La nostalgia è utile quando ci spinge a cercare i fattori del passato benessere, le ragioni di un successo che vorremmo replicare. Nell'immaginario di molti italiani l'età dell'oro è rappresentata dagli anni Ottanta del secolo scorso. Ma il riferimento a parametri più oggettivi e universalmente apprezzabili, oltre al mito costruito nei media, consente di individuare nel ventennio successivo alla fine della Seconda guerra mondiale vissuto dagli Stati Uniti d'America il periodo per molti versi più favorevole. Il professor Luigi Zingales, nel suo recente Manifesto capitalista, ci fornisce importanti elementi di comprensione:
"...nel 1975, l'americano medio guadagnava il 74% in più di suo padre. Il sogno americano sembrava alla portata di tutti".
"Come ha insegnato Adam Smith, la ricchezza delle nazioni viene determinata fondamentalmente dalla loro produttività. E gli Stati Uniti vantavano un vantaggio di produttività enorme nei confronti del resto del mondo, che consentiva loro di distribuire la ricchezza creata fra la popolazione. Una ragione di questo vantaggio era la tradizione di rispetto della legge e dei diritti di proprietà che ha sempre caratterizzato la nazione e che allora era particolarmente rara nel mondo".
"Un altro fattore cruciale per la superiorità dell'America in termini di produttività era la sua forza lavoro. Grazie alla propria tradizione democratica (anzi, populista), gli Stati Uniti nel dopoguerra erano uno dei Paesi più istruiti del mondo. Nel 1950, quando il 44% della popolazione globale era analfabeta e soltanto l'8,2% aveva conseguito un diploma di scuola superiore, le percentuali corrispondenti negli Stati Uniti erano 2,2 e 37%".
"...lo sforzo bellico aveva imposto alle imprese americane di modernizzare e migliorare la loro produttività, rendendo il Paese la forza industriale di gran lunga preminente nel mondo. L'eccesso di offerta di materie prime nel dopoguerra abbassò il prezzo reale del petrolio, del minerale di ferro e di altre materie prime. I prezzi reali delle materie prime a uso industriale si dimezzarono tra il 1950 e il 1970, consentendo ai cittadini americani di migliorare rapidamente il proprio tenore di vita" (Luigi ZINGALES, Manifesto capitalista - Una rivoluzione liberale contro un'economia corrotta, 2012, p. 173 e seg.).
Alle condivisibili considerazioni di Zingales si può aggiungere, seguendo la lezione di Tocqueville, che in quegli anni ormai lontani negli USA ancora era comune e sentito un Cristianesimo capace di richiamare alla responsabilità e all'adempimento dei più elementari doveri, mentre un efficace addestramento alla democrazia si realizzava nelle assemblee e nei comitati. Ne risultava un paese libero e dal benessere sempre più diffuso, sia pure con l'irrisolta questione della effettiva emancipazione dei cittadini di colore. Così si espresse Karl Popper nella sua più importante opera autobiografica:
"L'America mi piacque fin dal primo istante, forse perchè prima avevo qualche pregiudizio nei suoi confronti. Nel 1950 c'era un senso di libertà, di indipendenza personale, che non esisteva in Europa e che, pensavo, era ancor più forte che in Nuova Zelanda, il paese più libero che io conoscessi" (Karl POPPER, La ricerca non ha fine - Autobiografia intellettuale, 1978, p.132).
La storia non si ripete mai. Ma una attenta riflessione sul passato ci consente di individuare chiavi di lettura promettenti.