Il professor Luigi Zingales, soprattutto con il suo recente Manifesto capitalista, ha dato un significativo contributo al dibattito pubblico. Una sorta di riconoscimento dell'importanza di tale contributo è costituita dall'inserimento nelle tracce dei temi della Maturità di un brano dell'economista che, commentando la notizia su Il Sole 24 Ore del 20 giugno 2013, così offre una sintesi della sua posizione:
" ...Il delicato equilibrio tra capitalismo e democrazia, che ha beneficiato il mondo occidentale negli ultimi 65 anni, sembra essersi rotto. Declinato in modo diverso in America ed Europa, questo equilibrio si basava su un capitalismo in grado di arricchire tutti e di una democrazia che rinunciava agli eccessi redistributivi per garantire il prosperare del sistema di mercato. A sigillare questo patto contribuiva un sistema fiscale e previdenziale che gratificava le generazioni presenti, trasferendo i costi su quelle future. Fintantoché le generazioni future erano più numerose e più ricche, il peso di questo trasferimento era minimo: la cosa più vicina ad un "free lunch" (pasto gratis) che esista in economia.
Purtroppo le premesse sottostanti questo equilibrio si sono infrante. La globalizzazione, che ha portato enormi vantaggi ai paesi in via di sviluppo, ha anche facilitato una distribuzione del reddito più ineguale nei paesi sviluppati. Mentre i lavoratori non qualificati, tanto in America come in Italia, vedono i propri salari erosi dalla competizione cinese ed indiana, le superstar, dal calcio alla moda, dal cinema all'economia, beneficiano enormemente di un mercato globale per i loro talenti. Il rallentamento della crescita economica e l'azzeramento della crescita demografica hanno ridotto i margini di manovra, rendendo più difficile sostenere un welfare generoso. Nell'Occidente il capitalismo non sembra più in grado fornire un benessere diffuso. A peggiorare le cose contribuisce una percezione diffusa che le regole del gioco siano falsate a favore di pochi: testa vinco io, croce perdi tu. Se questo è vero in tutto il mondo occidentale, è particolarmente vero in Italia, dove la crescita si è fermata già da vent'anni e dove, con qualche nobile eccezione, l'élite economica e politica è frutto di clientelismo e nepotismo, invece che di un sistema meritocratico".
E' ormai ben noto che il mercato ha bisogno di regole vigenti e di uno stato efficiente. Meno frequente è la consapevolezza del difficile rapporto tra mercato e democrazia. Raramente poi si ammette che il mercato può essere vitale e migliorare la condizione di molti solo quando produttori, consumatori e cittadini elettori ne conoscono, sia pure sommariamente, le premesse, il meccanismo, i problemi, la fragilità, le opportunità, il valore. E' necessaria una vera e propria educazione al mercato, che prepari alla competizione regolata come preziosa fonte di innovazione, efficienza, crescita e che formi il cittadino elettore alla sua manutenzione.
In un articolato eppure commosso intervento su La Stampa del 16 maggio 2013 il professor Mario Deaglio ha raccontato la "generazione perfetta" dei nati nel 1943:
"Gli anni Sessanta non erano certo un paradiso, ma per moltissime famiglie italiane rappresentò l’uscita dall’inferno della povertà senza speranza. La guerra era ancora molto vicina e tutti i giorni i giornali ci ricordavano che ci poteva piovere in testa l’atomica. Della guerra, come di politica, si raccontava e si discuteva nelle lunghe sere dell’era pre-televisiva. Per questo, quando eravamo quindicenni-diciottenni la nostra sensibilità (e cultura) politica era nettamente superiore a quella attuale dei quindicenni-diciottenni di oggi".
" Per i settantenni l’impressione è di essere gli ultimi di un mondo, che subito dopo di noi si sia operato uno stacco lacerante; siamo, in una certa misura, dei sopravvissuti. In un momento di crisi profonda, però, in quanto estremi portatori di valori che hanno contribuito al successo passato di questo Paese, anche i testimoni del passato servono. Forse questa generazione - ancora largamente in salute grazie ai progressi della medicina - può ancora dare qualcosa a un Paese stordito".
Questa generazione ha sentito vicina la guerra, ha fatto sacrifici, ha continuato a considerare il lavoro e la famiglia valori preziosi. Ma non è riuscita a costruire un'Italia capace di crescere nel lungo periodo, di rispondere alle sfide della globalizzazione. Molti dei presupposti necessari erano presenti, eppure ha fallito. Perchè? Perchè "Precisamente nel Sessantotto, per noi, a differenza dei più giovani, la stabilità cominciava a far premio sulla crescita, la normalità sull’innovazione. Una canzoncina della mia gioventù diceva: «Lavoro in banca/ stipendio fisso/ così mi piazzo/ e non se ne parla più».
E' mancata un'educazione al mercato, alla competizione responsabile e regolata, all'innovazione lungimirante. Scuola e informazione sono state segnate dall'egemonia di culture e visioni illiberali. Così gli uomini per tanti versi migliori non hanno saputo fare cose buone.