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venerdì 21 dicembre 2012

Italia e Germania.




Sul Corriere della Sera del 19 dicembre 2012 una lunga intervista al ministro degli esteri tedesco Westerwelle, realizzata da Paolo Lepri.

"Sono assolutamente sicuro che la grande maggioranza degli italiani sa che la Germania non è responsabile dei problemi dell'Italia e del suo elevato debito pubblico. Noi tedeschi non vogliamo diventare il capro espiatorio per le omissioni dei responsabili italiani del passato. Non vogliamo nemmeno che l'Europa diventi il parafulmine per una campagna elettorale populista".

"Chi vuole ridurre la disoccupazione, e in particolar modo la disoccupazione giovanile, deve difendere la causa delle riforme e di una maggiore competitività. Oggi anche una politica sociale responsabile è una politica di riforme, capace di creare opportunità per tutti, e in particolare per i giovani. Con nuovi debiti, con nuove instabilità, non si creano posti di lavoro".

"Noi abbiamo preso la dura e difficile strada delle riforme. Abbiamo investito nell'educazione, nella scienza e nella ricerca, abbiamo accresciuto la nostra competitività, abbiamo ridotto il debito pubblico e siamo oggi al livello migliore da quando è stata realizzata l'Unità tedesca. Il nostro tasso di disoccupazione giovanile è il più basso di tutta Europa".

"La nostra politica per sconfiggere la crisi del debito non si limita infatti ai soli risparmi, ma poggia su tre pilastri: disciplina di bilancio con meno debiti, solidarietà - poiché gli europei sono uniti da un destino comune - e crescita. Ma per noi è chiaro che la crescita non si realizza con nuovi debiti, bensì con maggiore competitività".

"Potremo affermare il nostro modello di vita europeo di fronte alle nuove centrali del potere, come la Cina, soltanto se ci uniamo strettamente. In Europa si parla spesso di differenze di mentalità tra Est e Ovest, tra Nord e Sud. Soltanto quando siamo lontani - in Cina, India, Africa, America Latina - ci rendiamo conto del fatto che siamo una unica comunità culturale. C'è una "way of life" europea. Da noi non conta solo la collettività, ma l'individuo. La dignità umana è al centro della politica europea".

 I governanti tedeschi indicano sempre alla politica nell'epoca della globalizzazione i medesimi obiettivi, in larga misura interdipendenti: un welfare sostenibile, disciplina di bilancio con meno debiti, crescita conseguita con maggiore competitività e innovazione produttiva, integrazione europea, affermazione del modello di vita europeo nella competizione globale tra sistemi. Si tratta di una visione notevole per lucidità e lungimiranza, che non si può non condividere. Ernesto Galli della Loggia ha scritto:

"Pur con molti tratti particolari, l'Italia che nel 1914 si affacciava alla modernità era tutto sommato - nel suo impianto civile, amministrativo e di governo, nei suoi ideali - un paese molto simile agli altri della parte d'Europa che era la sua. Anche perchè, essendo arrivato all'Unità quasi spoglio di tradizioni e di un passato statale significativo, esso aveva dovuto prendere a prestito da altri paesi e trapiantarli in casa propria istituzioni, leggi, modelli organizzativi".
"... avevamo "copiato" da Francia e Germania soprattutto: e ci era riuscito senza troppe difficoltà".
"Dopo il primo conflitto mondiale, invece, inizia un'esperienza novecentesca che sempre più farà dell'Italia un paese con caratteristiche proprie e distinte" (Tre giorni nella storia d' Italia, 2010, pp. 8-11).

L'Italia giolittiana assunse come modelli di inclusione politico-sociale Francia e Inghilterra: il grande statista piemontese cercò di attuare la democrazia liberale italiana e di estenderne i diritti e le opportunità a settori sempre più ampi della popolazione. Ma il modello di sviluppo economico di riferimento fu la Germania. Giolitti avversò il suo militarismo, non amò la sua filosofia, ma conservò una profonda ammirazione per l'efficienza della sua pubblica amministrazione, la laboriosità del suo popolo e la capacità dei suoi imprenditori.
Dopo due sanguinose guerre mondiali il militarismo ed il nazionalismo tedesco sono stati sconfitti, annichiliti. La nuova Germania democratica è consapevole delle responsabilità tedesche e da alcuni decenni propone un modello che, nell'Occidente alla deriva, ha mostrato di rispondere meglio di altri alle sfide poste dalla globalizzazione.
Ancora una volta l'Italia che arranca sulla via della modernizzazione, con un ampio divario di competitività da colmare, ha bisogno di adottare un coraggioso approccio comparativo. In questa prospettiva deve guardare alla Germania, esempio da imitare, non alibi per fallimenti e inadeguatezze inescusabili.





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