Con ogni probabilità non ripeterà lo stesso errore.
La Monaco che vide le controproducenti concessioni delle democrazie occidentali a Hitler è lontana non solo temporalmente, ma soprattutto concettualmente. Sembrano invece cogliere nel segno gli analisti che vedono il rischio di una nuova Monaco nel più lontano Oriente. Così Chase Carter su The National Interest del 2 aprile 2014:
"After all, there is real Munich moment on the horizon, much further to the East".