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giovedì 20 agosto 2009

Una vita straordinaria. Il giovane John Fitzgerald Kennedy




Tutti conoscono il Kennedy presidente degli Stati Uniti d'America. La tragica morte e la durezza dei tempi ne hanno fatto un mito. Ma pochi sanno dei suoi straordinari anni giovanili. Il futuro presidente molto prima di fare la grande storia di questa fu vivace testimone.
Suo padre, ricchissimo uomo d'affari, era ambasciatore americano in Gran Bretagna nel 1939, quando l'Europa cadde nel baratro della Seconda guerra mondiale. Il giovane Kennedy, seguendo il padre, vide da un osservatorio privilegiato le convulsioni della politica europea che condussero alla guerra. Ebbe la possibilità di viaggiare nei principali paesi europei, acquisendo una conoscenza diretta dei regimi nazista e fascista. Durante la guerra comandò una motosilurante sul fronte del Pacifico, comportandosi eroicamente.
Nel 1945, prima della fine della Seconda guerra mondiale, non ancora trentenne, fu alla conferenza di San Francisco, nel corso della quale venne istituita l'ONU, in qualità di giornalista. Sempre come giornalista visitò l'Europa subito dopo la sconfitta della Germania. Qui, il 30 luglio 1945, era a Potsdam, sede dell'incontro tra Truman, Stalin e Churchill, al seguito del segretario alla marina Forrestal. In quelle ore nella località tedesca si trovarono contemporaneamente presenti il presidente degli Stati Uniti in carica, Truman, ed i suoi due successori, Eisenhower ed appunto John Kennedy.
Di John Fitzgerald Kennedy riporto infine un giudizio sul suo predecessore Franklin D. Roosevelt. Egli pensava che Roosevelt avesse ucciso il capitalismo non con i suoi programmi e le sue riforme, ma con " l'enfasi posta sui diritti piuttosto che sulle responsabilità". In queste parole la personalità di un leader insieme innovatore appassionato e duramente realista. (*)

Da leggere:

J. F. KENNEDY, L'alba della nuova Europa.

Diario europeo 1945. A cura di Deirdre Henderson

(*) Sono oggi a disposizione dei lettori documenti  che possono sorprendere per il contenuto dei giudizi espressi dal futuro presidente USA. Essi completano e in parte correggono il quadro sopra delineato. Si riferisce ad essi un articolo de La Stampa del 16 maggio 2013 che merita un'attenta lettura.

venerdì 7 agosto 2009

L'economia degli spiriti animali.

George A. AKERLOF e Robert J. SHILLER, Spiriti animali, maggio 2009


Il premio Nobel per l'economia Akerlof ed il collega Shiller con quest'agile opera, da poco nelle librerie italiane, richiamano opportunamente l'attenzione sulle motivazioni non economiche ed irrazionali che muovono gli operatori economici. Non si comprendono le vicende economiche senza una sufficiente consapevolezza del ruolo svolto da tali fattori. Questa consapevolezza, spiegano gli autori, deve indurci ad attribuire ai governi compiti di vigilanza ed una funzione riequilibratrice delle economie, sempre inclini ad eccessi dall'esito non raramente drammatico.
Pur ritenendo corretto questo richiamo, farei ad Akerlof e Shiller le seguenti obiezioni. La propensione ad agire mossi, in una variabile ma significativa misura, da motivazioni irrazionali e cedendo a spinte emotive non caratterizza soltanto consumatori, risparmiatori ed operatori economici in genere bensì anche i governanti. Che, del resto, nelle democrazie devono ottenere il consenso proprio di quei soggetti al comportamento irrazionale dei quali dovrebbero porre rimedio.
L'intervento nelle intenzioni riequilibratore dei governi, pur inevitabile, va dunque valutato con cautela, nella prospettiva di salvaguardare i benefici del mercato e la possibilità di far fronte a conseguenze non volute delle misure governative stesse. Gli autori manifestano una netta nostalgia per la situazione preesistente alle riforme neoliberali promosse dalla Thatcher e da Reagan. Ma tali riforme certamente non distrussero lo stato sociale nè produssero una deregolamentazione dell'impresa e della finanza idonea ad essere considerata la causa principale dell'attuale crisi. Inoltre va sottolineato che queste riforme, che ispirarono anche la condotta di governi di centro-sinistra, rappresentavano la reazione alla stagnazione economica degli anni Settanta, non imputabile al solo shock petrolifero seguito alla guerra arabo-israeliana.
In realtà la mentalità degli operatori economici, dei consumatori, degli investitori e degli stessi governanti non è immutabile quanto al rapporto tra componenti irrazionali e razionali, economiche e non, lungimiranza e gretta miopia. Un po'più di maturità, di sano scetticismo, di costruttiva attenzione ai problemi generali non sembra un obiettivo impossibile. E può davvero fare buone cose.

sabato 25 luglio 2009

Il percorso delle armi.

Ancora oggi, ma a maggior ragione guardando alla seconda metà del Novecento, l' analisi dei trasferimenti internazionali di armi rappresenta una risorsa davvero importante per chi vuole farsi strada tra le nebbie della propaganda e della disinformazione.

I database della SIPRI, organizzazione internazionale con sede in Svezia, in questa prospettiva consentono un facile accesso a dati autorevolmente raccolti e presentati.

http://www.sipri.org/databases/armstransfers/armstransfers

Un interessante esempio mi sembra quello delle importazioni di armi nell' Iraq di Saddam Hussein, soprattutto durante gli anni Ottanta, immediatamente precedenti alla Prima guerra del Golfo.

Andiamo a vedere chi riforniva le sue forze armate. Le sorprese sono a portata di mouse.

sabato 18 luglio 2009

La ragione come limite.Quale razionalismo?

Almeno da Newton in poi la notevole idoneità delle teorie scientifiche a corrispondere ai fenomeni e ad essere controllate con successo ha costantemente posto problemi fondamentali. Perchè ciò accade? Quali conseguenze possiamo trarre da questa straordinaria attitudine? Qualcuno ha autorevolmente pensato ad una corrispondenza tra le strutture logiche della mente umana, in particolare linguistico-matematiche, e la struttura del mondo. Sarebbe tale corrispondenza a consentire le brillanti prestazioni del nostro apparato logico-linguistico. Ne deriverebbe un'illimitata capacità di indagare la natura. Si tratta però di una conclusione ingiustificata.
Il fatto che un nostro apparato a fini determinati ed in ambiti limitati "funzioni" non autorizza arbitrarie trasposizioni. Basti pensare ai nostri occhi. Funzionano quando ci consentono di non sbattere contro un muro, ma non ne vedono molecole ed atomi. Condivisibile mi sembra dunque l'opinione di Charles Darwin che in una lettera scrisse: "Ho la nettissima impressione che tutta la materia sia troppo profonda per l'intelletto umano. Un cane potrebbe speculare altrettanto bene sulla mente di Newton". Anche alcune considerazioni di Karl Popper vanno in questa direzione.
Vorrei inoltre ricordare che il successo della scienza ha costituito materia di riflessione persino nella teologia cristiana. Lo stesso papa Benedetto XVI, per altro del tutto al di fuori delle sue solenni funzioni magisteriali, anche facendo riferimento ad esso ha ipotizzato una sorta di ragione universale coessenziale alla divinità stessa, della quale anche la nostra ragione partecipa. La ragione umana, creata somigliante alla divina, sarebbe perciò in grado di comprendere la divinità ed il bene, che lo stesso Dio non potrebbe non volere. Si tratta, devo dire, di tesi difficili da accettare per un cristiano, che crede nella trascendenza ed onnipotenza di Dio. L'Incarnazione e la Resurrezione di Cristo sarebbero dunque non necessarie? Inutile la Rivelazione? In realtà appare plausibile che la ragione rappresenti per l'uomo uno strumento meraviglioso ma anche un limite. La forza e la preclusività del quale non è accertabile dall' interno.

venerdì 10 luglio 2009

Caritas in veritate. La coscienza prima di tutto.

Sul tema del mercato le parole più significative dell'enciclica Caritas in veritate mi sembrano le seguenti:

" Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l'economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell'uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale".

Mi sembra che il papa descriva esattamente la realtà. Il mercato non è mai realmente esistito nella sua astratta configurazione economica. Esso sempre storicamente si declina secondo la visione degli operatori, secondo la connotazione delle sue regole e secondo la capacità dell'ordinamento di farle rispettare.
Qui Ratzinger indica la tradizionale via maestra che la Chiesa deve seguire: il rinnovamento delle coscienze. "La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire" dice anche, infatti, il pontefice.
Bisogna chiedersi se operatori orientati ad un semplice profitto personale di corto respiro e magari poco inclini ad una spontanea osservanza delle regole giovino alla sopravvivenza del mercato e di una economia aperta e concorrenziale. Io penso di no.
Quest'ultima enciclica di Ratzinger mi pare insomma confermi due suoi importanti tratti. Innanzi tutto la personale sensibilità liberale. Poi la fedeltà alla missione della Chiesa. E la missione della Chiesa è convertire alla fede cristiana.


giovedì 9 luglio 2009

Tanto peggio tanto meglio.

"Tanto peggio tanto meglio".

Questo atteggiamento rivela una profonda corruzione della mente e del cuore.

martedì 30 giugno 2009

I diritti naturali tra fede e ragione.






Cos'è bene e cos'è male? Schiere di pensatori più o meno illustri e profondi hanno dedicato la vita, una generazione dopo l'altra, a questa domanda. Oggi ci sembra una questione astratta e lontana. Roba per gente strana, con tanto tempo da perdere, che vive fuori dal mondo. In realtà, però, ogni volta che nella nostra vita dobbiamo fare una scelta, anche piccolissima, di solito del tutto inconsapevolmente rispondiamo a questa grande domanda, semplicemente declinandola nella concretezza della nostra modesta quotidianità.
Insomma anche di fronte ad un barattolo di nutella siamo distrattamente chiamati a rispondere a domande fondamentali. Come dobbiamo comportarci? Che decisione dobbiamo prendere? Ma se consideriamo la faccenda da un punto di vista più generale, anche sotto il profilo politico e filosofico, la questione importante è: per quali motivi dovremmo decidere in un senso piuttosto che in un altro, tenere un certo comportamento invece di un altro? E soprattutto perchè prendere decisioni difficili, eventualmente stringendo i denti di fronte a difficoltà?
Lo stesso favore per la libertà, la tolleranza, la società aperta è una scelta che possiamo essere chiamati a difendere in modo fermo, duro, faticoso, doloroso. Se infatti tolleriamo gli intolleranti e lasciamo libero di agire chi vuole eliminare la libertà, tolleranza e libertà verranno meno.
Esiste insomma un criterio assoluto per stabilire quale è la cosa giusta? In altre parole è possibile trovare un fondamento assoluto ad un principio morale, ad una regola di condotta? I cosiddetti "diritti naturali" sono un importante tentativo di risposta a questo bisogno. Basti pensare che di diritti naturali parlarono proprio gli autori della Costituzione americana e di quelle della Rivoluzione francese. Perchè dobbiamo assolutamente tenere una certa condotta? Perchè dobbiamo considerare non negoziabile un certo principio? Perchè è secondo natura, rispondono. Perchè è la natura stessa che li impone, li prescrive.
Ma almeno da Hume in poi dovrebbe essere chiaro che i "diritti naturali" sono il risultato di un errore logico. Quando descriviamo la natura non possiamo ricavare direttamente prescrizioni dalle descrizioni. Quello da ciò che è a ciò che dovrebbe essere è un salto diretto del tutto ingiustificato logicamente. Per questo la scienza, anche medica, in quanto tale non può dettar legge in ambito morale. Una questione etica non può essere presentata in termini di verità. Come ha scritto brillantemente il prof. Dario Antiseri, sono naturali tanto l'odio quanto l'amore. Sta a noi scegliere.
Dunque i "diritti naturali" non reggono ad una critica serrata. Non sono una soluzione indipendente. Ma il problema di fondo rimane. Una società aperta, tollerante, libera e democratica ha bisogno di cittadini che ritengano assoluti, non negoziabili, determinati valori. Tocqueville, il famoso autore della Democrazia in America, cattolico dalla tiepida fede, considerava la sopravvivenza della democrazia dipendente da quella del Cristianesimo. Se guardiamo alla successiva storia degli Stati Uniti e del mondo intero possiamo davvero dargli torto?

venerdì 26 giugno 2009

Gli intellettuali e le rivoluzioni. Un amore non corrisposto.

Molti intellettuali sono attratti dalle rivoluzioni ma quasi tutti sbagliano nel giudicarle. Dalle cattedre, dai libri, dalla più autorevole stampa periodica, quanto entusiasmo e quanta apologia su movimenti e leader che poi non hanno corrisposto alle attese per diritti, libertà e benessere! Si tratta di un lungo elenco. Dalla rivoluzione d'Ottobre a quella iraniana khomeinista, dalla rivoluzione castrista cubana alla rivoluzione culturale cinese.
Perchè? Spesso hanno prevalso concezioni della storia e dell'uomo davvero sbagliate. Si è pensato che la storia proceda secondo leggi necessarie, tanto da poter prevedere il futuro (storicismo). Che progetti di rinnovamento globale, di vera e propria palingenesi sociale, abbiano serie possibilità di riuscita (utopismo). Che leader carismatici abbiano il potere di fare la storia secondo i loro piani. Che a idee come quelle di popolo, nazione o classe corrispondano entità reali distinte dalla somma dei loro componenti e capaci di agire in quanto tali nella storia stessa.
Però non pochi intellettuali, e tanti politici che li accolgono a corte, aggiungono o sostituiscono all'errore il cinico desiderio di acquistare facili consensi. Ma, si badi, i consensi ottenuti spacciando illusioni, miti e leggende prima o poi si restituiscono agli avversari con salati interessi.

domenica 14 giugno 2009

Palestina. I nodi della storia e il pettine di Obama.

L'odierno discorso del capo del governo israeliano, mentre sembra accogliere i principi dettati da Obama per la composizione della questione palestinese, in realtà pone ancora una volta drammaticamente in evidenza l'inadeguatezza dell' attuale amministrazione USA.
I nodi della storia non si lasciano districare dal retorico pettine del neopresidente americano. Il leader israeliano accetta il principio dei due stati israeliano e palestinese, ma lo declina in termini inaccettabili per tutte le fazioni palestinesi, anche le più moderate. 
Infatti l'amministrazione israeliana pretende da un lato il riconoscimento del diritto ad esistere di Israele come stato ebraico. Dall'altro la smilitarizzazione completa dello stato palestinese, garantita internazionalmente. Si tratterebbe di un vero, durevole e sostenibile riconoscimento dello stato di Israele così com'è, tranne che per il territorio controllato, una parte del quale verrebbe scambiata con una pace definitiva e garantita. Ma proprio questo riconoscimento vero e definitivo nessun dirigente palestinese, neppure il più moderato, può accettare.
Generazioni di bambini palestinesi sono state cresciute nell'odio per gli ebrei ed abituate a considerare legittimo ed irrinunciabile il proposito del rientro in Israele di tutti i profughi. Inoltre nessun musulmano, anche dalla tiepida fede, può accettare sinceramente e definitivamente che una terra musulmana sia lasciata alla sovranità degli infedeli. Dunque tutti i dirigenti palestinesi, nessuno escluso, sia pure con formule ed atti diversi, rifiuteranno le richieste israeliane sul carattere ebraico dello stato israeliano e sulla completa smilitarizzazione dello stato palestinese. Proprio perchè accettandole rinunzierebbero definitivamente al progetto, per loro irrinunciabile, di riprendere la lotta per l'estinzione dello stato ebraico quando i rapporti di forza, anche solo per ragioni demografiche, risultassero diversi e più favorevoli.
Quasi mai basta la retorica per cambiare il corso della storia. Costituire lo stato di Israele sessanta anni fa è stato un errore. Un errore determinato dall'Olocausto degli Ebrei durante la Seconda guerra mondiale, che ha trasformato l'accoglimento dell'assurda pretesa di un nazionalismo di matrice religiosa in un risarcimento dovuto. Ma quel risarcimento ha scatenato dinamiche tragiche e difficilmente controllabili.
Ora il male minore è rappresentato dalla garanzia dell'esistenza dello stato ebraico, in quanto sola democrazia genuina dell'area mediorientale e solo affidabile alleato delle democrazie occidentali. Pare inoltre verosimile che tale garanzia, qualora la crisi possa rimanere circoscritta nei limiti spaziali attuali, rappresenti la misura più idonea a contenere quantitativamente sofferenze e violenza. Questa misura si può realizzare purtroppo soltanto imponendo oggi come domani ai Palestinesi di abbandonare i loro obiettivi più sacri e sentiti. I fervorini di Obama certamente non basteranno. Solo il realismo più duro forse eviterà che scorra troppo sangue.

domenica 7 giugno 2009

Blog. La quantità non basta.

Sono ormai molti milioni i blog che affollano la rete. L'esplosione del fenomeno dei blogger mi pare senz'altro da valutare positivamente. C'è un diffuso e sincero desiderio di migliorare in questo modo noi stessi e la società in cui viviamo. Ma francamente vedo da parte di molti un approccio sbagliato a questo strumento rivoluzionario.
Quando ci accingiamo a pubblicare qualcosa dovremmo sapere che nella quasi totalità dei casi ciò è già stato detto prima e meglio. Ma soprattutto è stato già discusso e criticato a fondo con argomenti di grande valore. Dovremmo essere ben consapevoli che partecipare a lunghe catene di sant'Antonio, intessute di invettive e di insulti, che trasmettono spesso soltanto leggende metropolitane e bufale grossolane, non significa fare informazione.
Dovrebbe essere ben chiaro che acquisire e valutare informazioni di prima mano è molto difficile. 
Non c'è il vuoto dietro di noi. Ci sono generazioni di uomini intelligenti e sensibili quanto noi, che si sono occupati di problemi spesso simili a quelli che oggi ci assillano. Riflettere sulle loro domande e sulle loro risposte ci consentirebbe di fare migliori domande e di dare migliori risposte.
Vengono meno spesso un approccio veramente critico ed autocritico, un contatto vivace con il diverso, l'accettazione di una costruttiva competizione delle idee. Manca insomma la comprensione della vera natura del progresso intellettuale e civile. Si tratta di un'impresa collettiva che ha per componente essenziale il contatto critico non solo fra gli uomini di oggi ma anche tra gli uomini di oggi e quelli di ieri.
La storia fa davvero salti. Realmente emerge il nuovo. Ma questo non ci autorizza ad evitare il prezioso confronto critico con ciò che nuovo non è. E che spesso purtroppo non conosciamo. E' comprensibile e perfino utile che difendiamo a fondo le nostre idee. Ma evitare il contatto con opinioni che non condividiamo non ci aiuta e danneggia tutti.

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