Con una lettera a Eugenio Scalfari del 4 settembre 2013, dunque non in sede magisteriale, il Pontefice interviene sui rapporti tra fede cristiana e cultura moderna.
Scrive Papa Francesco:
"... lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro".
" Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l’ha rifiutato, ma per attestare che l’amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono".
"...mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro".
"...mi chiede se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio — questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! — non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela — e vive il rapporto con Lui — come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero".
Papa Francesco sottolinea e riafferma il nucleo cristologico della fede cristiana: Gesù è vero uomo e vero Dio, è figura storica, la sua Risurrezione è realmente avvenuta e attesta la verità del suo insegnamento. In questo senso la verità è relazione. Il cristiano la attinge dalla relazione con Dio. "Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro".
Nel Cristianesimo convivono le istanze della verità rivelata, della libertà e della dignità umane. La prima non prevarica sulle altre ma le esalta. La Chiesa cattolica ha acquisito una precisa consapevolezza di ciò attraverso un lungo e tormentato percorso.
Ma già l'illuminista Montesquieu ne Lo Spirito delle Leggi osservò che:
"La religione cristiana è lontana dal dispotismo puro: infatti, essendo la mitezza tanto raccomandata nel Vangelo, essa si oppone alla collera dispotica con cui il principe si farebbe giustizia e metterebbe in pratica le sue crudeltà.
La religione cristiana, che sembra non avere altro fine che la felicità nell'altra vita, fa per di più la nostra felicità in questa.
.....dobbiamo al cristianesimo, nel governo un certo diritto politico, e nella guerra un certo diritto delle genti, di cui l'umanità non potrebbe mai essere abbastanza riconoscente" (op. cit., libro ventiquattresimo, capitolo terzo).
Mentre Tocqueville volle con la sua opera "contribuire alla riconciliazione dello spirito della libertà e dello spirito della religione, della società nuova e del clero" (cfr. la Lettera al fratello citata in Charles-Augustin SAINT-BEUVE, Ritratto di Tocqueville, 2013, p. 97).
Un secolo dopo Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica italiana, giurista ed economista liberale eminente, in uno scritto purtroppo poco noto, manifestò il profondo legame della sua fede con la Tradizione cattolica:
"Ma la comunità dei credenti non è composta dei soli uomini viventi oggi. Essa vive nelle generazioni che si sono succedute da Cristo in poi. Ognuna di quelle generazioni ha trasmesso quella parola alle generazioni successive; ed ogni generazione ha sentito quella parola e vi ha creduto perché essa era stata sentita e in essa avevano creduto i suoi avi. La parola di Cristo è viva in noi non perché essa sia stata scritta sulle pergamene e nei libri stampati. Sarebbe cosa morta se così fosse. Ma ognuno di noi l'ha sentita dalle labbra della mamma e della nonna. Mettiamoli in fila questi uomini e queste donne che in ogni famiglia hanno trasmesso oralmente gli uni agli altri i comandamenti divini; amatevi gli uni gli altri, non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a te stesso. Non sono molti: da venti a trenta persone bastano a ricondurre la tradizione trasmessa ad ognuno di noi da un antenato il quale viveva al tempo del Messia" (Introduzione a Pietro BARBIERI, L’ora presente alla luce del Vangelo, Roma,1945, pp. V-VII).
Dunque una parte importante della cultura moderna critica e liberale già è vicina al Cristianesimo, già ne conosce e apprezza la portata storica, sociale e culturale. L'appello del Pontefice trova un terreno fertile ed accogliente in questo pensiero critico, in grado di riconciliare cristianesimo e modernità proprio nel segno della libertà e della dignità umane.