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martedì 12 marzo 2013

Il modello tedesco divide l'Europa.






Emerge con chiarezza un rinnovato modello tedesco, nato dalla riforma della tradizionale economia sociale di mercato. Al conseguimento di una maggiore competitività sono diretti la riduzione della pressione fiscale, la ristrutturazione del welfare, l'impostazione produttivistica di scuola e pubblica amministrazione tutta, il riassetto delle relazioni industriali, l'impulso all'innovazione produttiva, la disciplina della finanza pubblica.

"La Merkel invece si concentra sul futuro più immediato, sulla messa a punto entro giugno, di un patto europeo per la competitività". 
"Ora il copione si ripete a Varsavia ed è anche molto più facile da recitare. Il cancelliere venuto dall'Est in fondo gioca in casa, ne conosce bene la vecchia cultura e ne condivide quella nuova nata sulle macerie del comunismo. Perché è tutta imperniata sul recupero di competitività (in larga parte riuscito) di un modello di sviluppo aperto, fatto di costi e salari bassi, welfare leggero e regimi fiscali mirati a calamitare gli investimenti esteri. Che infatti piovono abbondanti, cinesi in testa. 
La ricetta piace alla Germania dell'economia sociale di mercato riformata. Tanto che medita di farne una sorta di laboratorio delle future riforme europee. I dati parlano chiaro: tra il 1999 e il 2012, grazie alla profonda revisione del suo modello nello scorso decennio, la competitività globale della Germania è salita del 22,5% contro un aumento dell'1,2% in Francia, dell'1,4 in Italia, del 3,3 in Spagna".
"Per colmare queste divergenze abissali, dopo aver imposto il fiscal compact, ora la Merkel sogna il patto per la competitività. Che naturalmente non passa per un euro più debole e neanche per una politica monetaria più accomodante, all'americana o alla giapponese, ma sempre e soltanto per rigore e riforme strutturali a tappeto".

Per tentare di riprodurre questo modello i paesi periferici dell'Eurozona devono realizzare riforme strutturali profonde ed adottare una incisiva austerità fiscale e di bilancio. Hans-Werner Sinn, professore di economia e finanza pubblica all'università di Monaco di Baviera, su Il Sole 24 Ore del 9 marzo 2013:

"Temo che tra la quantità di austerità necessaria per riportare in equilibrio i conti e quella che la popolazione può tollerare senza disordini in strada, c'è un grande dislivello". 

Assistiamo infatti a un diffuso ed aspro rifiuto del cosiddetto rigore fiscale, monetario e di bilancio. Anche il risultato delle recenti elezioni italiane è in larga misura interpretabile in questo senso. Ma rappresenta un'alternativa efficace quella suggerita da Cerretelli con l'accenno alla prospettiva di "euro più debole" e di "una politica monetaria più accomodante, all'americana o alla giapponese"? Bisogna dire chiaramente che questa alternativa non dà i risultati sperati.
A lungo esplorata dall'Amministrazione Obama, non ha consentito di fronteggiare con successo la crisi occupazionale e i problemi posti dalla globalizzazione della competizione economica, mentre si è rivelata insostenibile per gli effetti sulla finanza pubblica. Il perdurante squilibrio della bilancia  commerciale USA e i dati su occupazione/disoccupazione non consentono un giudizio meno severo. Anche le più recenti statistiche ufficiali devono essere lette in questo senso:

"Employment increased in professional and business 
services, construction, and health care". 
Nessun incremento nella manifattura.

"In February, the number of long-term unemployed (those jobless for 27 weeks 
or more) was about unchanged at 4.8 million. These individuals accounted for 
40.2 percent of the unemployed.
The employment-population ratio held at 58.6 percent in February. The civilian 
labor force participation rate, at 63.5 percent, changed little. 
The number of persons employed part time for economic reasons, at 8.0 million, 
was essentially unchanged in February. These individuals were working part 
time because their hours had been cut back or because they were unable to 
find a full-time job.
In February, 2.6 million persons were marginally attached to the labor force, 
the same as a year earlier. (The data are not seasonally adjusted.) These 
individuals were not in the labor force, wanted and were available for work, 
and had looked for a job sometime in the prior 12 months. They were not 
counted as unemployed because they had not searched for work in the 4 weeks 
preceding the survey".
 Il numero dei disoccupati di lunga durata, dei non occupati e degli occupati a tempo parziale per motivi economici resta molto lontano dai livelli auspicati.

Ma come fare accettare alla ricalcitrante opinione pubblica dei paesi più colpiti dalla crisi le  necessarie riforme? Iniettando robuste dosi di equità nell'attività riformatrice e di verità nel dibattito pubblico. Il peso del cambiamento più deve essere sopportato da chi in passato ha tratto maggior vantaggio dalle relazioni clientelari, dalle rendite di posizione, dalle chiusure corporative, dai privilegi più odiosi. Mentre devono essere posti a disposizione dei cittadini  elementi che consentano di formare opinioni più costruttive perchè meglio corrispondenti alla struttura dei problemi. 





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