"... il liberalismo....., per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi".
"...all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà.
.... il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento".
Si leggono critiche sovente dal tono ironico alle parole di Ratzinger. Ovviamente tutte le critiche sono legittime, anzi benvenute. Ma risultano incomprensibili se pretendono di muovere da posizioni liberali.
Perchè qui Benedetto XVI riprende linee di pensiero che appartengono certamente al miglior pensiero liberale. Basti pensare al Popper degli Addenda alla Società aperta, per quanto riguarda il rifiuto del cosiddetto relativismo etico. O al Tocqueville della Democrazia in America, sulla dipendenza del liberalismo dal cristianesimo.
Va infatti a mio parere denunciato l'errore di fondo che impedisce a molti di lavorare per una società libera vitale, durevole, in espansione. Ci affatichiamo a disegnare i tratti della società aperta ed umana che vorremmo. Però non comprendiamo che la possono rendere durevolmente vitale solo individui dotati di una visione dell'uomo, della vita e dei propri doveri con essa compatibile, ma soprattutto sentita come assoluta, non negoziabile, irrinunciabile.
Tale visione non può consistere in una morale puramente umana, necessariamente relativa, essendo i valori inderivabili dai fatti, le prescrizioni dalle descrizioni (legge di Hume). Nè tale visione assolutamente non negoziabile può avere origine nella ricerca scientifica, che dà esiti sempre congetturali, ipotetici. Può e deve invece fornirla il cristianesimo, religione di libertà e fraternità.

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giovedì 27 novembre 2008
lunedì 24 novembre 2008
Dialogo tra religioni o tra culture? Il coraggio della fede.
Sul dialogo tra le religioni ed il rapporto tra cristianesimo e liberalismo è stata pubblicata una lucida lettera scritta da Benedetto XVI al prof. Marcello Pera, ex presidente del Senato.
La riporto di seguito, copiandola dal sito del Corriere della Sera.
"Il dialogo tra le religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra parentesi
Caro Senatore Pera, in questi giorni ho potuto leggere il Suo nuovo libro Perché dobbiamo dirci cristiani. Era per me una lettura affascinante. Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l’essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà.
Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento. Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale.
Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale.
Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari.
Del contributo circa il significato di tutto questo per la crisi contemporanea dell’etica trovo importante ciò che Ella dice sulla parabola dell’etica liberale. Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismoma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi. Con la sua sobria razionalità, la sua ampia informazione filosofica e la forza della sua argomentazione, il presente libro è, a mio parere, di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo. Spero che trovi larga accoglienza e aiuti a dare al dibattito politico, al di là dei problemi urgenti, quella profondità senza la quale non possiamo superare la sfida del nostro momento storico. Grato per la Sua opera Le auguro di cuore la benedizione di Dio.
Benedetto XVI"
La riporto di seguito, copiandola dal sito del Corriere della Sera.
"Il dialogo tra le religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra parentesi
Caro Senatore Pera, in questi giorni ho potuto leggere il Suo nuovo libro Perché dobbiamo dirci cristiani. Era per me una lettura affascinante. Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l’essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà.
Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento. Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale.
Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale.
Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari.
Del contributo circa il significato di tutto questo per la crisi contemporanea dell’etica trovo importante ciò che Ella dice sulla parabola dell’etica liberale. Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismoma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi. Con la sua sobria razionalità, la sua ampia informazione filosofica e la forza della sua argomentazione, il presente libro è, a mio parere, di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo. Spero che trovi larga accoglienza e aiuti a dare al dibattito politico, al di là dei problemi urgenti, quella profondità senza la quale non possiamo superare la sfida del nostro momento storico. Grato per la Sua opera Le auguro di cuore la benedizione di Dio.
Benedetto XVI"
domenica 16 novembre 2008
Moralità politica. Un caso italiano.
"Il veto di Sturzo al ritorno di Giolitti fu in effetti il più grande servizio che il prete di Caltagirone avrebbe potuto rendere al movimento fascista per cui, non a torto, Sturzo è stato paradossalmente definito da taluni come uno dei padri della marcia su Roma"
Dino GRANDI, Il mio paese. Ricordi Autobiografici, ed.1985, pag. 157
Luigi Sturzo, padre nobile del cattolicesimo democratico italiano, qui commette un grave passo falso, mosso da un un'errata percezione della moralità politica e delle circostanze. Impedendo il ritorno al governo di Giovanni Giolitti, grande statista liberale, spregiudicato ma abile ed esperto, apre involontariamente la strada alla dittatura fascista.
Dove non si risolvono i problemi non c'è moralità politica.
Dino GRANDI, Il mio paese. Ricordi Autobiografici, ed.1985, pag. 157
Luigi Sturzo, padre nobile del cattolicesimo democratico italiano, qui commette un grave passo falso, mosso da un un'errata percezione della moralità politica e delle circostanze. Impedendo il ritorno al governo di Giovanni Giolitti, grande statista liberale, spregiudicato ma abile ed esperto, apre involontariamente la strada alla dittatura fascista.
Dove non si risolvono i problemi non c'è moralità politica.
mercoledì 12 novembre 2008
Moammed Sceab. L'identità e la memoria.
Giuseppe Ungaretti ci coinvolge in un dolore che sembra di oggi.
Da "L'Allegria".
IN MEMORIA.
Locvizza il 30 settembre 1916.
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
Da "L'Allegria".
IN MEMORIA.
Locvizza il 30 settembre 1916.
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
martedì 11 novembre 2008
Sul mercato e lo stato. Il mercato dove possibile, lo stato dove necessario.
E' tornato di gran moda l'intervento dello stato in economia. Pur non essendo questo mai venuto meno. Perfino il diametro delle uova è regolato. Il mercato è invece sotto tiro. Lo si incolpa ormai di ogni nefandezza. Si dimentica che il mercato mal globalizzato che abbiamo di fronte vede incontrarsi operatori economici soggetti ciascuno a regole ben diverse.
Assistiamo ad una globalizzazione "al ribasso", dove vengono premiati i soggetti che operano in sistemi dove la tutela dell'ambiente e dei diritti politico-sindacali è minore, in grado quindi di esercitare una concorrenza sleale, con effetti distorsivi proprio sul mercato stesso. Mentre le agenzie chiamate a vigilare sul rispetto delle regole si sono rivelate incapaci di operare con efficacia. Erroneamente ci si scaglia contro il mercato in sé. Invece l'attenzione dovrebbe andare ai suoi vizi ed alle sue distorsioni.
E poi la memoria non ci aiuta. Negli anni Settanta del secolo appena terminato, furono proprio le politiche economiche incentrate sulla spesa pubblica e sull'intervento troppo esteso ed indiscriminato dello stato in economia a determinarne la stagnazione accompagnata da altissima inflazione.
Meglio dunque fissare e seguire alcuni buoni principi. Non si pensi che il mercato possa sostituire la grande politica. Non è il suo compito. Ma la politica non uccida la concorrenza. Non elimini il mercato che premia merito ed innovazione. Non riduca il ruolo della responsabilità degli operatori economici. Intervenga in economia per fronteggiare emergenze, distorsioni, povertà. Ma il mercato quando possibile, lo stato solo quando necessario.
Assistiamo ad una globalizzazione "al ribasso", dove vengono premiati i soggetti che operano in sistemi dove la tutela dell'ambiente e dei diritti politico-sindacali è minore, in grado quindi di esercitare una concorrenza sleale, con effetti distorsivi proprio sul mercato stesso. Mentre le agenzie chiamate a vigilare sul rispetto delle regole si sono rivelate incapaci di operare con efficacia. Erroneamente ci si scaglia contro il mercato in sé. Invece l'attenzione dovrebbe andare ai suoi vizi ed alle sue distorsioni.
E poi la memoria non ci aiuta. Negli anni Settanta del secolo appena terminato, furono proprio le politiche economiche incentrate sulla spesa pubblica e sull'intervento troppo esteso ed indiscriminato dello stato in economia a determinarne la stagnazione accompagnata da altissima inflazione.
Meglio dunque fissare e seguire alcuni buoni principi. Non si pensi che il mercato possa sostituire la grande politica. Non è il suo compito. Ma la politica non uccida la concorrenza. Non elimini il mercato che premia merito ed innovazione. Non riduca il ruolo della responsabilità degli operatori economici. Intervenga in economia per fronteggiare emergenze, distorsioni, povertà. Ma il mercato quando possibile, lo stato solo quando necessario.
mercoledì 5 novembre 2008
La retorica dei sogni.
La retorica abita da sempre i luoghi della politica e di per sè non ne esclude la grandezza. Ma una certa retorica, quella dei sogni e delle speranze, è davvero pericolosa. Prima avvicina, sprona, supera diffidenze, talvolta mobilita, converte. Poi la realtà si mostra con tutte le sue durezze e complessità. Appare scostante, refrattaria.
Allora quella retorica o il suo ricordo sfociano nella disillusione, nel qualunquismo, nel rifiuto e nel disprezzo della politica stessa. Un paese ha bisogno di un elettorato saggio, che chieda ed accetti sempre meno sogni e speranze, ma pretenda sempre più la verità.
Allora quella retorica o il suo ricordo sfociano nella disillusione, nel qualunquismo, nel rifiuto e nel disprezzo della politica stessa. Un paese ha bisogno di un elettorato saggio, che chieda ed accetti sempre meno sogni e speranze, ma pretenda sempre più la verità.
martedì 28 ottobre 2008
La grande svolta.
E' da poco uscito in libreria l'ultimo lavoro di Paul Veyne, insigne studioso francese della Roma antica. In Quando l'Europa è diventata cristiana (312-394) Veyne racconta con una scrittura brillante e coinvolgente il passaggio dal paganesimo al cristianesimo dell'Impero Romano. La figura di Costantino, imperatore insieme visionario e pragmatico, megalomane e prudente, viene disegnata con la chiarezza e l'incisività che contraddistinguono solo i grandi della storiografia.
Scrive Veyne:
"Ho scritto questo libro contro me stesso. Sono totalmente miscredente e fra tutte le religioni quella che sopporto meno è proprio il cristianesimo. Ma da storico ho dovuto sforzarmi di non prendere partito né pro né contro. La cosa più difficile è stato capire cosa si ha nel cuore e nell'animo quando si è cristiani".
Un libro destinato quasi certamente a diventare un classico della storiografia. Da non perdere.
Scrive Veyne:
"Ho scritto questo libro contro me stesso. Sono totalmente miscredente e fra tutte le religioni quella che sopporto meno è proprio il cristianesimo. Ma da storico ho dovuto sforzarmi di non prendere partito né pro né contro. La cosa più difficile è stato capire cosa si ha nel cuore e nell'animo quando si è cristiani".
Un libro destinato quasi certamente a diventare un classico della storiografia. Da non perdere.
sabato 25 ottobre 2008
Wall street.
Oliver Stone girò il suo "Wall Street" nel lontano 1987 anticipando di pochi mesi,tra l'altro, un'altra grave crisi dei mercati finanziari. Già nel 1987 dunque i pericoli derivanti dall'attività di operatori finanziari senza scrupoli erano noti perfino al grande pubblico.
Non solo le successive presidenze di Bill Clinton e dei due Bush , ma anche due decenni di vertici internazionali, dibattiti tra grandi economisti, attività di banche centrali ed agenzie di controllo e rating, non sono riusciti ad evitare una crisi economico-finanziaria dalle conseguenze ben difficili da controllare. Perchè? Perchè gli uomini sono avidi e miopemente rapaci? Forse. Anche.
Ma soprattutto, semplicemente, perchè gli uomini, tutti, sbagliano.
Non solo le successive presidenze di Bill Clinton e dei due Bush , ma anche due decenni di vertici internazionali, dibattiti tra grandi economisti, attività di banche centrali ed agenzie di controllo e rating, non sono riusciti ad evitare una crisi economico-finanziaria dalle conseguenze ben difficili da controllare. Perchè? Perchè gli uomini sono avidi e miopemente rapaci? Forse. Anche.
Ma soprattutto, semplicemente, perchè gli uomini, tutti, sbagliano.
domenica 19 ottobre 2008
Eisenhower. Un soldato per la pace.
Siamo alle ultime battute della campagna elettorale USA. In questa occasione ricordo Dwight D. Eisenhower. Generale comandante delle truppe alleate occidentali in Europa durante la Seconda guerra mondiale, guidò il vittorioso sbarco in Normandia al quale seguì la sconfitta della Germania nazista.
Eletto presidente degli Stati Uniti per il partito repubblicano nel 1952, fu successivamente rieletto e concluse la sua presidenza nel 1961. Durante la sua presidenza cercò con tenacia di costruire la pace tra le nazioni. Il suo Discorso d'addio alla nazione rimarrà nella storia come una delle più significative e nobili espressioni della democrazia statunitense.
"Un elemento vitale nel mantenere la pace sono le nostre istituzioni militari…. La congiunzione tra un immenso corpo di istituzioni militari e una enorme industria degli armamenti è nuova nell’esperienza americana… ma dobbiamo guardarci dalle influenze palesi e occulte esercitate dal complesso militar-industriale. Il potenziale per lo sviluppo di poteri che oltrepassano il proprio ruolo e le proprie prerogative esiste ed esisterà in futuro. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà o il processo democratico…"
Eletto presidente degli Stati Uniti per il partito repubblicano nel 1952, fu successivamente rieletto e concluse la sua presidenza nel 1961. Durante la sua presidenza cercò con tenacia di costruire la pace tra le nazioni. Il suo Discorso d'addio alla nazione rimarrà nella storia come una delle più significative e nobili espressioni della democrazia statunitense.
"Un elemento vitale nel mantenere la pace sono le nostre istituzioni militari…. La congiunzione tra un immenso corpo di istituzioni militari e una enorme industria degli armamenti è nuova nell’esperienza americana… ma dobbiamo guardarci dalle influenze palesi e occulte esercitate dal complesso militar-industriale. Il potenziale per lo sviluppo di poteri che oltrepassano il proprio ruolo e le proprie prerogative esiste ed esisterà in futuro. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà o il processo democratico…"
venerdì 17 ottobre 2008
Sul lavoro. "Chi non vuol lavorare neppure mangi".
Il lavoro dev'essere (o tornare ad essere) sentito dagli individui come un valore in sé e come necessario strumento per il miglioramento delle condizioni proprie, della propria famiglia e della società intera. Ciò può avvenire soltanto se al volontario rifiuto dell'impegno lavorativo seguono svantaggi. Ma se il merito e l'impegno non sono premiati, se clientelismo e nepotismo dilagano, l'apatia o il cinico disprezzo di tanti giovani trovano il migliore degli alibi.
La regola dettata da san Paolo ai cristiani di Tessalonica, "chi non vuol lavorare neppure mangi" (Tessalonicesi 2 - 3,10), richiama alla indispensabile responsabilità individuale.
Bisogna però creare condizioni tali da consentire che questa responsabilità individuale sia percepita come giusta modalità del vivere in società.
La regola dettata da san Paolo ai cristiani di Tessalonica, "chi non vuol lavorare neppure mangi" (Tessalonicesi 2 - 3,10), richiama alla indispensabile responsabilità individuale.
Bisogna però creare condizioni tali da consentire che questa responsabilità individuale sia percepita come giusta modalità del vivere in società.
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