Il 46° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2012 del CENSIS mette in evidenza lo smottamento del ceto medio italiano. Dario Di Vico sul Corriere della Sera dell'8 dicembre 2012 ha scritto:
"Il ceto medio che a spanne rappresenta il 60% delle famiglie sta subendo un netto declassamento, retrocede. I suoi redditi si contraggono, la ricchezza posseduta diminuisce, il posto di lavoro salta. Sotto i colpi della crisi la società, dunque, subisce un profondo mutamento".
"Il fenomeno, almeno per una volta, non è unicamente italiano ma attraversa tutti i Paesi sviluppati...".
"Per onestà va aggiunto che da noi è più bassa che altrove la mobilità sociale e il turnover generazionale più difficile. L'ascensore italiano viaggia al contrario e cresce quantitativamente la parte inferiore del ceto medio, ingrossata dalle famiglie straniere e dal vertiginoso incremento del numero dei singoli. La percentuale di connazionali che vive in «tipologie di famiglie non tradizionali» in meno di venti anni è cresciuta dal 7,6 al 17,3%".
Come sottolineato da Di Vico si tratta di un aspetto fondamentale della crisi che colpisce tutta l'Europa e gli Stati Uniti d' America. Ma il ceto medio italiano mostra, insieme a risorse già note, derivanti da una precedente inclinazione al risparmio e da una certa maggior solidità delle famiglie, anche fragilità peculiari determinate dalla sua origine e connesse a quelle del sistema paese.
In Italia il passaggio dalla società agricola a quella industriale è avvenuto in ritardo e rapidamente, quando il livello culturale della popolazione era ancora complessivamente molto basso: "prima del '14 si contava, in media, ancora il 40 per cento di analfabeti, cifra che nell'Italia meridionale e insulare arrivava al valore spaventoso del 60 per cento circa" (Ernesto GALLI DELLA LOGGIA, Tre giorni nella storia d'Italia, 2010, pp. 31 e 32). Nel Secondo dopoguerra certamente, alle soglie del "boom" economico, questo divario culturale rispetto alle società occidentali più avanzate rimaneva ampio e dagli effetti rilevanti.
Particolarmente importanti sono poi alcuni tratti del processo formativo del nostro ceto medio. Esso si è sviluppato in una economia assai più chiusa e protetta di quella attuale, caratterizzata da una forte presenza/ingerenza della politica. "Per tutta la durata della Prima Repubblica, attraverso il sistema delle partecipazioni statali, la politica, nel nostro paese, era stata la proprietaria diretta di oltre un terzo dell' economia" (E. GALLI DELLA LOGGIA, op. cit, pp. 108 e 109).
Occorre inoltre segnalare un altro fattore decisivo: il sistema italiano "da un certo punto in poi, diciamo dalla fine degli anni Sessanta, comincia ad abituarsi a spendere sempre di più grazie a una spesa pubblica ormai senza freni". Viene ampliata "la sfera dei diritti di cittadinanza costruendo un generoso sistema di welfare. E' precisamente la costruzione di questo welfare - non sufficientemente finanziata da entrate fiscali che registrano un'altissima incidenza dell' evasione - a portare rapidamente a un'impennata inaudita delle spese dello Stato e quindi a una vera e propria esplosione del debito pubblico. In quindici anni, dal 1974 al 1980, il debito pubblico italiano si moltiplica di oltre cinque volte..." (E. GALLI DELLA LOGGIA, op. cit, pp. 109 - 111).
Il ceto medio giunge dunque alla presente crisi complessivamente privo di una genuina visione liberale, disabituato alla competizione regolata e, nell'ambito del welfare, a una generale ed effettiva applicazione del principio di sussidiarietà. Si trova quindi in larga misura disarmato culturalmente di fronte a una crisi determinata dalla nuova competizione globalizzata e dall'insostenibilità finanziaria dello stato sociale non strutturato secondo il principio di sussidiarietà.
Si tratta di una nuova normalità che impone l'adozione di misure coraggiose e lungimiranti. Il paese deve recuperare competitività riformando il welfare mediante una piena applicazione del citato principio di sussidiarietà, ridisegnando i confini del settore pubblico, diminuendo la pressione fiscale, abbassando il costo dell'energia, ponendo la scuola e la giustizia al servizio dei cittadini e delle imprese, snellendo la burocrazia, favorendo gli investimenti privati, lottando contro la corruzione e la criminalità organizzata.
Ma il ceto medio deve riposizionarsi per cogliere ogni occasione favorevole, indirizzare i giovani a una formazione scolastica tecnico-scientifica, meglio spendibile sul mercato del lavoro, accettare un nuovo welfare che non dia tutto a tutti ma si occupi di chi non ce la fa da solo, comprendere i vantaggi di una competizione regolata che consenta di premiare il merito e di ripristinare una sufficiente mobilità sociale, pretendendo una contestuale riduzione della pressione fiscale.
Occorre insomma respingere l'illusione che possano esistere pasti gratis e resistere alla tentazione di sfasciare tutto per prendere pericolose scorciatoie . Il ceto medio italiano, denunciando l'inadeguatezza delle èlite, deve assumersi la responsabilità di sé e del proprio paese. Ma ha spalle sufficientemente robuste?