E' tornato di gran moda l'intervento dello stato in economia. Pur non essendo questo mai venuto meno. Perfino il diametro delle uova è regolato. Il mercato è invece sotto tiro. Lo si incolpa ormai di ogni nefandezza. Si dimentica che il mercato mal globalizzato che abbiamo di fronte vede incontrarsi operatori economici soggetti ciascuno a regole ben diverse.
Assistiamo ad una globalizzazione "al ribasso", dove vengono premiati i soggetti che operano in sistemi dove la tutela dell'ambiente e dei diritti politico-sindacali è minore, in grado quindi di esercitare una concorrenza sleale, con effetti distorsivi proprio sul mercato stesso. Mentre le agenzie chiamate a vigilare sul rispetto delle regole si sono rivelate incapaci di operare con efficacia. Erroneamente ci si scaglia contro il mercato in sé. Invece l'attenzione dovrebbe andare ai suoi vizi ed alle sue distorsioni.
E poi la memoria non ci aiuta. Negli anni Settanta del secolo appena terminato, furono proprio le politiche economiche incentrate sulla spesa pubblica e sull'intervento troppo esteso ed indiscriminato dello stato in economia a determinarne la stagnazione accompagnata da altissima inflazione.
Meglio dunque fissare e seguire alcuni buoni principi. Non si pensi che il mercato possa sostituire la grande politica. Non è il suo compito. Ma la politica non uccida la concorrenza. Non elimini il mercato che premia merito ed innovazione. Non riduca il ruolo della responsabilità degli operatori economici. Intervenga in economia per fronteggiare emergenze, distorsioni, povertà. Ma il mercato quando possibile, lo stato solo quando necessario.