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giovedì 9 luglio 2009

Tanto peggio tanto meglio.

"Tanto peggio tanto meglio".

Questo atteggiamento rivela una profonda corruzione della mente e del cuore.

martedì 30 giugno 2009

I diritti naturali tra fede e ragione.






Cos'è bene e cos'è male? Schiere di pensatori più o meno illustri e profondi hanno dedicato la vita, una generazione dopo l'altra, a questa domanda. Oggi ci sembra una questione astratta e lontana. Roba per gente strana, con tanto tempo da perdere, che vive fuori dal mondo. In realtà, però, ogni volta che nella nostra vita dobbiamo fare una scelta, anche piccolissima, di solito del tutto inconsapevolmente rispondiamo a questa grande domanda, semplicemente declinandola nella concretezza della nostra modesta quotidianità.
Insomma anche di fronte ad un barattolo di nutella siamo distrattamente chiamati a rispondere a domande fondamentali. Come dobbiamo comportarci? Che decisione dobbiamo prendere? Ma se consideriamo la faccenda da un punto di vista più generale, anche sotto il profilo politico e filosofico, la questione importante è: per quali motivi dovremmo decidere in un senso piuttosto che in un altro, tenere un certo comportamento invece di un altro? E soprattutto perchè prendere decisioni difficili, eventualmente stringendo i denti di fronte a difficoltà?
Lo stesso favore per la libertà, la tolleranza, la società aperta è una scelta che possiamo essere chiamati a difendere in modo fermo, duro, faticoso, doloroso. Se infatti tolleriamo gli intolleranti e lasciamo libero di agire chi vuole eliminare la libertà, tolleranza e libertà verranno meno.
Esiste insomma un criterio assoluto per stabilire quale è la cosa giusta? In altre parole è possibile trovare un fondamento assoluto ad un principio morale, ad una regola di condotta? I cosiddetti "diritti naturali" sono un importante tentativo di risposta a questo bisogno. Basti pensare che di diritti naturali parlarono proprio gli autori della Costituzione americana e di quelle della Rivoluzione francese. Perchè dobbiamo assolutamente tenere una certa condotta? Perchè dobbiamo considerare non negoziabile un certo principio? Perchè è secondo natura, rispondono. Perchè è la natura stessa che li impone, li prescrive.
Ma almeno da Hume in poi dovrebbe essere chiaro che i "diritti naturali" sono il risultato di un errore logico. Quando descriviamo la natura non possiamo ricavare direttamente prescrizioni dalle descrizioni. Quello da ciò che è a ciò che dovrebbe essere è un salto diretto del tutto ingiustificato logicamente. Per questo la scienza, anche medica, in quanto tale non può dettar legge in ambito morale. Una questione etica non può essere presentata in termini di verità. Come ha scritto brillantemente il prof. Dario Antiseri, sono naturali tanto l'odio quanto l'amore. Sta a noi scegliere.
Dunque i "diritti naturali" non reggono ad una critica serrata. Non sono una soluzione indipendente. Ma il problema di fondo rimane. Una società aperta, tollerante, libera e democratica ha bisogno di cittadini che ritengano assoluti, non negoziabili, determinati valori. Tocqueville, il famoso autore della Democrazia in America, cattolico dalla tiepida fede, considerava la sopravvivenza della democrazia dipendente da quella del Cristianesimo. Se guardiamo alla successiva storia degli Stati Uniti e del mondo intero possiamo davvero dargli torto?

venerdì 26 giugno 2009

Gli intellettuali e le rivoluzioni. Un amore non corrisposto.

Molti intellettuali sono attratti dalle rivoluzioni ma quasi tutti sbagliano nel giudicarle. Dalle cattedre, dai libri, dalla più autorevole stampa periodica, quanto entusiasmo e quanta apologia su movimenti e leader che poi non hanno corrisposto alle attese per diritti, libertà e benessere! Si tratta di un lungo elenco. Dalla rivoluzione d'Ottobre a quella iraniana khomeinista, dalla rivoluzione castrista cubana alla rivoluzione culturale cinese.
Perchè? Spesso hanno prevalso concezioni della storia e dell'uomo davvero sbagliate. Si è pensato che la storia proceda secondo leggi necessarie, tanto da poter prevedere il futuro (storicismo). Che progetti di rinnovamento globale, di vera e propria palingenesi sociale, abbiano serie possibilità di riuscita (utopismo). Che leader carismatici abbiano il potere di fare la storia secondo i loro piani. Che a idee come quelle di popolo, nazione o classe corrispondano entità reali distinte dalla somma dei loro componenti e capaci di agire in quanto tali nella storia stessa.
Però non pochi intellettuali, e tanti politici che li accolgono a corte, aggiungono o sostituiscono all'errore il cinico desiderio di acquistare facili consensi. Ma, si badi, i consensi ottenuti spacciando illusioni, miti e leggende prima o poi si restituiscono agli avversari con salati interessi.

domenica 14 giugno 2009

Palestina. I nodi della storia e il pettine di Obama.

L'odierno discorso del capo del governo israeliano, mentre sembra accogliere i principi dettati da Obama per la composizione della questione palestinese, in realtà pone ancora una volta drammaticamente in evidenza l'inadeguatezza dell' attuale amministrazione USA.
I nodi della storia non si lasciano districare dal retorico pettine del neopresidente americano. Il leader israeliano accetta il principio dei due stati israeliano e palestinese, ma lo declina in termini inaccettabili per tutte le fazioni palestinesi, anche le più moderate. 
Infatti l'amministrazione israeliana pretende da un lato il riconoscimento del diritto ad esistere di Israele come stato ebraico. Dall'altro la smilitarizzazione completa dello stato palestinese, garantita internazionalmente. Si tratterebbe di un vero, durevole e sostenibile riconoscimento dello stato di Israele così com'è, tranne che per il territorio controllato, una parte del quale verrebbe scambiata con una pace definitiva e garantita. Ma proprio questo riconoscimento vero e definitivo nessun dirigente palestinese, neppure il più moderato, può accettare.
Generazioni di bambini palestinesi sono state cresciute nell'odio per gli ebrei ed abituate a considerare legittimo ed irrinunciabile il proposito del rientro in Israele di tutti i profughi. Inoltre nessun musulmano, anche dalla tiepida fede, può accettare sinceramente e definitivamente che una terra musulmana sia lasciata alla sovranità degli infedeli. Dunque tutti i dirigenti palestinesi, nessuno escluso, sia pure con formule ed atti diversi, rifiuteranno le richieste israeliane sul carattere ebraico dello stato israeliano e sulla completa smilitarizzazione dello stato palestinese. Proprio perchè accettandole rinunzierebbero definitivamente al progetto, per loro irrinunciabile, di riprendere la lotta per l'estinzione dello stato ebraico quando i rapporti di forza, anche solo per ragioni demografiche, risultassero diversi e più favorevoli.
Quasi mai basta la retorica per cambiare il corso della storia. Costituire lo stato di Israele sessanta anni fa è stato un errore. Un errore determinato dall'Olocausto degli Ebrei durante la Seconda guerra mondiale, che ha trasformato l'accoglimento dell'assurda pretesa di un nazionalismo di matrice religiosa in un risarcimento dovuto. Ma quel risarcimento ha scatenato dinamiche tragiche e difficilmente controllabili.
Ora il male minore è rappresentato dalla garanzia dell'esistenza dello stato ebraico, in quanto sola democrazia genuina dell'area mediorientale e solo affidabile alleato delle democrazie occidentali. Pare inoltre verosimile che tale garanzia, qualora la crisi possa rimanere circoscritta nei limiti spaziali attuali, rappresenti la misura più idonea a contenere quantitativamente sofferenze e violenza. Questa misura si può realizzare purtroppo soltanto imponendo oggi come domani ai Palestinesi di abbandonare i loro obiettivi più sacri e sentiti. I fervorini di Obama certamente non basteranno. Solo il realismo più duro forse eviterà che scorra troppo sangue.

domenica 7 giugno 2009

Blog. La quantità non basta.

Sono ormai molti milioni i blog che affollano la rete. L'esplosione del fenomeno dei blogger mi pare senz'altro da valutare positivamente. C'è un diffuso e sincero desiderio di migliorare in questo modo noi stessi e la società in cui viviamo. Ma francamente vedo da parte di molti un approccio sbagliato a questo strumento rivoluzionario.
Quando ci accingiamo a pubblicare qualcosa dovremmo sapere che nella quasi totalità dei casi ciò è già stato detto prima e meglio. Ma soprattutto è stato già discusso e criticato a fondo con argomenti di grande valore. Dovremmo essere ben consapevoli che partecipare a lunghe catene di sant'Antonio, intessute di invettive e di insulti, che trasmettono spesso soltanto leggende metropolitane e bufale grossolane, non significa fare informazione.
Dovrebbe essere ben chiaro che acquisire e valutare informazioni di prima mano è molto difficile. 
Non c'è il vuoto dietro di noi. Ci sono generazioni di uomini intelligenti e sensibili quanto noi, che si sono occupati di problemi spesso simili a quelli che oggi ci assillano. Riflettere sulle loro domande e sulle loro risposte ci consentirebbe di fare migliori domande e di dare migliori risposte.
Vengono meno spesso un approccio veramente critico ed autocritico, un contatto vivace con il diverso, l'accettazione di una costruttiva competizione delle idee. Manca insomma la comprensione della vera natura del progresso intellettuale e civile. Si tratta di un'impresa collettiva che ha per componente essenziale il contatto critico non solo fra gli uomini di oggi ma anche tra gli uomini di oggi e quelli di ieri.
La storia fa davvero salti. Realmente emerge il nuovo. Ma questo non ci autorizza ad evitare il prezioso confronto critico con ciò che nuovo non è. E che spesso purtroppo non conosciamo. E' comprensibile e perfino utile che difendiamo a fondo le nostre idee. Ma evitare il contatto con opinioni che non condividiamo non ci aiuta e danneggia tutti.

mercoledì 27 maggio 2009

L' insostenibile fascino del dialogo. La politica estera di Obama.

Gli USA, colpiti duramente dalla crisi economica, fuori dei loro confini devono fronteggiare situazioni esplosive. Purtroppo però le prime mosse della nuova amministrazione possono rendere ancora più incontrollabili e pericolose crisi già di difficile soluzione. Il territorio dell'Iraq è in larga misura desertico e pianeggiante. Non consentendo l'infiltrazione dall'esterno di consistenti forze avversarie organizzate, la guerra intrapresa dagli Usa ha potuto avere un esito per essi sostanzialmente favorevole. Proprio per la natura del suo territorio l'Iraq non poteva essere per gli americani un nuovo Vietnam.
In Afghanistan invece gli USA non possono vincere una guerra circoscritta. Perchè il tentativo di prevalere in Afghanistan determina l'estensione dei combattimenti al Pakistan, popoloso paese islamico dotato di armi nucleari ed il cui governo è un fondamentale alleato. Obama può o abbandonare l'Afghanistan ai talebani presentando la resa come una vittoria della diplomazia o chiedere al governo pakistano di combattere i fondamentalisti islamici nel proprio paese. Su richiesta dello stesso Obama il nuovo governo pakistano ha iniziato operazioni militari su larga scala contro i fondamentalisti ed i talebani usciti dall'Afghanistan. Ora almeno un milione di profughi è in fuga dalle zone di guerra e la guerra civile rischia di divampare in tutto il Pakistan.
Così in Medio Oriente Obama ha cercato il dialogo con l'Iran. Ottenendo il risultato di incrementare le paure e il senso di insicurezza di Israele. Ha in questo modo reso più difficile la composizione della crisi palestinese, mentre il governo israeliano potrebbe essere rafforzato nella sua decisione di distruggere le installazioni atomiche iraniane. Dunque un esordio, quello del presidente americano in politica estera, che ha purtroppo buone possibilità di aggravare le crisi atto.
Date le attuali circostanze, che egli non può modificare se non in minima parte, nelle questioni più spinose gli spazi di mediazione sono quasi inesistenti. E la minaccia dell'uso della forza da parte di questa amministrazione USA ha perso pressochè ogni credibilità. Con il risultato paradossale di accrescere il rischio di guerra invece che ridurlo.

sabato 23 maggio 2009

La Chiesa e i divorziati risposati.

E' molto discusso l'atteggiamento della Chiesa cattolica verso i divorziati risposati. Mentre nelle altre chiese cristiane si tende a riammetterli nella comunione dei fedeli, in quella cattolica i sacerdoti generalmente negano la possibilità di ricevere l'Eucarestia. Certo si tratta di casi di fatto diversissimi tra loro. Ma nell'opinione comune la Chiesa sembra così non osservare quel dovere di vivere secondo carità che essa stessa presenta come fondamentale. A ben guardare però la grande maggioranza dei matrimoni in crisi va incontro al fallimento proprio perchè tra i coniugi viene meno lo spirito di carità. Il severo atteggiamento della Chiesa in realtà vale a richiamare i coniugi cristiani al dovere di praticare reciprocamente la carità stessa dentro al matrimonio. Considerata da questa prospettiva la posizione della Chiesa cattolica non sembra incoerente. E forse anche chi chiede, non senza buone ragioni, comprensione per i cristiani che affrontano una nuova esperienza matrimoniale dovrebbe prima di tutto sottolineare la necessità della comprensione reciproca all'interno di ogni relazione coniugale.

domenica 17 maggio 2009

Preferenze. Una battaglia sbagliata.

Tra poco si terranno le elezioni per il Parlamento europeo ed amministrative. Si tratta di elezioni dove è possibile esprimere preferenze. Possibilità che molti invocano anche per l' elezione del Parlamento italiano.Tale facoltà viene presentata come indispensabile momento di democrazia e come strumento efficacissimo per rinnovare e migliorare la rappresentanza politica. 
Si dovrebbe però considerare che comunque i candidati, uno o pochi che siano, vengono designati dai partiti, sostanzialmente con un meccanismo di cooptazione. Che si ha una significativa differenza tra candidati di uno stesso partito solo quando questo è diviso in correnti di cui i candidati sono espressione. Che la divisione di un partito in correnti in competizione ne indebolisce l' azione. Che la concorrenza per il conseguimento delle preferenze eleva il costo della politica, spingendo i candidati singolarmente o con la corrente di appartenenza a procurarsi risorse finanziarie con mezzi leciti e non raramente illeciti.
Dunque quella per le preferenze pare una battaglia sbagliata. In realtà, in una democrazia sana, è la competizione tra grandi partiti, ciascuno capace di proporsi concretamente come forza di governo, a spingere i gruppi dirigenti di tali partiti alla scelta dei candidati con maggiori possibilità di successo. E' dunque la pressione esterna, più che quella interna, a risultare più efficace ed utile per il paese.

venerdì 8 maggio 2009

L'invasione dei "senzatutto".

Il recente caso dei cosiddetti migranti riportati in Libia senza consentire lo sbarco in Italia riaccende per l'ennesima volta il dibattito sulla loro accoglienza. Si distingue nel chiedere attenzione ai loro bisogni e diritti la Chiesa cattolica. La Chiesa fa il suo dovere. Ma sono molti milioni le persone che ormai premono alle frontiere di un'Europa in crisi eppure capace di suscitare speranze tali da indurre ad accettare rischi elevatissimi. Dunque un'accoglienza a maglie larghe è impossibile. Mi pare che, accantonando ipocrisie vecchie e nuove, diventi sempre più centrale il problema del governo di quei paesi che non riescono ad assicurare una tutela adeguata dei diritti fondamentali e condizioni di vita dignitose. Si tratta spesso di dirigenti locali corrotti e/o inetti. Senza una decisa ingerenza da parte dei paesi chiamati a fornire aiuti e ad accogliere chi emigra la situazione non cambierà. Certo interventi non soltanto umanitari ma soprattutto diretti ad imporre modelli amministrativi, politici ed economici sono costosi ed impopolari, non potendosi escludere la necessità di operazioni militari assai protratte nel tempo. Ma la questione è ineludibile. Karl Popper, in una intervista di pochi anni fa al tedesco Spiegel, si espresse con una franchezza brutale in questi termini: "...è un fatto che va principalmente riportato alla stupidità dei dirigenti dei diversi Stati della fame. Abbiamo liberato questi Stati troppo rapidamente ed in modo troppo primitivo. Questi Stati non sono stati di diritto. La stessa cosa accadrebbe se si lasciasse a se stesso un asilo infantile." Sono parole così dure da sembrare irritante espressione di ottusità. Ma sono davvero così lontane dalla realtà? Karl R. POPPER, Tutta la vita è risolvere problemi, 1996, pag. 265

venerdì 1 maggio 2009

Quando la debolezza paga. La logica paradossale della strategia.

L'accordo Fiat-Chrysler, ad una mente avvezza più alla riflessione politico strategica che a quella economica, può ispirare la seguente considerazione. La compagnia torinese non è certo la sola a possedere le tecnologie indispensabili alla ristrutturazione dell'azienda automobilistica statunitense, né ad avere amministratori capaci. Ma per le sue dimensioni relativamente modeste, per la sua ancora importante debolezza finanziaria, per l'appartenenza ad un sistema-paese poco dinamico ed ancor meno capace di influenzarne altri, retto da governi tradizionalmente non solo alleati ma anche amici, presenta le caratteristiche di un partner privo di tendenze espansive politicamente ed economicamente inaccettabili. Per questo, prima di tutto, mi pare sia stata preferita ad altre.
La debolezza diviene un punto di forza. Si tratta di un percorso logico paradossale. Però molto della vita e della storia si presta a questa chiave di lettura.

Chi vuole trovare in rete un interessante libro di qualche anno fa che getta acutamente luce sulla logica paradossale della strategia può cercare :

Edward N. LUTTWAK, Strategia. Le logiche della guerra e della pace nel confronto tra le grandi potenze

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