Due grandi linee di approccio alla crisi si confrontano nel dibattito pubblico. Alcuni prendono a modello le politiche economiche adottate negli USA e in Giappone. Altri sottolineano i problemi posti dalla globalizzazione e l'esigenza di ripristinare nella cosiddetta economia reale i presupposti di una produzione competitiva, idonea a creare buona e vitale occupazione.
Questa sostanziale dicotomia si rileva giustapponendo una intervista all'economista Nouriel Roubini su Radio24 a un recente dibattito tra Andrea Montanino e Michele Boldrin.
Emerge chiara da una parte la sopravvalutazione della crescita negli Stati Uniti. In questi l'incremento del PIL è in buona misura spiegabile con l'aumento delle rimanenze di invenduto, con la ripresa del credito al consumo e con la rivoluzione energetica dello shale gas/oil. L'occupazione non migliora apprezzabilmente. Aumentano infatti gli occupati a tempo parziale non volontari e gli scoraggiati, mentre i nuovi posti di lavoro sono spesso di bassa qualità, creati prevalentemente nei settori della grande ristorazione, del commercio, dell'assistenza sanitaria e agli anziani, in attesa che il basso costo dell'energia dia maggior slancio alla manifattura. Non si dà inoltre ragguaglio dei rischi derivanti dalla politica monetaria accomodante destinata a venire meno in tempi non lunghi.
Montanino e Boldrin danno invece vita a un dibattito attento ai nodi dell'economia reale, dove scuola, innovazione produttiva, burocrazia, pressione fiscale, spesa pubblica e globalizzazione costituiscono i temi principali. La grande crisi in atto, che non presenta i tratti di quelle cicliche, affonda le proprie radici nei difetti strutturali del sistema paese gettato nella competizione economica globale, accompagnati e in larga misura causati dal fallimento delle principali agenzie educative.
In quest'ultima corretta prospettiva il cosiddetto rigore si rivela non solo causa ma soprattutto conseguenza della crescita insufficiente, tale per la debolezza dei suoi fattori. La natura strutturale della crisi va ben spiegata a chi ne è vittima. Solo da questa precisa consapevolezza si può ripartire. Attribuire all'euro, all'Europa e alla Germania in particolare colpe che sono soltanto nostre non ci aiuterà a risolvere i nostri problemi. Lasciamo questi facili alibi ad economisti inadeguati e a politici spacciatori di illusioni.