Su La Stampa del 21 marzo 2014 Paolo Baroni ha delineato potenzialità e limiti della spending review di cui si parla da tempo:
" Arrivare a risparmiare 34 miliardi su un bilancio dello Stato che ne assorbe più di 700 sulla carta non dovrebbe essere un gran problema, perché alla fine stiamo parlando di un 5% scarso di spesa. Ciò non toglie che quello della spending review che il governo sta avviando si presenti come un vero e proprio percorso di guerra, fatto comunque di trabocchetti, ostacoli burocratici, prassi da scardinare, ma soprattutto volontà politiche da affermare e imporre ad ogni livello".
"Qui il rischio che si tocchi carne viva è concreto", scrive l' editorialista del quotidiano torinese. Eppure anche se portata alle sue estreme conseguenze la cosiddetta spending review non potrebbe dare un apprezzabile impulso alla declinante economia.
La spesa pubblica italiana ammonta a circa ottocento miliardi di euro e corrisponde a oltre la metà del PIL. Per fronteggiare una tale spesa il fisco preleva oltre il 50% dello stesso prodotto interno lordo. E' verosimile che solo una riduzione della pressione fiscale su produttori, consumatori e risparmiatori pari a un quarto ( oltre centocinquanta miliardi) riesca a dare nuovo slancio a produzione e occupazione. Tale riduzione può avvenire senza incrementare il debito pubblico soltanto diminuendo in misura corrispondente la spesa pubblica. E' dunque necessario risparmiare più di centocinquanta miliardi di euro, di gran lunga maggiori dei pochi miliardi obiettivo della sognata spending review.
Uno sguardo alla spesa pubblica dell' Eurozona purtroppo obbliga ad immaginare riforme strutturali ben più incisive. La spesa pubblica italiana è sostanzialmente in linea con quella media dei paesi dell' area euro. Ciò significa che una razionalizzazione della spesa, con eliminazione degli sperperi, senza riduzione dell' ampiezza del settore pubblico, consentirebbe di ottenere forse una efficienza europea ma non una adeguata diminuzione delle uscite pubbliche.
Di questa dura realtà ha recentemente preso atto il governo olandese, che per bocca dello stesso re ha prospettato la fine del welfare state.
Occorre parlare con franchezza ai ceti medi italiani ed alle imprese, proponendo un patto preciso: ad una importante diminuzione della pressione fiscale dovrà corrispondere l' assunzione di maggiori responsabilità. Solo gli indigenti avrebbero servizi gratuiti, mentre dovrebbero cessare i trasferimenti alle imprese, con un netto taglio del cosiddetto capitalismo relazionale.
La società deve sempre più bastare a se stessa, alleggerendo lo stato di compiti ormai insostenibili. Minore intermediazione pubblica della ricchezza prodotta, certezza del diritto, concorrenza estesa a settori più ampi, educazione del cittadino alla libertà responsabile. Queste le necessarie premesse della ripresa auspicata. La strada è in salita, ma rappresenta la sola alternativa al declino.