Nel 1915 si arruolò vontario. Combattè sul Carso e sul Grappa, entrando poi nel corpo degli arditi. Come molti altri giovani della sua generazione l'esperienza della Grande Guerra lo segnò profondamente, esaltando alcuni tratti della sua personalità. "La guerra è per lui desiderio di misurarsi, combattere e vincere, una volontà di fare che trovi attuazione immediata, tangibile" (Giordano Bruno GUERRI, Introduzione a Giuseppe BOTTAI, Diario 1935 - 1944, 1994, pag. 8).
Dopo la guerra Bottai aderì al Fascismo. "Il combattimento e il comando gli hanno confermato il gusto per l'azione e la capacità del comando, la sua voglia di "fare"... nessuno, fra i grandi gerarchi - tranne, al polo opposto, Starace - subì così fortemente il fascino di Mussolini" (G. B. GUERRI, op. cit., pag. 9). Nel 1921 fu eletto deputato per il Partito Nazionale Fascista. L'anno successivo partecipò alla Marcia su Roma. Fautore della "socializzazione della libertà", della nazionalizzazione delle masse, del partito unico e di una dittatura oligarchica, per le sue doti intellettuali, la sua capacità di lavoro e l'integrità morale rappresentò a lungo un fiore all'occhiello del regime mussoliniano, assumendo l'incarico di ministro delle Corporazioni e poi dell'Educazione nazionale. Le sue riviste Critica Fascista e Primato ospitarono molti giovani intellettuali ed artisti, consentendo l'esercizio di una prudente critica al regime.
Avversò l'alleanza con la Germania e l'entrata dell'Italia nella Seconda guerra mondiale, pur non opponendosi alle "Leggi razziali", da lui applicate come ministro dell'Educazione. Con Grandi e Ciano redasse l'ordine del giorno votato dal Gran Consiglio del Fascismo a seguito del quale Mussolini cadde il 25 luglio 1943.
Scrive Bottai nel suo Diario:
"24 LUGLIO 1943 - Giornata attesa con drammatica commozione. A un bivio. Il nostro dovere ci ha messo a un bivio, tra Paese e Partito, tra Italia e Regime, tra Re e Capo. Tanto duro lavoro per unire, cementare, fondere, fare di due uno nella coscienza una; e, oggi, questo essere a un bivio, e un decidere che separa, dentro, che torce, che dilania. Ma è il dovere" (G. BOTTAI, op. cit., pag. 404).
Dopo la caduta di Mussolini si nascose in un convento fino all'ingresso a Roma degli Alleati. Nel 1944 si arruolò nella Legione straniera francese. Combattè contro i tedeschi in Francia e Germania. Dopo la guerra fu trasferito in Nord Africa. Rientrò in Italia nel 1948. Non riprese la politica attiva ma vagheggiò "un incontro tra sinistra, forze cattoliche e "buoni" conservatori" (G. B. GUERRI, op. cit, pag. 18).
Giuseppe Bottai morì a Roma, colpito dal morbo di Parkinson, nel 1959.
In Italia, dalla sua unificazione, nessun importante movimento politico si è definito conservative, conservatore. E con ragione. Cosa si doveva e si deve conservare? Il paese ha raggiunto tardi e male l'unità, è stato retto per un ventennio dal regime mussoliniano, ha ospitato il più grande e astuto partito comunista occidentale, ha conosciuto una democrazia parlamentare bloccata ed inefficiente fino allo scioglimento dell'Unione Sovietica, è oggi afflitto da una profonda crisi non solo economica ma anche politico-istituzionale e morale. Di cosa dunque possiamo vantarci?
Giuseppe Bottai fu onesto, colto e coraggioso, ben più di molti altri italiani. Ma con i suoi errori e i suoi difetti rappresenta bene un paese che anche con la sua parte migliore non riesce a risolvere i propri problemi e le proprie contraddizioni. Quello che rimane irrisolto è prima di tutto il nostro rapporto con la modernità, mai davvero accolta in profondità, nel modo giusto, con strumenti culturali ed istituzionali adeguati.
L'Italia di oggi, coi suoi vizi strutturali, è chiamata a reggere la globalizzazione, a fronteggiare una competizione globale. Solo riflettendo coraggiosamente sulla propria diversità può migliorare prospettive che paiono inquietanti.