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venerdì 25 aprile 2014

Luca Ricolfi. L'enigma della crescita.


Il professor Luca Ricolfi insegna analisi dei dati all'Università di Torino. Nel suo recentissimo L'enigma della crescita espone un'analisi profonda e per molti aspetti originale dello stato delle economie avanzate.
Ricolfi  rileva che tali economie erano ormai stagnanti o tendevano alla stagnazione già prima della crisi in corso, mentre le economie dei paesi emergenti crescevano, con l'importante differenza che i paesi con buoni fondamentali si sarebbero arrestati su un reddito alto. Questo perchè:

"La crescita fa aumentare il benessere, ma l'aumento del benessere fa lievitare  i costi di produzione e riduce gli incentivi a migliorare la propria condizione. Così la crescita prima rallenta, poi diventa stagnazione, e infine si arresta. E'  questo il meccanismo per cui, a parità di altre condizioni, i paesi più poveri crescono di più dei paesi più ricchi" (op. cit., 2014, p. 9).

"...le società avanzate producono benessere, e il benessere contiene in sé le forze che rallentano la spinta al suo incremento" (op. cit, p. 8).

Ora però "Si può pensare che la crisi abbia abbassato il reddito di equilibrio di tutti i paesi, o di molti di essi. Ma si può anche pensare che, nel lungo periodo, il ruolo frenante del benessere si attenui" (op. cit., p. 164).
La crescita è un obiettivo ancora largamente desiderabile. Allora che fare? "Un paese può fare investimenti in istruzione, può ridurre le tasse, può migliorare le proprie istituzioni di mercato" (op. cit., p. 166).

L'enigma della crescita è una lettura davvero utile per capire il mondo contemporaneo. Ha il grande merito di individuare fattori e tendenze fondamentali della crescita economica senza accogliere acriticamente le fuorvianti spiegazioni/ricette macroeconomiche e monetariste oggi tanto diffuse.
La attuale frenata di alcuni dei principali paesi emergenti in realtà non smentisce ma conferma le tesi dell'autore, essendo in larga misura determinata dalle aspettative dei nuovi ceti prodotti dallo sviluppo economico. Si tratta di individui e famiglie dalla posizione economica e sociale migliorata ma ancora precaria, gravati da pesanti debiti personali. Le loro attese sono rivolte soprattutto allo stato ed hanno per oggetto l'allargamento del welfare, che minerebbe la competitività del sistema.
Qualche riserva si deve invece avanzare sulle misure proposte. Ricolfi si è detto convinto che un paese con una pressione fiscale complessivamente alta possa continuare a crescere purchè restino adeguatamente basse le imposte sulle imprese e che un ampio stato sociale non sia incompatibile con la crescita. Ma osservatori "esterni" hanno sottolineato che proprio il tradizionale welfare occidentale frena lo sviluppo.



 Lo stesso welfare, considerato insostenibile,  è ormai in via di demolizione o profonda ristrutturazione  proprio nelle democrazie del Nord Europa.



Occorre insomma più coraggio nel ridurre i confini dello stato e nel ridare maggiori responsabilità agli individui, alle famiglie e alle formazioni sociali, creando così le condizioni per una ripresa dell'etica del lavoro e della responsabilità.

sabato 19 aprile 2014

SIPRI. Spese militari 2013.

Per  il SIPRI di Stoccolma Carina Solmirano e Sam Perlo-Freeman hanno redatto un efficace resoconto delle spese militari rilevate nel 2013. A fronte di una diminuzione in quasi tutti i paesi occidentali, risulta una tendenza all'aumento nelle restanti aree.



E' significativa la spesa russa, sette volte minore rispetto a quella degli Stati Uniti, meno della metà di quella cinese e non molto più grande della francese. Il dato, sia pure con una tendenza alla crescita, riflette la debolezza economica della compagine statale erede dell'URSS e concorre a delineare i tratti di potenza regionale che ormai la contraddistinguono.
Da sottolineare anche i dati relativi a Germania e Giappone. I due grandi sconfitti della Seconda guerra mondiale continuano a spendere poco per le forze armate, in rapporto al PIL e in termini assoluti.
Si noti infine l'incremento della spesa di quasi tutti i paesi cosiddetti emergenti, mediorientali e africani soprattutto. Una tendenza inquietante, di cui devono essere considerati largamente responsabili i notabili locali. 

venerdì 11 aprile 2014

La Chiesa cattolica e la crisi economica.




Già nei primi mesi del suo pontificato papa Francesco ha denunciato la grave condizione dei poveri, in aumento a causa della crisi economica. Nelle parole del pontefice anche una dura condanna del modello sociale e culturale che è prevalso in Occidente.
Nulla di nuovo e inaspettato per i fedeli cattolici che conoscono il Vangelo e il magistero della Chiesa. Ma, soprattutto negli USA, non pochi conservatori hanno criticato il papa, considerato ostile alla libertà economica e al mercato. In realtà il successore di Benedetto XVI  ha ripresentato  in termini diretti  e coinvolgenti il tradizionale insegnamento della Chiesa cattolica,  riassunto dallo stesso Ratzinger nella sua enciclica Deus caritas est:

"27. Il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione — si asseriva in tale dottrina — doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito. Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell'economia, la dottrina sociale della Chiesa è diventata un'indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di là dei confini di essa: questi orientamenti — di fronte al progredire dello sviluppo — devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell'uomo e del suo mondo" .

"28. Per definire più accuratamente la relazione tra il necessario impegno per la giustizia e il servizio della carità, occorre prendere nota di due fondamentali situazioni di fatto:

a) Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino: « Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? » [18]. Alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22, 21), cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l'autonomia delle realtà temporali [19]. Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca.
La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all'interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l'altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile.
In questo punto politica e fede si toccano. Senz'altro, la fede ha la sua specifica natura di incontro con il Dio vivente — un incontro che ci apre nuovi orizzonti molto al di là dell'ambito proprio della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa. Partendo dalla prospettiva di Dio, la libera dai suoi accecamenti e perciò l'aiuta ad essere meglio se stessa. La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato.
La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano. E sa che non è compito della Chiesa far essa stessa valere politicamente questa dottrina: essa vuole servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale. Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili.
La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente.

b) L'amore — caritas — sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo [20]. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente — ogni uomo — ha bisogno: l'amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell'amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell'anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L'affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell'uomo: il pregiudizio secondo cui l'uomo vivrebbe « di solo pane » (Mt 4, 4; cfr Dt 8, 3) — convinzione che umilia l'uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano".

Non a caso le società più aperte e libere, anche sotto il profilo economico, sono cresciute nell'Europa cristiana e grazie alla sua influenza. Una società e una economia libere sono infatti sostenibili solo se la responsabilità individuale raggiunge un livello adeguato, soltanto quando i costumi e le istituzioni liberi si accompagnano all'etica della responsabilità. Ogni nuova generazione ha bisogno dell'educazione alla responsabilità che il cristianesimo tradizionalmente offre.
Chi negli Stati Uniti si richiama alle tradizioni di libertà non può non vedere nel magistero dei pontefici, Francesco compreso, un solido baluardo della libertà e della dignità umane. Così Sarah Palin su Facebook il 14 novembre 2013:

"Just to clarify my comment to Jake Tapper about Pope Francis, it was not my intention to be critical of Pope Francis. I was reminding viewers that we need to do our own homework on news subjects, and I hadn't done mine yet on the Pope's recent comments as reported by the media. Knowing full well how often the media mischaracterizes a person’s comments (especially a religious leader’s), I don’t trust them to get it right when it comes to reporting on the Vatican. I do, however, trust my many Catholic friends and family, including some excellent Catholic writers, who have since assured me that Pope Francis is as sincere and faithful a shepherd of his church as his two predecessors whom I admired. I apologize for not being clearer in my response, thus opening the door to critical media that does what it does best in ginning up controversy".

Resta il pericolo che siano segmenti della stessa cattolicità a fraintendere il magistero cattolico ed il messaggio evangelico, riducendo il cristianesimo a ideologia e privandolo in questo modo della sua forza universale, della sua capacità di purificare le coscienze e di realizzare così la necessaria premessa di una società migliore. Sarebbero i poveri le prime vittime di un siffatto nuovo integralismo cattolico.

venerdì 4 aprile 2014

Gli obiettivi della Russia di Putin.




Mentre le diplomazie ad alto livello e non le forze armate si confrontano, dopo le recenti vicende dell'Ucraina, torna in primo piano una questione non nuova, ma oggetto di insufficiente analisi.
Quali sono i reali obiettivi della Russia post-sovietica? Dove vuole arrivare Putin? Qual'è la portata della caduta dell'ideologia marxista-leninista? Regge l'analogia tra la crisi odierna e quella segnata dagli accordi di Monaco, che condusse alla Seconda guerra mondiale?
Sembra necessario preliminarmente accennare al pressoché misconosciuto ruolo dell'ideologia marxista-leninista nello sviluppo della strategia dell'Unione Sovietica. Ha scritto il compianto professor Victor Zaslavsky, uno dei più autorevoli studiosi del regime sovietico:

"...è indispensabile studiare il ruolo svolto dall'ideologia marxista-leninista nella formulazione della politica estera e nella formazione della mentalità della leadership staliniana e, soprattutto, dello stesso Stalin".

"L'idea che il mondo fosse diviso in due blocchi la cui coesistenza pacifica risultava impossibile e che le guerre, sia tra paesi capitalisti sia, soprattutto, tra il blocco socialista e quello capitalista, fossero inevitabili ha origine nella...formulazione di Lenin "kto kogo" (chi vince contro chi), in cui è sintetizzata l'essenza della concezione bolscevica delle relazioni internazionali" (Victor ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico, 2009, p. 133 e seg.).

Soltanto l'attenzione a questo contesto ideologico-strategico, caratterizzato dall'idea dell'inevitabilità della guerra tra i blocchi e del trionfo finale del socialismo, consente una buona comprensione della politica estera sovietica, che ancora Zaslavsky delinea  così:

"Fino alla morte Molotov, ha giudicato sempre con orgoglio principale risultato della politica estera sovietica del dopoguerra tagliare l'Europa a fette pezzo dopo pezzo, la cosiddetta  "tattica del salame"" (V. ZASLAVSKY, op. cit., p. 135).

La Russia post-sovietica trova la sua origine nell'implosione dell' URSS, compagine nata dalla Rivoluzione d'Ottobre, senza ereditarne l'impronta ideologica. I problemi della nuova Federazione russa sembrano piuttosto presentare qualche analogia con le difficoltà dell'Impero tedesco costituito con la vittoria prussiana su quelli austriaco e francese, che Bismarck saggiamente considerava saturo di territori e in ritardo sulla via della modernizzazione. Si tratta non di espandere il territorio e l'influenza esistenti, ma di conservarli. E' necessario fronteggiare le tendenze demografiche in atto, segnate dal crescente peso della componente islamica. Bisogna ristrutturare l'economia, gravata dalla bassa produttività e dipendente dalla esportazione di materie prime e armi.
La fragile potenza eurasiatica erede dell'URSS, anche con la sua recente condotta in Ucraina e Siria, sembra insomma inseguire l'obiettivo della conservazione dello statu quo, non dell'espansione. La sua leadership pare consapevole delle condizioni e dei limiti in cui è chiamata ad operare. Putin, ex ufficiale del KGB a lungo di stanza nella Germania orientale, verosimilmente  conosce bene le difficoltà incontrate  dall'Unione Sovietica nel "tenere" regioni dove non prevale l'elemento russo. Con ogni probabilità non ripeterà lo stesso errore.
La Monaco che vide le controproducenti concessioni delle democrazie occidentali a Hitler è lontana non solo temporalmente, ma soprattutto concettualmente. Sembrano invece cogliere nel segno gli analisti che vedono il rischio di una nuova Monaco nel più lontano Oriente. Così Chase Carter su The National Interest del 2 aprile 2014:

"After all, there is real Munich moment on the horizon, much further to the East".




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