Così Stagnaro:
"...Fino a tre o quattro anni fa, infatti, come in tutto il periodo pre-crisi del resto, la parte maggioritaria del debito era detenuta da investitori stranieri; diciamo che il 60 per cento del debito pubblico era in mani estere e il 40 per cento in mani italiane. Ora questo rapporto si è invertito, con il 55 per cento del debito pubblico detenuto da investitori italiani e il 45 per cento da stranieri".
"...tutto l'aumento di stock del debito intercorso in questi anni di crisi è stato essenzialmente acquistato dalle banche italiane, che se ne sono fatte carico per compensare la riduzione del debito prima in mano estera".
"Grazie a questa nuova composizione del debito, un eventuale default del paese sarebbe in un certo senso meno costoso, perché più facilmente mascherabile".
"...se il debito è in mano nostra basterebbe non pagare le famiglie italiane, oppure si potrebbe scongiurare il default con una patrimoniale o elevando la pressione fiscale, lasciando tutto apparentemente invariato da un punto di vista meramente contabile. Peccato però che così non torneremmo più a crescere".
"Si tratta di aggredire lo stock di debito alla sua base, alimentando al tempo stesso la crescita del Pil attraverso liberalizzazione dei servizi pubblici e privatizzazioni su larga scala. L'Istituto Bruno Leoni ha stimato che così in 5 anni si potrebbero tagliare almeno 150 miliardi di euro di debito pubblico. Poi si dovrebbero abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese, in particolare l'Irap e l'Irpef, per rilanciare la crescita, tagliare la spesa pubblica e riformare la pubblica amministrazione a partire dalla giustizia".
Tutto condivisibile, con alcune dolorose considerazioni, sia pure senza pretesa di precisione assoluta. La spesa pubblica corrente italiana ammonta oggi a circa 800 miliardi, più della metà del PIL. Il servizio del debito pubblico (interessi) grava su tale spesa per 80/100 miliardi. Lo stock del debito ammonta a circa 2.000 miliardi. Ridurlo di 150 miliardi, meno del 10%, comporta una riduzione della spesa per interessi probabilmente inferiore al 10% = meno di 10 miliardi su una spesa corrente di 800 miliardi. Anche calcolando un conseguente minore tasso applicato, è del tutto evidente che con riduzioni della spesa per il servizio del debito di questo ammontare non è possibile diminuire adeguatamente la pressione fiscale. Servono infatti tagli alla spesa pubblica corrente di almeno 200/250 miliardi.
Come Stagnaro ha auspicato "si dovrebbero abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese, in particolare l'Irap e l'Irpef, per rilanciare la crescita, tagliare la spesa pubblica e riformare la pubblica amministrazione a partire dalla giustizia". Ma la spesa pubblica corrente è in maggioranza da riferire a pensioni, assistenza sociale, sanità e istruzione. Senza riforme strutturali in questi settori delicatissimi, decisivi per il consenso elettorale, non si potrà ridurre a sufficienza la pressione fiscale. Stagnaro ha proposto liberalizzazioni dei servizi pubblici e privatizzazioni su larga scala, utili per la crescita del PIL e per qualche riduzione della spesa pubblica. Una realistica via d'uscita resta però da definire. I suggestivi progetti di taglio dello stock del debito non bastano certo a metterci sulla strada giusta.