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giovedì 26 settembre 2013

Riforma dello stato sociale. Il modello olandese.







Sul Corriere della Sera del 24 settembre 2013 Alesina e Giavazzi scrivono:


"Il governo dice che la ripresa dell'occupazione richiede una forte riduzione delle tasse sul lavoro. Giusto, ma bisogna capire l'ordine di grandezza. Il ministro del Lavoro Giovannini punta a una riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra ciò che paga l'impresa e quanto va in tasca ai dipendenti) di 5 miliardi: ne servono 50 per portarlo al livello tedesco".

Questo infatti è il punto fondamentale: l'ordine di grandezza. Gli stessi economisti nell'editoriale lo definiscono ricordando che:

"Solo nel 2013 il Documento di economia e finanza (Def), pubblicato la scorsa settimana, stima che la spesa al netto degli interessi aumenterà di circa 10 miliardi, da 714 a 724 miliardi".

"Spendiamo, al netto di interessi, pensioni, sanità e interventi sociali circa 250 miliardi l'anno".

Si deve sottolineare che i fattori della competitività e della capacità di attrarre gli investimenti non si risolvono nel solo cuneo fiscale. Basti pensare a burocrazia, legislazione sul lavoro, relazioni industriali, costo dell'energia, banda larga, corruzione, criminalità organizzata, sistema scolastico. Ma certamente la pressione fiscale/contributiva su lavoro e impresa riveste un ruolo determinante.
In Italia un taglio della spesa pubblica di 50 miliardi non basta. Occorre infatti molto di più per ridurre efficacemente la pressione fiscale e, nel contempo, realizzare le infrastrutture indispensabili che i privati non possono o non vogliono costruire, senza accrescere il già enorme debito pubblico. Sembra plausibile la necessità di risparmiare 150/200 miliardi.
Tale riduzione non si può evidentemente conseguire incidendo soltanto sui 250 miliardi "al netto di interessi, pensioni, sanità e interventi sociali". Va realizzata "spalmando" l'intervento su tutti gli oltre 800 miliardi di spesa pubblica. Ma soprattutto non limitandolo alla semplice razionalizzazione del sistema. Bisogna invece attuare un nuovo modello di paese e di società.

Pochi giorni fa il Re Guglielmo di Olanda, in un discorso che ha destato scalpore, ha previsto l'estinzione dell'attuale stato sociale, sostituito da  "... una società della partecipazione, nella quale i cittadini devono prendersi cura di se stessi, ed è la società civile a dover ideare soluzioni per questioni come la cura degli anziani”. L'Olanda si trova in una situazione economica migliore di quella italiana. Eppure il suo governo si appresta ad applicare con coraggio i principi della sussidiarietà e della responsabilità. Senza un radicale cambio di direzione di questo tipo il declino dell'Italia diventerà inarrestabile. Ma gli elettori italiani, soprattutto del ceto medio, sapranno accettare nuove responsabilità? Sapranno comprendere il senso e la necessità di una rivoluzione a cui non sono preparati?

martedì 17 settembre 2013

Papa Francesco risponde a Scalfari. Nel solco della Tradizione cattolica.



Con una lettera a Eugenio Scalfari del 4 settembre 2013, dunque non in sede magisteriale, il Pontefice interviene sui rapporti tra fede cristiana e cultura moderna.
Scrive Papa Francesco:

"... lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro".

" Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l’ha rifiutato, ma per attestare che l’amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono".

"...mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro".

"...mi chiede se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio — questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! — non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela — e vive il rapporto con Lui — come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero".

Papa Francesco sottolinea e riafferma il nucleo cristologico della fede cristiana: Gesù è vero uomo e vero Dio, è figura storica, la sua Risurrezione è realmente avvenuta e attesta la verità del suo insegnamento. In questo senso la verità è relazione. Il cristiano la attinge dalla relazione con Dio. "Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro".

Nel Cristianesimo convivono le istanze della verità rivelata, della libertà e della dignità umane. La prima non prevarica sulle altre ma le esalta. La Chiesa cattolica ha acquisito una precisa consapevolezza di ciò attraverso un lungo e tormentato percorso.
Ma già l'illuminista Montesquieu ne Lo  Spirito delle Leggi osservò che:

"La religione cristiana è lontana dal dispotismo puro: infatti, essendo la mitezza tanto raccomandata nel Vangelo, essa si oppone alla collera dispotica con cui il principe si farebbe giustizia e metterebbe in pratica le sue crudeltà.

La religione cristiana, che sembra non avere altro fine che la felicità nell'altra vita, fa per di più la nostra felicità in questa.

.....dobbiamo al cristianesimo, nel governo un certo diritto politico, e nella guerra un certo diritto delle genti, di cui l'umanità non potrebbe mai essere abbastanza riconoscente" (op. cit., libro ventiquattresimo, capitolo terzo). 

Mentre Tocqueville volle con la sua opera "contribuire alla riconciliazione dello spirito della libertà e dello spirito della religione, della società nuova e del clero" (cfr. la Lettera al fratello citata in Charles-Augustin SAINT-BEUVE, Ritratto di Tocqueville, 2013, p. 97).

Un secolo dopo Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica italiana, giurista ed economista liberale eminente, in uno scritto purtroppo poco noto, manifestò il profondo legame della sua fede con la Tradizione cattolica:

 "Ma la comunità dei credenti non è composta dei soli uomini viventi oggi. Essa vive nelle generazioni che si sono succedute da Cristo in poi. Ognuna di quelle generazioni ha trasmesso quella parola alle generazioni successive; ed ogni generazione ha sentito quella parola e vi ha creduto perché essa era stata sentita e in essa avevano creduto i suoi avi. La parola di Cristo è viva in noi non perché essa sia stata scritta sulle pergamene e nei libri stampati. Sarebbe cosa morta se così fosse. Ma ognuno di noi l'ha sentita dalle labbra della mamma e della nonna. Mettiamoli in fila questi uomini e queste donne che in ogni famiglia hanno trasmesso oralmente gli uni agli altri i comanda­menti divini; amatevi gli uni gli altri, non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a te stesso. Non sono molti: da venti a trenta persone bastano a ricondurre la tradizione trasmessa ad ognuno di noi da un antenato il quale viveva al tempo del Messia" (Introduzione a Pietro BARBIERI, L’ora presente alla luce del Vangelo, Roma,1945, pp. V-VII).

Dunque una parte importante della cultura moderna critica e liberale già è vicina al Cristianesimo, già ne conosce e apprezza la portata storica, sociale e culturale. L'appello del Pontefice trova un terreno fertile ed accogliente in questo pensiero critico, in grado di riconciliare cristianesimo e modernità proprio nel segno della libertà e della dignità umane.



mercoledì 11 settembre 2013

Afghanistan. L'altra guerra che seguirà.



Su La Voce della Russia del 9 settembre 2013 Vadim Fersovič delinea l'evoluzione dell'intervento occidentale in Afghanistan dopo il 2014. Scaduto il mandato NATO le forze occidentali saranno ridimensionate e si limiteranno a formare, consigliare ed assistere le truppe e la polizia nazionali afgane. Questi i compiti indicati ai media dai governi. Ma, secondo il redattore del sito internet russo, in realtà il loro impiego diretto continuerà. L'articolo, pur segnato da una traduzione manchevole e dal ricorso a sigle del passato (dal 2007 l'AISE ha sostituito il SISMI), offre un quadro non privo di plausibilità, anche se traspare una certa inclinazione a confondere le aspettative con la realtà.

Scrive Fersovič:

"Già nel 2010 il giornalista italiano Manlio Dinucci ha scritto che la CIA stava svolgendo in Afhanistan l’attivita di “esercito ombra” che si occupava non solo di raccolta di informazione ma anche di azioni di forza. Probabilmente, un lavoro analogo veniva realizzato nelle zone di propria responsabilità anche dai servizi speciali dell’Italia e della Germania".

"Così sarà risolto il problema della lotta contro i guerriglieri in cui vengono spese immense risorse umane e materiali. Quando nel 2015 i caporioni dei talebani usciranno fuori dai loro rifugi sicuri, gli agenti arruolati dalla CIA, dal BND e dal SISMI non avranno difficoltà non solo a seguire ma anche ad eliminare autonomamente gli “intransigenti”. Tali operazioni sono state già rodate nel corso dei raid congiunti dei reparti speciali afghani ed occidentali. Se tale strategia funzionerà, i caporioni dei guerrigieri subiranno su di sé i metodi da loro stessi usati.
In luglio esponenti ufficiali americani hanno dichiarato che nei prossimi due anni la CIA programma di ridurre fino a 6 il numero delle sue basi segrete in Afghanistan lasciando intatto il proprio centro a Kabul, uno dei maggiori al mondo. Centri analoghi saranno lasciati dalla Germania e dall’Italia. Gli agenti dell’intelligence ritorneranno al proprio lavoro diretto, mentre migliaia di afgani eseguiranno il lavoro che toccava prima a centinaia di migliaia di soldati della coalizione con spese incomparabimente minori e, più probabilmente, con un’efficienza di gran lunga maggiore".

Sono evidentemente anche e soprattutto questi i temi che possono riavvicinare Russi e Americani. Ma gli insorti afgani sanno bene cosa li attende.





martedì 3 settembre 2013

Parlamenti più forti, democrazie meno efficienti.

Luigi Einaudi

Sul Corriere della Sera del 2 settembre 2013 Antonio Polito ha esaminato il ruolo dei parlamenti occidentali, dando conto della tendenza al loro rafforzamento messa in luce dai più recenti sviluppi della crisi siriana:

"I due più antichi Parlamenti del mondo si sono presi una storica rivincita. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti il governo ha dovuto riconsegnare nelle loro mani il più sovrano dei poteri, quello sulla pace e sulla guerra".

"La democrazia parlamentare, una delle più grandi invenzioni della civilizzazione anglosassone, sembrava ormai sopraffatta dall'emergere di un mondo nuovo, fatto di decisioni globalizzate e sovranazionali, o dettate dai sondaggi e incarnate da leader che ne rispondono solo al popolo. E invece, tra il popolo e il leader, ecco rispuntare il Parlamento".

"La decisione politica sta certamente rimpatriando all'interno della sfera nazionale, l'unica dove possa esercitarsi il controllo democratico dei Parlamenti. Ma resta da vedere quanto questo processo sia compatibile con gli obblighi di una comunità globale sempre più interdipendente".

"Festeggiando il ritorno dei Parlamenti, sarà dunque bene non dimenticare che nella forza della democrazia risiedono anche le sue debolezze, e che su quelle hanno sempre contato tiranni come Assad e autocrati come Putin. Anche perché una democrazia indecisa e imbelle smette presto di essere una democrazia".

La netta prevalenza del governo sul parlamento ha caratterizzato da molti decenni la forma di governo delle più forti e influenti democrazie occidentali. A lungo il parlamento di potenze come gli USA e la Gran Bretagna, sia pure con significative differenze,  ha svolto il ruolo di cassa di risonanza delle controversie politiche e ha sostanzialmente di solito ratificato le decisioni prese altrove dai grandi leader. Si tratta di un assetto ben noto ai costituzionalisti, che presuppone il bipolarismo e la selezione di statisti dotati di adeguate capacità.

Luigi Einaudi, economista e giurista liberale eminente, secondo presidente della Repubblica italiana, già sullo scorcio della Seconda guerra mondiale del parlamentarismo europeo scrisse:

"I parlamenti non sono società di cultura od accademie scientifiche. Sono organi, il cui scopo unico è quello di formare governi stabili e di controllarne l'azione. Come disse il primo ministro del primo governo laburista, Ramsay Mac Donald, le elezioni non si fanno per contare le opinioni, per fare il censimento (census, in inglese) delle sette, dei ceti, dei partiti, dei movimenti, dei gruppi sociali, religiosi, politici, ideologici in cui si fraziona una società, la quale sia composta di uomini vivi e pensanti; ma si fanno per mettersi d'accordo in primissimo luogo sul nome della persona che in qualità di primo ministro sarà chiamato a governare il paese, e in secondo luogo sul nome di coloro che collaboreranno con lui o che ne criticheranno l'operato. Le elezioni hanno cioè per scopo di creare il consenso (consensus e non census) intorno ad un uomo ed al suo gruppo di governo ed intorno a chi oggi sarà il suo critico e domani ne prenderà il posto se gli elettori gli daranno ragione. Se non si vuole l'anarchia, questo e non una sterile accademica rassegna di opinioni è lo scopo unico preciso di un buon sistema elettorale". 

Solo pochi possono governare, mentre tutti devono poter giudicare chi governa. Dai lontani tempi della democrazia ateniese di Pericle questo è il principio fondamentale della democrazia rappresentativa, di una democrazia efficiente, capace di risolvere problemi.
I parlamenti, grandi assemblee esposte alla pressione della volubile opinione pubblica, non riescono a prendere rapidamente le decisioni sovente impopolari in cui si deve risolvere l'attività di governo di un grande paese.
La crisi politica, economica e morale in cui sono cadute le grandi democrazie occidentali si esprime anche nella selezione di leader politici deboli, saliti spesso al potere cavalcando e fomentando il populismo e la demagogia. Non traggano in inganno i più recenti avvenimenti. L'abbandono dello schema contraddistinto dalla prevalenza del governo solo occasionalmente, come sulla prospettiva di un'azione militare in Siria, produce effetti positivi. Normalmente invece determina un indebolimento dei sistemi democratici, resi meno capaci di adottare e realizzare misure efficaci.



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