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lunedì 25 marzo 2013

Scuola. Meglio pagarla di tasca propria.




Nel suo recente Manifesto capitalista Luigi Zingales ha sottolineato il carattere regressivo del sistema universitario italiano:

"Mentre uno studente costa mediamente all'erario 15.000 euro all' anno, la tipica matricola paga poco più di 1000 euro. Ciò sostiene artificialmente la domanda per un prodotto di scarsa qualità".
"Per sensibilizzare i consumatori alla qualità del prodotto è necessario far pagare loro il costo reale del prodotto. Paradossalmente un'iniziativa altamente progressista. L'università quasi gratuita è una redistribuzione dai poveri (che pagano le imposte ma non vanno all'università) ai ricchi (che ottengono in servizi universitari più di quanto pagano)".
"E per evitare che la retta universitaria sia un ostacolo per gli studenti capaci ma indigenti, basta trasformare l'attuale sussidio in finanziamenti...". (op.cit., 2012, p. 231 e seg.)

Considerazioni analoghe si trovano ne La ricchezza delle nazioni, l'opera più nota ed influente di Adam Smith. Il grande precursore del pensiero economico liberale contemporaneo più di due secoli fa, a proposito dell'istruzione inferiore, ma con rilievi di portata generale, osservò che:

"Lo stato può facilitare l'apprendimento di queste parti dell'istruzione creando in ogni parrocchia o distretto una piccola scuola, nella quale i bambini possano essere istruiti per un compenso così modesto che anche un lavoratore comune possa pagarlo, e in cui il maestro sia pagato in parte, ma non esclusivamente, dallo Stato, perché se fosse pagato esclusivamente, o anche principalmente, dallo Stato imparerebbe presto a trascurare il suo mestiere" ( Adam SMITH, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Libro Quinto, I, Parte III).

Istruzione, sanità, previdenza e assistenza sociali sono rese non solo finanziariamente sostenibili ma anche più efficienti dalla compresenza di disciplina pubblica e strumenti privati. Minore pressione fiscale in cambio di maggiori responsabilità per i ceti medi italiani, chiamati a individuare e a premiare i migliori fornitori di servizi, abbattendo chiusure corporative e steccati ideologici.
Questo è un programma davvero rivoluzionario che purtroppo non troviamo tra quelli di chi dice di voler cambiare tutto.

martedì 19 marzo 2013

Il vescovo di Roma nella prospettiva ecumenica.


Secondo il vigente codice di diritto canonico della Chiesa cattolica

"Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente" (can.331).

Tale potestà del successore di Pietro nell'episcopato romano è uno dei principali ostacoli all'unità dei cristiani. Le altre grandi chiese cristiane infatti riconoscono o possono riconoscere un primato d'onore del vescovo di Roma ma non una sua potestà piena, immediata e universale su tutti i cristiani.
La Chiesa cattolica  persegue il superamento delle divisioni tra le chiese cristiane, con una lucida comprensione dei problemi che rallentano il processo di unificazione. Tra essi particolare  attenzione desta quello rappresentato dal cosiddetto primato petrino, sopra delineato.
Sull'impegno ecumenico resta insuperato il magistero di Giovanni Paolo II che nella lettera enciclica Ut unum sint ha dato alla Chiesa cattolica un compito preciso:

" Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti "dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina"

"Ma ... è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero .... Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (95).

Passi decisivi verso l'attribuzione al servizio petrino di forme e contenuti compatibili con la piena comunione delle chiese cristiane sono stati realizzati dai due ultimi papi. Benedetto XVI, rinunciando al suo ufficio di Romano Pontefice e diventando vescovo emerito di Roma, ha sottolineato la centralità del ministero episcopale.
Il nuovo papa Francesco ha con chiarezza percorso la via indicata dal predecessore, con comportamenti la cui portata ecumenica può rivelarsi determinante. In questo senso va letta anche la decisione di rivolgersi ai fedeli durante il suo primo Angelus soltanto in lingua italiana.
Il vescovo di Roma ha parlato alla Chiesa di Roma prima che ai cristiani di tutto il mondo, chiamati  a vedere nel successore di Pietro il titolare di una potestà legata all'importanza della sede episcopale e che si esprime nel servizio all'unità della Chiesa universale.

martedì 12 marzo 2013

Il modello tedesco divide l'Europa.






Emerge con chiarezza un rinnovato modello tedesco, nato dalla riforma della tradizionale economia sociale di mercato. Al conseguimento di una maggiore competitività sono diretti la riduzione della pressione fiscale, la ristrutturazione del welfare, l'impostazione produttivistica di scuola e pubblica amministrazione tutta, il riassetto delle relazioni industriali, l'impulso all'innovazione produttiva, la disciplina della finanza pubblica.

"La Merkel invece si concentra sul futuro più immediato, sulla messa a punto entro giugno, di un patto europeo per la competitività". 
"Ora il copione si ripete a Varsavia ed è anche molto più facile da recitare. Il cancelliere venuto dall'Est in fondo gioca in casa, ne conosce bene la vecchia cultura e ne condivide quella nuova nata sulle macerie del comunismo. Perché è tutta imperniata sul recupero di competitività (in larga parte riuscito) di un modello di sviluppo aperto, fatto di costi e salari bassi, welfare leggero e regimi fiscali mirati a calamitare gli investimenti esteri. Che infatti piovono abbondanti, cinesi in testa. 
La ricetta piace alla Germania dell'economia sociale di mercato riformata. Tanto che medita di farne una sorta di laboratorio delle future riforme europee. I dati parlano chiaro: tra il 1999 e il 2012, grazie alla profonda revisione del suo modello nello scorso decennio, la competitività globale della Germania è salita del 22,5% contro un aumento dell'1,2% in Francia, dell'1,4 in Italia, del 3,3 in Spagna".
"Per colmare queste divergenze abissali, dopo aver imposto il fiscal compact, ora la Merkel sogna il patto per la competitività. Che naturalmente non passa per un euro più debole e neanche per una politica monetaria più accomodante, all'americana o alla giapponese, ma sempre e soltanto per rigore e riforme strutturali a tappeto".

Per tentare di riprodurre questo modello i paesi periferici dell'Eurozona devono realizzare riforme strutturali profonde ed adottare una incisiva austerità fiscale e di bilancio. Hans-Werner Sinn, professore di economia e finanza pubblica all'università di Monaco di Baviera, su Il Sole 24 Ore del 9 marzo 2013:

"Temo che tra la quantità di austerità necessaria per riportare in equilibrio i conti e quella che la popolazione può tollerare senza disordini in strada, c'è un grande dislivello". 

Assistiamo infatti a un diffuso ed aspro rifiuto del cosiddetto rigore fiscale, monetario e di bilancio. Anche il risultato delle recenti elezioni italiane è in larga misura interpretabile in questo senso. Ma rappresenta un'alternativa efficace quella suggerita da Cerretelli con l'accenno alla prospettiva di "euro più debole" e di "una politica monetaria più accomodante, all'americana o alla giapponese"? Bisogna dire chiaramente che questa alternativa non dà i risultati sperati.
A lungo esplorata dall'Amministrazione Obama, non ha consentito di fronteggiare con successo la crisi occupazionale e i problemi posti dalla globalizzazione della competizione economica, mentre si è rivelata insostenibile per gli effetti sulla finanza pubblica. Il perdurante squilibrio della bilancia  commerciale USA e i dati su occupazione/disoccupazione non consentono un giudizio meno severo. Anche le più recenti statistiche ufficiali devono essere lette in questo senso:

"Employment increased in professional and business 
services, construction, and health care". 
Nessun incremento nella manifattura.

"In February, the number of long-term unemployed (those jobless for 27 weeks 
or more) was about unchanged at 4.8 million. These individuals accounted for 
40.2 percent of the unemployed.
The employment-population ratio held at 58.6 percent in February. The civilian 
labor force participation rate, at 63.5 percent, changed little. 
The number of persons employed part time for economic reasons, at 8.0 million, 
was essentially unchanged in February. These individuals were working part 
time because their hours had been cut back or because they were unable to 
find a full-time job.
In February, 2.6 million persons were marginally attached to the labor force, 
the same as a year earlier. (The data are not seasonally adjusted.) These 
individuals were not in the labor force, wanted and were available for work, 
and had looked for a job sometime in the prior 12 months. They were not 
counted as unemployed because they had not searched for work in the 4 weeks 
preceding the survey".
 Il numero dei disoccupati di lunga durata, dei non occupati e degli occupati a tempo parziale per motivi economici resta molto lontano dai livelli auspicati.

Ma come fare accettare alla ricalcitrante opinione pubblica dei paesi più colpiti dalla crisi le  necessarie riforme? Iniettando robuste dosi di equità nell'attività riformatrice e di verità nel dibattito pubblico. Il peso del cambiamento più deve essere sopportato da chi in passato ha tratto maggior vantaggio dalle relazioni clientelari, dalle rendite di posizione, dalle chiusure corporative, dai privilegi più odiosi. Mentre devono essere posti a disposizione dei cittadini  elementi che consentano di formare opinioni più costruttive perchè meglio corrispondenti alla struttura dei problemi. 




martedì 5 marzo 2013

Einaudi e De Gasperi. L'Italia ricostruita con il rigore.








Luigi Einaudi, governatore della Banca d'Italia, ministro delle Finanze e del Tesoro e poi ministro del Bilancio nei Governi De Gasperi, difese strenuamente il valore della lira e limitò rigidamente la spesa pubblica. Questa condotta economica rese possibile la ricostruzione italiana dopo la Seconda guerra mondiale.






Randolfo Pacciardi fu dal 1948 al 1953 ministro della Difesa nei governi De Gasperi. Ha ricordato il secondo presidente della Repubblica italiana con queste  parole:

"Il prestigio di Einaudi in materia economica era indiscusso ed era a lui che spettava l'ultima parola sulle proposte di legge dei singoli ministri. Era rigidissimo. Le sedute del Consiglio dei Ministri con De Gasperi erano interminabili. Einaudi sembrava disinteressarsi delle lunghe discussioni che non riguardavano la sua specifica competenza. Si faceva portare regolarmente un brodo alle 11 del mattino e riteneva che quello fosse il tonico migliore per tener desta la sua attenzione. E' avvenuto anche a me di tentare di profittare a tarda ora della sonnecchiante distrazione di Einaudi per varare proposte di legge che comportavano spese per la Difesa, ma al punto culminante il Ministro del Bilancio si risvegliava regolarmente per dire di no. La difesa della lira faceva parte, egli diceva, del problema generale della difesa del paese".
"Pella, come Ministro del Tesoro aveva davvero le spalle al sicuro. Con questi cerberi alle finanze dello Stato non si facevano davvero spese inutili. Il raddrizzamento della situazione economica nei governi cosiddetti centristi lo si deve certamente a Einaudi" (Protagonisti grandi e piccoli, 1972, p. 186).

Oggi, quando il declino dell'Italia appare una prospettiva difficile da evitare, la lezione di Einaudi e De Gasperi è più che mai attuale. Mentre la demagogia contraddistingue i discorsi e la propaganda dei loro sedicenti eredi, si deve riaffermare con forza il valore della politica economica che consentì di ricostruire l'Italia devastata dalla guerra. 




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