Su La Stampa di ieri il professor Mario Deaglio esamina ampiamente la crisi economica internazionale, imperniando il discorso sulle alternative tagli/stimoli e stagnazione/crescita.
Scrive Deaglio:
"Il sofferto accordo sul debito greco, raggiunto giovedì sera a Bruxelles dopo una trattativa difficile ed estenuante, è ricchissimo di codicilli e molto povero di idee, un accordo senza vincitori, dal quale tutti escono un po’ sconfitti".
"I mercati internazionali rimangono scettici e l’opinione pubblica nervosa.
L’accordo avviene all’insegna di una ampia politica di tagli, che si tradurranno in un freno aggiuntivo all’economia, proprio mentre l’Europa ha bisogno di stimoli alla crescita."
Poi, trattando la situazione statunitense, il professore bacchetta duramente "la maggioranza repubblicana della Camera dei Rappresentanti che si rifiuta di innalzare il tetto del debito pubblico (che negli Stati Uniti è stabilito per legge) senza ottenere in cambio imponenti tagli alla spesa pubblica".
Mentre in realtà i repubblicani intendono così denunciare "l’evidente fallimento della politica di stimolo monetario che fino a fine giugno per nove mesi ha "iniettato" nell’economia 2,5 miliardi di dollari al giorno. Con il solo risultato di far salire il prezzo delle materie prime, mentre la disoccupazione torna ad aumentare".
Restano fuori dall'analisi dell'economista torinese alcune questioni rilevantissime. Le economie occidentali, gravate di imponenti debiti pubblici, possono permettersi di non contenere con fermezza la spesa pubblica?
Ma soprattutto lo strumento fiscale e gli investimenti pubblici rappresentano davvero l'arma vincente per superare la crisi e conferire una nuova solida vitalità alle economie occidentali?
Rimane insomma senza una valida risposta la seguente domanda fondamentale. In un contesto "globalizzato" spesso gli operatori economici preferiscono realizzare stabilimenti industriali o centri di elaborazione dati e ormai anche di ricerca e sviluppo in Cina, India, Brasile ecc. ecc. Come rendere di nuovo conveniente investire negli USA o in Europa occidentale, "localizzando" nei loro territori, creando realmente nuova ricchezza, senza esaurire quella prodotta in passato?
I lettori aspettano da Deaglio e dai suoi colleghi parole chiare e coraggiose, analisi economiche, non espressioni riconducibili a preferenze politiche personali.