"Ci sono voluti decenni prima che ci accorgessimo che occorreva adeguare l'età di pensionamento all'allungarsi della vita media: nel frattempo la spesa per pensioni è cresciuta dall'8 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) nel 1970 a quasi il 17 per cento oggi.
L'allungamento della vita ha anche prodotto un aumento delle spese per la salute. Un anziano oltre i 75 anni costa al sistema sanitario ordini di grandezza superiori rispetto a persone di mezza età. Risultato, la nostra spesa sanitaria oggi sfiora il 10 per cento del Pil. Insieme, sanità e pensioni costano il 27 per cento, 10 punti più di quanto costavano quando il nostro Stato sociale italiano fu concepito".
"A questo aumento straordinario non abbiamo fatto fronte riducendo altre spese (ad esempio quella per dipendenti pubblici, che era il 10 per cento del Pil 30 anni fa ed è rimasta il 10 oggi), bensì solo con un aumento della pressione fiscale: dal 33 per cento quarant'anni fa al 48 oggi.
È questo uno dei motivi per cui abbiamo smesso di crescere. Avevamo uno Stato calibrato per una popolazione relativamente giovane; poi la vita si è allungata, le spese sono salite, ma lo Stato è rimasto sostanzialmente lo stesso, richiedendo una pressione fiscale di 15 punti più elevata".
"Dobbiamo ripensare più profondamente alla struttura del nostro Stato sociale. Per esempio, non è possibile fornire servizi sanitari gratuiti a tutti senza distinzione di reddito. Che senso ha tassare metà del reddito delle fasce più alte per poi restituire loro servizi gratuiti? Meglio che li paghino e contemporaneamente che le loro aliquote vengano ridotte".
"Insomma, il nostro Stato sociale si è trasformato in una macchina che tassa le classi medio-alte e fornisce servizi non solo ai meno abbienti (com'è giusto che sia) ma anche alle stesse classi a reddito medio-alto. Questo giro di conto, con aliquote alte, scoraggia il lavoro e la produzione".
Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera del 23 settembre 2012 affrontano così una questione decisiva: lo Stato sociale italiano è sostenibile e compatibile con una crescita economica non irrilevante? I numeri davvero spaventano. La spesa pubblica italiana ammonta a circa 800 miliardi di euro, oltre la metà di un PIL che ormai non supera 1.500 miliardi di euro. Se non viene abbattuta, dovendosi raggiungere il pareggio del bilancio la pressione fiscale reale non potrà scendere molto sotto il 50% del PIL.
E' del tutto evidente che la cessione di parte del patrimonio pubblico, con la destinazione del corrispettivo alla riduzione dello stock del debito pubblico, non appare risolutiva. Tale misura non solo è irrealizzabile in breve tempo, ma soprattutto incide sulla spesa corrente diminuendo, forse, il peso del servizio del debito pubblico. Un risparmio certamente insufficiente. Per abbattere la spesa pubblica e quindi abbassare adeguatamente la pressione fiscale bisogna ristrutturare i suoi settori più ampi, che corrispondono appunto al welfare e alla spesa per dipendenti pubblici.
Ridisegnare il welfare italiano nel senso indicato dai professori Alesina e Giavazzi consentirebbe assai probabilmente di ridurre e redistribuire il carico fiscale, in modo da ripristinare una delle necessarie premesse della crescita. Ma si rivelerebbe vantaggioso anche in un' altra fondamentale prospettiva. La scelta diretta dei fornitori di servizi da parte dei fruitori, con un' ampia e variegata offerta pubblica e privata, premiando il merito e la qualità, contribuirebbe significativamente a incrementare l' efficienza degli operatori e la competitività dell' intero sistema paese.
Ci sono ostacoli che si frappongono all' attuazione di questa riforma epocale. Essa collide con la consolidata mentalità statalista, conservatrice e illiberale di una parte rilevante del ceto medio italiano. Bisogna poi menzionare la tradizionale incapacità di far emergere ed accertare i redditi reali. Se non si pone rimedio a questa inadeguatezza il progetto è destinato a provocare resistenze in larga misura condivisibili e a determinare conseguenze inaccettabili.
E' inoltre necessaria un' attenta disciplina pubblica dell' offerta previdenziale ed assicurativa privata. Basti pensare all' assicurazione sanitaria di chi già è affetto da gravi malattie o è portatore di importanti fattori di rischio. In questi casi bisogna rendere sempre possibile l' accesso allo strumento assicurativo privato, con la previsione di un premio sostenibile.
Si deve infine accennare a un' altra questione fondamentale. Occorre fare in modo che la tutela pubblica di chi per reddito ottiene servizi gratuiti si estenda alla dignità che accomuna tutti i cittadini secondo la Costituzione. Si deve costruire uno Stato sociale capace di garantire i diritti costituzionali dei più svantaggiati.