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domenica 29 gennaio 2012

L' Europa di Angela Merkel.

In una recente intervista la cancelliera tedesca Angela Merkel ha delineato una coerente visione dell' Europa e delle sue prospettive. I problemi dei paesi europei sono correttamente considerati nell' ambito dell' economia globalizzata.
All' inizio, dichiara Merkel, "si è discusso molto se noi in Europa non fossimo semplicemente solo le vittime dei cosiddetti speculatori". Ma " è evidente che i mercati testano la nostra volontà di coesione. Gli investitori di lungo periodo, che investono il denaro di tanta gente, vogliono sapere quale sarà la condizione dell’Europa fra venti anni".

"L’Europa ha bisogno di più crescita e più occupazione: anche in futuro deve potersi affermare nella concorrenza mondiale. Io voglio che l’Europa, anche fra venti anni, sia apprezzata per il suo potenziale innovativo e per i suoi prodotti. Si tratta di come noi riusciremo ad affermarci in futuro nell’era della globalizzazione, e quindi a garantire anche in futuro il nostro benessere".

"Noi siamo solidali, non dobbiamo però neppure dimenticare la responsabilità propria. Sono due lati della stessa medaglia. Non ha senso promettere sempre più soldi, senza combattere contro le cause della crisi. In Spagna, ad esempio, oltre il 40% dei giovani è senza lavoro, fenomeno dovuto anche alla legislazione... Io mi adopero affinché noi in Europa impariamo gli uni dagli altri. In certi settori anche la Germania può orientarsi verso altri Paesi".

"Noto che alcune persone, quando si tratta di crescita, pensano solo a onerosi programmi congiunturali. Programmi che erano opportuni nella prima crisi e anche ora dovremmo vagliare con attenzione i fondi europei nei quali c’è ancora denaro inutilizzato. Vorrei che lo impiegassimo miratamente per misure che promuovono la crescita e l’occupazione. Mi riferisco ai sostegni per le medie imprese o per chi vuole avviare un’attività in proprio, a programmi occupazionali per i giovani o a fondi per la ricerca e l’innovazione. La Germania è disposta a impiegare i fondi strutturali per questi utili scopi".

"Vi sono anche altre possibilità di favorire la crescita che non costano praticamente denaro. Prendiamo la legislazione sul lavoro, che deve diventare più flessibile, soprattutto laddove vengono erette barriere troppo alte per i giovani. Non è accettabile che interi comparti professionali siano accessibili solo a un gruppo ristretto di persone. Il settore dei servizi può venire potenziato molto rapidamente. Abbiamo bisogno di più privatizzazione. Vi sono molte possibilità di allentare i freni alla crescita tramite riforme strutturali di questo genere".

"... non sarebbe utile a nessuno se la Germania si indebolisse. Ovviamente, col tempo dobbiamo correggere gli squilibri in Europa, per raggiungere questa meta sono gli altri Paesi che devono aumentare di nuovo la loro competitività e non la Germania che deve diventare più debole".

"Non voglio un’Europa museo di tutto ciò che una volta era valido, bensì un’Europa in cui con successo si creano novità. So che per molti questo comporta un cambiamento molto, molto grande, dobbiamo quindi sostenerci a vicenda. Ma se ci tiriamo indietro dinanzi a questi sforzi, siamo solo gentili tra di noi e annacquiamo ogni tentativo di riforma, allora sicuramente rendiamo un pessimo servizio a l’Europa".

"Ma, per tornare nuovamente alla sua metafora musicale, al momento non si dovrebbe parlare della bellezza della musica in generale e dell’importanza culturale dell’orchestra. Dovremmo invece suonare nel concerto dei mercati mondiali. Che vogliono sentire qualcosa di accettabile".

L' Europa che Merkel disegna dovrebbe rispondere alle sfide della globalizzazione con l' innovazione e gli incrementi di produttività e competitività. Si tratta di una visione largamente condivisibile ma grandi ostacoli si frappongono.
Innanzi tutto la struttura del welfare che caratterizza gran parte dell' Unione Europea. Sarà possibile ridurre a sufficienza pressione fiscale e spesa pubblica in presenza di uno stato sociale così ampio e costoso? Un welfare spesso oltremisura generoso è compatibile con la necessità di incentivare l' impegno e il risparmio?
Si deve inoltre considerare la profondità del divario di competitività che divide i paesi periferici dell' Unione Europea da quelli già meglio in grado di reggere alla competizione internazionale. Come reagirà il "popolo dei forconi" all' imposizione di modelli e regole incompatibili con abitudini e interessi consolidati?
Ed infine va sottolineato il diffuso indebolimento dell' etica del lavoro, della responsabilità e della famiglia. L' Europa distrutta del Secondo dopoguerra è stata ricostruita e portata ad un alto livello di benessere da uomini certamente più capaci di affrontare le difficoltà.
Ma quelle tradizioni, quella solidità individuale e familiare non esistono più. Esse non sono state sostituite da un altro efficiente assetto morale. I cittadini europei sono oggi in grado di reagire adeguatamente alla crisi?


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martedì 24 gennaio 2012

Imre Lakatos e il Cile di Allende. Per una storiografia integra ed integrale.

Imre Lakatos è stato uno dei più importanti filosofi della scienza del Novecento. Nato in Ungheria ed alto funzionario durante i primi anni del regime comunista, appoggiò la rivoluzione del 1956. Si trasferì poi in Gran Bretagna, dove morì nel 1974. Dopo una formazione hegeliana e marxista fu allievo e successore di Karl Popper. Del grande filosofo austriaco fu il critico più lucido e costruttivo. E' il padre della metodologia dei programmi di ricerca scientifici.
In una lezione tenuta alla London School of Economics all'inizio del 1973, trattando la differenza tra teorie newtoniane e marxiste, fece un'affermazione che può sembrare sorprendente:

"Non è cioè lecito avanzare la teoria che tutti i regimi socialisti sono meravigliosi tranne la Russia, la Cina, Il Cile, Cuba, e tutti quelli esistenti".

(Imre LAKATOS, Paul K. FEYERABEND, Sull'orlo della scienza, 1995, pag. 119)

Il Cile della presidenza socialista di Allende, come Russia, Cina e Cuba, una "democrazia popolare" senza libertà? Lakatos, che conosceva bene queste "democrazie", mirando ad altro ha colto probabilmente nel segno. Del Cile conosciamo il sanguinario regime di Pinochet. Meno sappiamo delle vicende che condussero al colpo di stato.
Abbiamo bisogno di una storiografia integra ed integrale. Non per prevedere il futuro, certamente imprevedibile, ma per assumere un atteggiamento più saggio e critico quando tentiamo di capire e risolvere i problemi che oggi ci assillano.




domenica 15 gennaio 2012

Crisi economica. Il nuovo conformismo.



" Abbiamo bisogno di certezze e di capri espiatori. La certezza di non perdere quel che abbiamo. I capri espiatori su cui scaricare ogni responsabilità per i tempi duri che viviamo.
Così, una plumbea nuvola di cecità e di conformismo sta lentamente avvolgendo un po’ tutto e tutti".

"In un clima siffatto, io vedo il pericolo che, nel dibattito pubblico dei prossimi mesi, si mettano da parte alcuni dati di fondo, che sono cruciali per prendere decisioni sagge, ma appaiono urticanti o «politically taboo» a quasi tutti i soggetti in campo. Quali dati? Il primo dato è che la pressione fiscale sull'economia regolare è la più alta del mondo sviluppato (intorno al 60%), e così il livello di tassazione sulle imprese, il cosiddetto Total Tax Rate (68.6%)".

"Il secondo dato di fondo è la strabica selettività della repressione dell'evasione. Ci sono intere zone del Paese in cui quasi tutto è in nero.... Il fatto è che se volesse intervenire contro l'illegalità, lo Stato dovrebbe militarizzare circa un quarto del territorio nazionale, e distruggere un paio di milioni di posti di lavoro, che si reggono sui bassi salari".

"C'è un terzo dato di fondo, che mi pare fondamentale ora che si sta per aprire lo spinoso capitolo del mercato del lavoro: da un paio di anni l'Italia sta riducendo la sua base produttiva. Fallimenti, chiusure volontarie di attività, bassi investimenti, distruzione di posti di lavoro, si stanno susseguendo senza interruzione dal 2008...lavorare e produrre in Italia sta diventando sempre più proibitivo sul piano dei costi di produzione".

Con lodevole continuità Ricolfi riporta l'attenzione sui difetti strutturali del sistema Italia. Ma per squarciare la cappa di conformismo che ci sovrasta occorre toccare altre spinose questioni.
Jin Liqun è presidente del consiglio dei supervisori del fondo sovrano da 400 miliardi di dollari China Investment Corporation ed ex vice ministro delle finanze della Repubblica Popolare Cinese. In una recente intervista ad Al Jazeera ha duramente criticato il welfare europeo:

"If you look at the troubles which happened in European countries, this is purely because of the accumulated troubles of the worn out welfare society. I think the labour laws are outdated. The labour laws induce sloth, indolence, rather than hardworking. The incentive system, is totally out of whack".

"Why should, for instance, within [the] eurozone some member's people have to work to 65, even longer, whereas in some other countries they are happily retiring at 55, languishing on the beach? This is unfair. The welfare system is good for any society to reduce the gap, to help those who happen to have disadvantages, to enjoy a good life, but a welfare society should not induce people not to work hard."

Sono i difetti del welfare, secondo Jin Liqun, le cause della crisi. Le leggi sul lavoro sono obsolete, spingono alla pigrizia e all'indolenza invece che al duro lavoro. Il "welfare system" è buono per ogni società per ridurre il divario, per aiutare gli svantaggiati, ma una società del benessere non deve indurre la gente a non lavorare duramente. Questa Europa non attrae più a sufficienza investimenti stranieri.
L'Italia soffre di più, ma paesi come Francia ed Austria non ridono. Le peculiarità italiane, indicate da Ricolfi, spiegano le maggiori difficoltà. Però Francia ed Austria non hanno la nostra evasione fiscale, la nostra Pubblica Amministrazione inefficiente, la nostra giustizia lenta, la nostra criminalità organizzata, la nostra energia costosissima. E allora?
Evidentemente c'è altro. Forse Jin Liqun, che colloca i problemi in un contesto globale, ha in qualche misura ragione. Difficile ridurre la pressione fiscale e il debito pubblico senza riformare lo stato sociale. Che nella Europa migliore copre troppo e costa troppo, mentre in quella peggiore costa troppo senza raggiungere i propri obiettivi.
Sembra opportuno cercare di individuare i fattori della crisi ed i possibili rimedi senza concentrare l'attenzione su speculatori, banchieri, governanti egoisti ed inflessibili, agenzie di rating. Impareremo comunque dai nostri errori, se non sarà troppo tardi.





sabato 7 gennaio 2012

Comunisti a Washington. Quando Stalin sbirciava nello studio di Roosevelt.


Il film di Clint Eastwood J. Edgar presenta la controversa figura di J. E. Hoover, il vero creatore dell'FBI, toccando anche la questione delle indagini sui "sovversivi", sui "rossi", sui "comunisti", tanto spesso bersaglio delle sue invettive. Fissazione paranoica o pericolo reale per la sicurezza degli Stati Uniti?



Dagli anni Venti Willi Munzenberg, con i suoi collaboratori e le sue organizzazioni, per conto dei sovietici attuò negli USA una efficace propaganda a favore del comunismo e del nuovo stato nato dalla Rivoluzione d'Ottobre. Nei lunghi anni delle presidenze Roosevelt (1933-45) prevalentemente per motivi ideologici alcuni cittadini americani collaborarono con i servizi sovietici.
Il professor Christopher Andrew, ex preside della facoltà di storia presso l'Università di Cambridge, è da molti considerato il massimo studioso del ruolo dei servizi segreti nel Novecento. In L'Archivio Mitrokhin (1999, pp. 152 e 153), scritto con l'ex agente del KGB Vasilij Mitrokhin, ha sottolineato il successo dell'intelligence sovietica con queste parole:

"La maggior parte degli altri agenti di prima della guerra, in ogni caso, fu con successo rimessa in attività; tra questi Lawrence Duggan (FRANK) e Harry Dexter White (JURIST). Henry Wallace, vicepresidente durante il terzo mandato di Roosevelt (dal 1941 al 1945), affermò in seguito che, se Roosevelt fosse morto in quel periodo ed egli fosse diventato presidente, sarebbe stata sua intenzione nominare Duggan suo segretario di Stato e White suo segretario del Tesoro. Il fatto che Roosevelt sopravvisse tre mesi in un quarto mandato senza precedenti alla Casa Bianca, e che sostituì Wallace con Harry Truman come vicepresidente nel 1945, privò il sistema informativo sovietico di quello che sarebbe stato il suo successo più spettacolare: l'infiltrazione in un grande governo occidentale. L'NKVD riuscì in ogni caso a infiltrarsi in tutte le sezioni importanti dell'amministrazione Roosevelt".

"Vi era un abisso enorme tra le informazioni sugli Stati Uniti fornite a Stalin e quelle a disposizione di Roosevelt sull'Unione Sovietica. Laddove il Centro si era infiltrato in ogni ramo importante dell'amministrazione di Roosevelt, l'OSS, così come il SIS, non aveva un solo agente a Mosca. Alla conferenza di Teheran dei Tre Grandi, nel novembre del 1943, la prima volta che Stalin e Roosevelt si incontrarono, una informazione di gran lunga superiore diede a Stalin un considerevole vantaggio nella negoziazione".

Dunque quelle di Hoover non erano certo fisime. Soltanto per poco gli agenti americani di Stalin non arrivarono a ricoprire gli incarichi chiave di ministri degli Esteri e del Tesoro degli Stati Uniti. Sono vicende note da tempo, ma non in Italia. E non dobbiamo stupirci. Quanti sanno che soltanto pochi anni fa il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer accettava i finanziamenti ed eseguiva le direttive dell'Unione Sovietica?






domenica 1 gennaio 2012

Newton filosofo naturale. L'archivio Portsmouth.

 


Isaac Newton nacque in Inghilterra il 4 gennaio del 1643, secondo il calendario gregoriano. Morì a Londra nel 1727. Figlio di piccoli proprietari terrieri, fu prima studente poi professore al Trinity College di Cambridge. Durante la sua lunga vita conseguì fama intellettuale e successo pubblico. Membro e quindi presidente della Royal Society, divenne direttore della Zecca e cavaliere.
Celebrato per la sua teoria della gravitazione universale e per il suo contributo allo sviluppo del calcolo infinitesimale, ha rappresentato l'immagine positivista dello scienziato. Ma nel Novecento l'esame approfondito dei suoi manoscritti ha consentito di rivedere la sua figura, ora presentata coi tratti di un filosofo naturale del suo tempo. Su Newton la video lezione del professor Paolo RossiDa segnalare anche questa recentissima biografia  scientifica: Niccolò GUICCIARDINI, Newton, 2011.
La nuova filosofia naturale del Seicento si confrontò criticamente con la tradizione aristotelica. Si trattò di un approccio globale, riguardando "la visione del mondo, dell'uomo, della conoscenza, e infine di Dio stesso e delle sue relazioni con la Natura" (op. cit. pag. 33). Newton si occupò a lungo non solo di fisica e matematica ma anche di alchimia, teologia, cronologia. Convinzioni non conformiste e antitrinitarie, eretiche anche rispetto all'anglicanesimo, caratterizzarono la sua religiosità, tanto da costringerlo ad una grande riservatezza.
Incline all'esoterismo, lo sfondo concettuale connesso ai suoi interessi alchemici e teologici influenzò la concezione delle teorie fisiche. "Tutte le ricerche newtoniane, anche quelle di ottica, di fisica e di astronomia, sono in una certa misura intrecciate ... alle sue convinzioni religiose e alla sua teologia eretica" (op. cit. pag. 119).
Ben più vicina alla visione oggi prevalente appare la posizione del cattolico Galilei, espressa nella Lettera a padre Benedetto Castelli, che ha ottenuto un ampio consenso anche in ambito teologico:
"... Io crederei che l'autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti".
Infine qualche cenno del cosiddetto archivio Portsmouth, il "baule di Newton". Nella seconda metà del Settecento la maggior parte dei manoscritti di Newton era ancora in possesso del Duca di Portsmouth, discendente di sua nipote. Le vicende di questo archivio sono strettamente connesse agli sviluppi della storiografia newtoniana.
Esso rivela un Newton lontano dal mito positivista ed illuminista. Tale distanza determinò la sua divisione e ritardi nella pubblicazione delle sue parti più significative. Gli scritti di immediata rilevanza scientifica passarono alla University Library di Cambridge già alla fine dell' Ottocento, mentre quelli alchemici, teologici e storici furono venduti all'asta negli anni Trenta del Novecento.
La dispersione della collezione di manoscritti li rese disponibili agli studiosi. Tramite i due principali acquirenti, il semitista Abraham Yahuda e l'economista John Maynard Keynes, importanti documenti sono pervenuti, rispettivamente, alla biblioteca dell'Università Ebraica di Gerusalemme e al King's College di Cambridge.
Il ritardo nella pubblicazione del contenuto più scottante del "baule di Newton" deve indurre ad attenta riflessione. Quanto spesso le battaglie politico-culturali indeboliscono l'interesse per la verità e la sua ricerca?



venerdì 23 dicembre 2011

Tocqueville. Per una libera repubblica.





Tocqueville
, giovane magistrato, ottenne un congedo non retribuito per condurre una ricerca sul sistema carcerario negli Stati Uniti. Nel 1831 si imbarcò con l'amico e collega Beaumont e ritornò in patria l'anno successivo.
In America studiò a fondo la nuova società democratica, le sue istituzioni, la sua cultura, i costumi e le tradizioni che la resero possibile. Registrò dati, impressioni, riflessioni e interviste in alcuni quaderni, poi raccolti nel Viaggio negli Stati UnitiLa Democrazia in America, l'opera più nota del grande intellettuale francese, nasce in larga misura da questa prolungata indagine sul campo, fissata in quegli appunti di grandi valore storico e forza narrativa. Le seguenti considerazioni, tratte dal Quaderno E ( pag. 262 - 1990), illuminano il tema dell'affermazione della libertà repubblicana americana:

"Vi è un' importante ragione che supera ogni altra e che, dopo che tutte sono state soppesate, da sola fa pendere la bilancia: il popolo americano, considerato nel suo complesso, è non soltanto il più illuminato del mondo, ma, cosa che considero molto superiore a tale vantaggio, è il popolo che possiede l'educazione politica-pratica più evoluta".

Per Tocqueville dunque ideali e cultura diffusi non bastano a spiegare il durevole successo della libertà repubblicana. Il cittadino elettore è chiamato a compiere la sua manutenzione, che solo un adeguato addestramento e una sufficiente conoscenza pratica delle sue esigenze e dei suoi meccanismi consentono.
Nelle giurie, nei comitati, nelle associazioni, nelle assemblee municipali ed ancor prima nelle famiglie e nelle comunità religiose i cittadini degli Stati Uniti sperimentavano i problemi concreti della convivenza in una società libera, la loro complessità, le difficoltà, le ineliminabili conseguenze impreviste di ogni condotta. Acquistavano consapevolezza del necessario legame tra responsabilità individuale, autocontrollo e libertà sostenibile.
Gli intellettuali più avveduti sottolineano l'inefficienza delle democrazie dei nostri giorni, l'insostenibilità di apparati costosi e incapaci di risolvere i problemi che ci assillano. Ma nelle grandi democrazie rappresentative i governanti cercano di adeguarsi all'orientamento presunto degli elettori che li giudicheranno. Cittadini attenti soltanto ai propri interessi a breve termine e/o prigionieri dell'utopia hanno così governi inadeguati.
Il dibattito pubblico ritorni sulla questione dell'educazione dei giovani, che devono essere preparati con grande realismo non solo a corrispondere alle esigenze del mercato del lavoro ma anche a fronteggiare i problemi di efficienza che ormai provocano il discredito delle istituzioni democratiche. Il pensiero di Tocqueville appare ancora una volta prezioso.



mercoledì 14 dicembre 2011

Annuario SIPRI 2011. I numeri della guerra e della pace.

E' disponibile in pdf una sintesi del SIPRI Yearbook 2011. L'edizione italiana è a cura di Stefano Ruzza. Lo Stockholm International Peace Research Institute, fondato nel 1966, è "un istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche nel settore dei conflitti, degli armamenti, del loro controllo e del disarmo".
Dal documento emerge un quadro in preoccupante evoluzione. In evidenza " tre questioni che hanno segnato la sfera della sicurezza negli ultimi anni: l’intensificarsi dell’influenza di fattori non-statali; l’emergere di potenze globali e regionali; una crescente inefficienza, incertezza e debolezza delle istituzioni".
"La sicurezza del mondo sta diventando più dinamica, complessa e transnazionale per effetto del crescente flusso di informazioni, individui, capitali e beni". Sempre maggiore è l'importanza regionale e globale degli attori non-stato e quasi-stato, mentre l'ampiezza del ruolo delle nuove potenze pone il problema di una loro equilibrata integrazione in istituzioni internazionali come il Consiglio di sicurezza dell'ONU e il G20.
E' significativo che nel decennio 2001-10, 2007 escluso, ogni anno i conflitti per il governo siano stati più numerosi di quelli per il territorio. In tale decennio solo 2 conflitti su 29 sono stati interstatali.
Vengono sottolineati la fragilità del consenso su principi, scopi e metodi delle missioni di pace, la loro sovraestensione e l'indebolimento del sostegno politico.
La crisi economica non ha impedito l'aumento delle spese militari, tranne in Europa. Nel 2010 gli USA hanno raggiunto il 43% del totale. Protagoniste le nuove potenze Cina, India e Brasile con Russia, Sud Africa e Turchia, anche se mai l'incremento è stato maggiore di quello del PIL.
Da segnalare la spesa militare italiana stimata dal SIPRI: 37 miliardi di dollari, di poco inferiore ai 45,2 della Germania. Una somma ragguardevole, ma la cui effettiva portata può essere compresa soltanto precisando la parte destinata al personale. Del resto quando gli investimenti cadono al di sotto di un livello minimo lo strumento militare diventa inservibile ed il denaro speso è sperperato.
Dal 2006 al 2010 i trasferimenti internazionali degli armamenti convenzionali maggiori sono cresciuti del 24% rispetto al periodo 2001 - 2005. Stati Uniti e Russia sono i maggiori esportatori. India in testa tra gli importatori, seguita dalla Cina.
Infine le armi nucleari: più di 20.500, di cui più di 5.000 dispiegate e pronte all'uso. Certamente in possesso di tali armi otto paesi: USA, Russia, Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan e Israele.




martedì 6 dicembre 2011

Italia. La democrazia inefficiente.

In una recente conferenza stampa il Presidente del Consiglio Mario Monti ha detto (2:00) che:

"Quando si parla di costi della politica si pensa al costo che i cittadini sopportano per gli apparati amministrativi... Ma non si pensa al vero costo della politica, come purtroppo è stata fatta per decenni in Italia: che chi governa prenda decisioni miranti più all'orizzonte breve delle prossime elezioni che all'orizzonte lungo dell'interesse del paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti".

E, ancora, uno dei più lucidi intellettuali italiani, il professor Luca Ricolfi, nel suo La Repubblica delle tasse, con riferimento al referendum su acqua, servizi pubblici locali, nucleare e legittimo impedimento, ha scritto:

"Anzichè cercare di guidare l'opinione pubblica, facendola ragionare, i politici hanno definitivamente deciso di seguirla acriticamente, come un pastore che rincorre il suo gregge di pecore" (pag. 180).
"Ma in fondo non dobbiamo lamentarci troppo. Se i politici seguono il gregge, è perchè il gregge è gregge. Finchè ci lasceremo suggestionare dagli slogan, finchè saremo accecati dalle nostre simpatie e antipatie, la politica non smetterà di usarci" (pag. 182).

Sia pure con qualche tortuosità logica - i politici seguono il gregge e nel contempo lo usano (Ricolfi) - entrambi i due protagonisti del dibattito pubblico mettono il dito su una piaga. La ricerca del consenso elettorale può rendere inefficiente la democrazia.
Ma occorre essere chiari. Già Pericle, nell'Atene democratica del V secolo a. c., affermò che: "Benchè soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla". E' la democrazia rappresentativa: non tutti possono governare ma tutti possono giudicare (e quindi mandare a casa) chi ha governato. Comprensibilmente i politici si adeguano cercando di individuare l'orientamento degli elettori e di ottenere il loro consenso.
Allora che fare? Come attenuare gli effetti perversi della democrazia? L'educazione, in particolare dei giovani, appare la via maestra per una democrazia libera ed efficiente. L'idea che si possa separare l'informazione dall'educazione e che si debba evitare di adottare un preciso indirizzo educativo non appartiene realmente al pensiero liberale. Come ha sottolineato uno dei filosofi liberali più influenti del Novecento in una nota intervista televisiva (5:40) "il liberalismo classico ha sempre accordato una grande importanza all'educazione e un'importanza ancor più grande alla responsabilità".
Tutte le "agenzie" in senso lato educative, a partire dalla scuola, dovrebbero convergere sull'obiettivo di formare un cittadino idoneo alle sue funzioni pubbliche, informato dei lineamenti dello stato democratico contemporaneo e dei suoi problemi. La larga diffusione di una cultura democratica e liberale deve essere sempre accompagnata da una semplice ma efficace informazione sui presupposti e le condizioni di una democrazia sostenibile, nell'ambito di una educazione alla responsabilità, all'autocontrollo, all'accettazione della complessità.
E' illusorio perseguire il fine di una genuina cultura liberale di massa, soprattutto in una paese come il nostro, dove l'influenza del marxismo e di una interpretazione illiberale della tradizione cattolica è stata profonda? Forse. Ma deve guidarci la consapevolezza che una società non lontana da questo modello ideale è storicamente esistita. Karl Popper nella sua autobiografia intellettuale, La ricerca non ha fine, ha confessato:
"L'America mi piacque fin dal primo istante, forse perchè prima avevo qualche pregiudizio nei suoi confronti. Nel 1950 c'era un senso di libertà, di indipendenza personale, che non esisteva in Europa e che, pensavo, era ancor più forte che in Nuova Zelanda, il paese più libero che io conoscessi" (1978, pag. 132).
Si trattava di una libertà responsabile, fondata sulla tradizione e sull'autocontrollo. Una lezione da non dimenticare.



mercoledì 30 novembre 2011

I soldati USA lasciano l'Iraq.

Analisi Difesa è una rivista on-line che si occupa di difesa, sicurezza, forze armate. E' diretta da Gianandrea Gaiani. Nel numero di novembre un ampio rapporto sul ritiro delle truppe USA dall'Iraq, che dovrebbe essere completato entro il 2011.
Gli ultimi 39.000 mila militari americani lasceranno ai civili del Dipartimento di Stato la responsabilità dei programmi di sicurezza e addestramento intrapresi dagli Stati Uniti.
Alla tutela del personale e delle strutture dovranno provvedere almeno 5.000 contractors, civili addetti alla sicurezza.
Pur essendo il ritiro previsto da un accordo tra i due paesi stipulato nel 2008, il governo iracheno ha chiesto che 5.000 soldati restino in Iraq con compiti ufficialmente di addestramento. Ma non ha garantito alle truppe USA l'immunità per errori e reati compiuti nell'esercizio delle loro funzioni, considerata irrinunciabile dal governo americano.
L'amministrazione USA sta fornendo all'Iraq armi per la difesa da attacchi esterni, tra le quali blindati, carri armati Abrams e cacciabombardieri F-16. Però le forze irachene resteranno a lungo inidonee. Per tentare di porre rimedio a tale debolezza gli Stati Uniti schiereranno nuove forze in Kuwait e probabilmente accresceranno la presenza navale nel Golfo Persico.
I soldati americani lasciano l'Iraq. Tra un po' forse lasceranno anche l'Afghanistan. Ma i problemi in ambito internazionale che Obama ha trovato sono irrisolti e spesso aggravati. Gli Stati Uniti non hanno più le risorse materiali e morali sufficienti per esercitare globalmente un'influenza determinante. L'attuale amministrazione, svanite le illusioni e le suggestioni utilissime in campagna elettorale, naviga a vista non trovando partners adeguati neppure nei tradizionali alleati europei.
Il movimento Occupy Wall Street toglie spazio nei media al Tea Party, mentre Obama addebita agli europei i guai economici dell'Occidente. Sono preoccupanti sintomi del declino della grande e libera democrazia americana, che può uscire davvero dalla crisi soltanto affrontando efficacemente i problemi di competitività e ridando ampia vigenza ai valori tradizionali.








martedì 22 novembre 2011

Russia e Cina. Una relazione complicata.

Dai ricercatori del SIPRI un ampio e puntuale rapporto sullo stato delle relazioni tra Russia e Cina. Dopo lo scioglimento dell'Unione Sovietica i governi dei due grandi paesi hanno presto avviato una collaborazione fondata su alcuni interessi condivisi.
Sicurezza dei confini comuni, più efficace contrasto del fondamentalismo islamico, del terrorismo e della proliferazione di armi non convenzionali, affermazione del principio di non ingerenza nelle questioni interne degli altri stati, costruzione di un assetto internazionale multipolare hanno costituito gli obiettivi della cooperazione strategica intrapresa già nel 1996 da Jiang Zemin e Boris Yeltsin, anche se preponderante è subito apparsa la collaborazione in ambito militare.
Negli anni successivi la Cina è diventata la seconda economia mondiale e il primo o secondo importatore di petrolio, mentre occupa il secondo posto nel mondo anche per la spesa militare.
Dagli anni Novanta ad oggi la cooperazione in ambito politico militare e addestrativo è stata continua e fruttuosa. Si stima inoltre che nel periodo 1991 - 2010 più del 90% delle principali armi convenzionali importate in Cina sia stato fornito dalla Russia. Ma dopo il 2005 gli ordini da parte del governo cinese sono crollati. La Cina resta assai interessata alle tecnologie militari russe, ma con lo scopo prevalente di sviluppare la sua industria degli armamenti e di incrementare le proprie già imponenti esportazioni di armi. Le tecnologie militari e l'esportazione di armi sono oggi tra i più importanti punti di frizione nei rapporti fra i due paesi.
La Cina è il secondo - per alcuni il primo - importatore di petrolio. Mentre la Russia ne è forse il maggior produttore, raggiungendo il secondo posto per produzione di gas naturale. Ma le divergenze sui prezzi e la volontà di ridurre la dipendenza energetica hanno limitato le importazioni cinesi, negli ultimi anni mai superiori al 10% del totale.
Continua una pragmatica collaborazione suggerita dalla convenienza, ma sembrano mancare una comune visione del mondo e interessi strategici fondamentali condivisi. La Russia si considera un paese europeo ed i suoi gruppi dirigenti nutrono una profonda diffidenza per la Cina, vista come principale minaccia strategica. Entrambe le potenze sono interessate a sviluppare soprattutto le relazioni con gli Stati Uniti. La Russia per i cinesi diventa sempre meno importante.






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